Rimasero schiacciati contro la parete di quella camera sotterranea, lontani dai barili. Lewis accese la sua torcia elettrica, che era molto più potente di quella di Matt, e gliela porse. La vista di ciò che aveva di fronte creò nel petto di Matt un groviglio di tristezza e rabbia. Molti bidoni di benzina parevano essere ancora in buone condizioni, ma alcuni erano corrosi. Un certo numero, sei o sette per quanto poteva vedere da dove si trovava, si erano vuotati sul pavimento roccioso. A meno di dieci metri dietro i mucchi di bidoni, un largo torrente attraversava gorgogliando la caverna, diretto vagamente verso la miniera. Era impossibile pensare che le tossine non passassero attraverso le principali zone di lavoro e da lì nell’ambiente.
«Bastardi», borbottò. «Faremo meglio a muoverci alla svelta, Lewis, non ho idea di cosa facciano ai nostri polmoni o al nostro cervello queste esalazioni.»
«Niente può rovinarmi il cervello più di così», replicò lui, rafforzando la battuta con una risata roca.
Matt si sfilò lo zaino, s’inginocchiò e lo aprì. Estrasse la macchina fotografica e fece una decina di scatti con il flash. Tirò poi fuori una sacca in plastica che conteneva i flaconi per la raccolta di campioni e fece alcuni passi esitanti verso i bidoni. Era a due metri dalla pila, quando i riflettori fissati alle pareti si accesero di colpo, illuminando quasi tutta la caverna come il sole a mezzogiorno.
Matt intravide, appese a una rastrelliera, maschere antigas e tute intere. Istintivamente si lasciò cadere sul pavimento umido, proprio mentre due guardie di sicurezza entravano dall’altra galleria. Le loro esatte parole si persero nell’eco dell’acqua gorgogliante, ma capì che stavano ridendo e scherzando. Uno di loro attivò un quadro di controllo della sicurezza fissato alla parete rocciosa.
Matt si diresse carponi verso Lewis che se ne stava schiacciato contro la parete in una sacca d’ombra.
«Svelto!» bisbigliò Lewis.
Muovendosi il più velocemente possibile, Matt era a circa un metro dall’ombra quando una delle guardie lo scorse.
«Merda, Tommy, guarda! Laggiù!»
Matt vide l’uomo estrarre la pistola.
«Corri!» gridò Lewis mentre stava già scappando verso la galleria.
Matt lo seguì.
«Non dovremmo semplicemente dire loro chi siamo e che non vogliamo guai?» chiese mentre correvano.
«A loro interessa solo assicurarsi che non usciamo dalla caverna vivi», rispose Lewis. «Credimi.»
In quell’istante, dietro di loro esplosero dei colpi e le pallottole rimbalzarono dalle rocce.
«Gesù!» urlò Matt, chinandosi.
Aveva lasciato a terra lo zaino da montagna e l’apparecchio fotografico, ma per puro miracolo teneva ancora in mano la torcia elettrica di Lewis. La passò a Lewis e, seguendo la luce, si tuffarono nell’oscurità del corridoio.
All’inizio, Lewis si mosse con sorprendente velocità e agilità, ma, rapidamente, età e anni di sigarette presero il sopravvento e, quando raggiunsero la prima strettoia della galleria, stava ansimando. Matt sapeva che avrebbe potuto muoversi più velocemente da solo, ma, anche se avesse conosciuto le gallerie, non avrebbe mai abbandonato l’amico. Imprecò contro se stesso per avere cacciato entrambi in una simile situazione. Avrebbe dovuto aspettare, avrebbe dovuto mostrare quel misterioso biglietto alle autorità.
Altri spari. Matt pensò che non sarebbero mai riusciti a sfuggire ai loro inseguitori, ma Lewis aveva altri propositi. Girarono bruscamente a destra, quindi si calarono in una serie di corridoi bassissimi che Matt non ricordava d’avere preso all’andata. Il martellamento nel petto e l’oppressione in gola si accentuarono come capitava sempre quando si trovava in uno spazio ristretto. Si sforzò di continuare a strisciare. All’improvviso si ritrovò a pensare a suo padre. Come erano stati per lui quegli ultimi secondi dopo il crollo? Aveva avuto il tempo di provare paura? Avrebbe avuto paura se ne avesse avuto il tempo? L’esplosione l’aveva ucciso immediatamente, o era stato schiacciato dalle pietre?
I proiettili continuavano a rimbalzare dalle pareti rocciose e a schiacciarsi sulle pietre sotto di loro. Poi, bruscamente, la sparatoria finì.
«Da questa parte!» gridò Lewis, spegnendo la torcia. «Non possono più vederci. Ecco perché hanno smesso di sparare.»
Venne scosso da un accesso di tosse, ma esitò solo pochi secondi prima di riprendere a correre.
«Sai dove siamo?» chiese Matt.
«Mettiamola in questo modo. Io so dove sono io.»
Fece una risata gorgogliante e riprese a tossire.
«Lewis, tutto bene?» domandò Matt.
Non rispose. Si lasciò, invece, cadere sulla pancia e iniziò a strisciare attraverso una fenditura lunga due metri, non più alta di una cinquantina di centimetri e larga una sessantina di centimetri. Borbottava ad alta voce, ma continuava ad avanzare coraggiosamente. Matt chiuse gli occhi e lo seguì in quello stretto passaggio, con la paura che, da un momento all’altro, sarebbe svenuto, avrebbe vomitato o sarebbe semplicemente rimasto bloccato e sarebbe impazzito. Alla fine della fenditura, una sessantina di centimetri in più sopra la testa gli diedero lo stesso tipo di sollievo che si prova quando il dentista smette di trapanare.
Dopo un’eternità di tempo che strisciavano con le mani, le ginocchia e la pancia, il soffitto s’inclinò verso l’alto e l’aria prese un sapore più fresco. Lewis si alzò, traballando, in piedi, e testa e spalle furono nascoste dal soffitto. Matt strisciò fino a lui, inclinò la testa all’indietro e sentì una fine pioggia sul viso. Due metri circa sopra le spalle di Lewis, in cima al piano inclinato, vide una sfumatura più chiara di oscurità, il cielo.
«Puoi arrampicarti lassù?» gli chiese, sussurrando di nuovo, Lewis.
«Se non rimango incastrato, credo di sì.»
«Puoi spingermi su?»
«Certo. Infilo la testa tra le tue gambe e mi drizzo. Ma tu non tirarmi un pugno se divento intraprendente.»
Lewis non colse la pallida battuta di Matt, perché stava tossendo di nuovo.
«Sei certo di farcela?» chiese appena riprese fiato. «Non sono un peso mosca, sai.»
«Se vuole dire uscire di qua, posso sollevare un elefante. Poggiami le mani sulla testa, quindi, appena riesci ad afferrare qualcosa per tirarti su, fallo. Io t’aiuterò spingendoti i piedi. Pronto. Okay, uno, due, tre.»
Lewis non pesava più di sessantacinque, settanta chili al massimo e Matt aveva sufficiente energia nelle gambe per drizzarsi e tenere saldo Lewis stringendogli prima i fianchi, poi i piedi. Lewis gemette, emise un debole urlo, quindi si tirò su per lo scivolo e uscì.
«Svelto ora, e non fare rumore», mormorò verso il basso.
Matt alzò gli occhi e questa volta temette di non avere la forza o l’appiglio sulla roccia bagnata per tirarsi su. Mentre stava esaminando le pareti, si rese conto di avere la mano destra bagnata e appiccicosa. Annusò il palmo e cercò di vederlo, ma senza sforzarsi troppo. Aveva visto un numero sufficiente di incidenti al pronto soccorso per riconoscere l’odore e la sensazione tattile del sangue.
Puntellò schiena e spalle contro un lato del piano inclinato, allungò le braccia fino a che non riuscì a piegare le dita attorno a una roccia, quindi tirò su le ginocchia per incunearsi. Centimetro dopo centimetro fece scivolare la schiena su per la roccia, finché non poté tirare di nuovo su le ginocchia e ripetere la manovra. Finalmente sentì la punta dello stivale premere contro una piccola sporgenza. Un attimo dopo, Lewis l’afferrò per il colletto e lo aiutò a uscire.