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Il pronto soccorso del moderno ospedale regionale da centoventi letti della contea di Montgomery poteva accogliere dodici pazienti ed era dotato di sale attrezzate per l’ortopedia, la pediatria e della sala 10, chiamata «suite degli scontri», per le emergenze mediche o chirurgiche più gravi. Quando arrivò, c’erano due chirurghi e un medico generico in attesa vicino alla saletta delle infermiere, ma sapeva che in giro ce n’erano almeno altri due o tre e un radiologo. Inoltre, nel laboratorio, vi era di certo già Hal Sawyer, il capo del reparto di patologia, zio di Matt. Hal, in parte montanaro, in parte personaggio attivo nella comunità, in parte playboy, di fatto uno studioso, era fratello di sua madre, suo padrino e il motivo principale per cui lui aveva scelto la professione medica. Dal crollo della galleria C-9, Hal gli aveva praticamente fatto da padre.
Era passato poco più di un minuto dal suo arrivo al pronto soccorso, quando un furgone si fermò con un forte stridio di ruote nello spazio per le ambulanze con il primo infortunato. Matt fece segno agli altri di rimanere all’interno e accompagnò due infermieri al furgone. Se il minatore, coperto da un misto di calcare, polvere di carbone, terra e sudore, rappresentava la strage nella miniera, sarebbe stata una lunga notte. La gamba coperta di sangue ed efficacemente steccata presentava una chiara frattura esposta del femore. Una grottesca punta d’osso spuntava da uno strappo nella tuta a metà coscia.
Matt seguì la barella nella sala ortopedica. Con la coda dell’occhio, vide l’addetto alla sicurezza della miniera Blaine LeBlanc, pantaloni di cotone perfettamente stirati e una camicia da cento dollari indosso, parlare con l’autista del furgone e prendere appunti su un blocco, ma non riuscì a evitare il contatto visivo. LeBlanc si girò verso di lui, il volto pallido e sofferente. A Matt venne di colpo in mente ciò che quell’uomo privo di senso dell’umorismo stava forse pensando.
Oh, no, si ricomincia. Un’altra maledetta crociata del dottor Senza Importanza. Forza, vai avanti e cerca di causarci altri problemi, cretino. Tanto nessuno ti dà retta…
LeBlanc scosse la testa derisoriamente e Matt rispose con un allegro pollice in alto. Finché Matt avesse continuato a cercare di fare ammettere alla BC C le insufficienze e le scorciatoie nella sicurezza, sarebbero stati nemici.
Brian O’Neil, l’ortopedico della squadra B, arrivò alla porta della sala gessi assieme a Matt. Lo superava in altezza di un cinque centimetri e aveva un paio d’anni più di lui. Aveva aggiunto una decina di chili al fisico da giocatore di football dei tempi dell’università, ma, a quarant’anni, era ancora un bell’atleta. Era anche un eccellente chirurgo, oltre che il più caro amico di Matt tra lo staff medico.
«Prima tu», disse Matt. «Vengo sufficientemente martellato da te sotto canestro.»
«Quando mai, cannoniere Rutledge, hai lottato sotto canestro? Avresti bisogno di una cartina solo per capire dove si trova, il canestro! Inserisci una flebo, Laura, per piacere. Soluzione salina. Soliti esami del sangue. Gruppo e prova crociata per sei unità. Lastre del petto e della gamba. Appena il nostro dottor cannoniere avrà finito di esaminarlo, dagli settantacinque unità di Demerol e venticinque di Vistaril I.M.»
«Ricevuto», ripose Laura Williams, calma come sempre.
«Sai, amico, Laura e alcune delle altre infermiere stavano scommettendo sul fatto che avresti continuato a dormire.»
«Potrebbero avere ancora ragione. Vederti qui, puntuale, mi induce a pensare che forse sto sognando.»
Insieme si avvicinarono al letto e aiutarono l’infermiera che stava tagliando gli abiti del giovane minatore. Il ragazzo, sui vent’anni, aveva capelli rossastri e occhi grandi e furbi. Il viso era segnato dal dolore, contrasse le labbra ma non emise un gemito, mentre gli toccavano la gamba frantumata.
«Io sono il dottor O’Neil, l’ortopedico», spiegò Brian. «E quello è il dottor Rutledge. È un veterinario, ma uno veramente bravo. Ci prenderemo cura di te.»
«G… grazie, signore», riuscì a dire il giovane. «Io sono Fenton. Robby Fenton.»
«Che diavolo è successo laggiù, Robby?» chiese O’Neil, mentre Matt iniziava una rapida valutazione fisica.
«È stato Darryl Teague, signore. Lui… è andato su tutte le furie. Era da un po’ che si comportava in modo irascibile, ma questa sera stava azionando l’M.C, quando si è infuriato. Lei sa cosa è un M.C., un minatore a ciclo continuo?»
«Quella macchina mostruosa che raccoglie il carbone e lo mette su un nastro trasportatore?» chiese Matt.
«Proprio così. Dodici tonnellate o più al minuto.»
«Sai, non cessi mai di sorprendermi, Rutledge», ammise O’Neil. «Nulla di strano che tu non abbia mai appuntamenti amorosi, anche se molti mi dicono che sei il miglior partito della regione. Fai scappare tutte le donne, con questa tua enorme conoscenza.»
«Non dargli retta, Robby. Lui è fortunato a essere un ottimo medico delle ossa, altrimenti nessuno gli rivolgerebbe la parola. Continua.»
«All’inizio del turno, Teague ha cominciato a spintonarsi con uno dei ragazzi, Alan Riggs. Non so per quale motivo. È da un po’ che Teague si comporta così sempre pronto a litigare: a lamentarsi che tutti, ce l’hanno con lui… Alcuni di noi li hanno separati, ma, poco dopo, Teague si è messo a inseguirlo con l’M.C. Lo travolge, lo investe veramente. Poi va avanti e strappa via almeno sei supporti. È stato allora che il tetto è crollato. Come stanno gli altri?»
«Ancora non lo sappiamo. Sei stato il primo ad arrivare.»
«Alan deve essere morto. Avrebbe dovuto vedere la scena. Maledetto Darryl Teague. Di solito non auguro male a nessuno, ma spero che anche lui sia ferito gravemente.»
«Dottor Rutledge, abbiamo bisogno di lei», gridò Laura dall’uscio.
Matt si era fatto trasportare dal racconto di Fenton e si era completamente dimenticato del delirio che stava per piovergli addosso. Ora il pronto soccorso sembrava un alveare. Sei letti erano occupati da minatori più o meno gravemente sofferenti. Tecnici, infermieri e medici erano in costante movimento, ma il caos era organizzato e tutto pareva sotto controllo.
«Non abbiamo bisogno della sua perizia di internista», gli spiegò Laura, «ma del suo talento nelle emergenze. Nella stanza 3 c’è una lacerazione. Una meraviglia. Ho richiesto lastre del cranio, ma ci metteranno un po’. Non è considerato molto grave.»
Matt si fermò nella stanza di guardia e indossò la tuta. Si stava dirigendo verso la stanza 3, quando Blaine LeBlanc lo intercettò. Newyorchese con un forte accento, cinquantenne in forma smagliante, un paio di centimetri più basso di Matt, spalle più larghe. I capelli folti e neri come l’ebano erano lisciati all’indietro. La striscia bianca, larga tre centimetri con il marchio della ditta in diagonale sul petto, brillava sotto le lampade fluorescenti.
«Che le ha detto il ragazzo là dentro?» domandò.
«È gentile da parte sua informarsi di come sta, Blaine. Ha una frattura esposta del femore. Succede quando il femore sporge dalla pelle. Non spingerà carbone per un bel po’.»
«Si calmi, Rutledge. Che le ha raccontato?»
Matt rispose allo sguardo di ghiaccio di LeBlanc con uno dei suoi. Quell’uomo era potenzialmente pericoloso, di ciò Matt non dubitava affatto. Prima che Ginny morisse, era riuscito a tenere a bada molto meglio il suo disprezzo per LeBlanc e la BC C. Dopo la sua morte, tuttavia, non gliene era più importato. Nella famiglia di Ginny, che non aveva mai fumato ed era una fanatica igienista, non vi erano mai stati casi di cancro al polmone. Quando le era stata fatta quella diagnosi Ginny aveva solo trentatré anni, e il tumore era formato da un insolito gruppo di cellule, che avrebbe potuto essere stato provocato da una tossina sconosciuta.