«Nessuna», rispose la Easterly. «Muove tutte le estremità. Joe Terry era qui in attesa che fosse pronta la sala operatoria per il suo caso, per cui gli ho chiesto di inserirgli un ago in arteria.»
«Ben fatto.»
Matt aveva voluto farle un complimento, anche se era chiaro che a parte il catetere in arteria, l’atteggiamento della dottoressa non era stato dei più adatti con un uomo ferito tanto gravemente. Sembrava nel punto di scoppiare a piangere.
«Sai», borbottò, «se avessi saputo che mi sarei trovata alle prese con il responsabile dell’incidente, sarei rimasta a casa.»
«Senti, Judy, perché non ci vai subito, a casa», le suggerì Matt. «Sei riuscita a mettere la situazione sotto controllo e mi pare che tu e il bambino abbiate bisogno di riposo.»
All’inizio cercò di protestare, ma poi lo ringraziò.
«I campioni di sangue sono già in laboratorio, più altre sei unità», si affrettò a dire. «Ho richiesto lastre del torace e dell’addome.»
«Dai soltanto il mio nome al nascituro», scherzò.
«Matthewina», replicò la dottoressa. «Credo che le piacerà. Grazie ancora e buona fortuna.»
Prima che Matt potesse risponderle, era già andata via. Tanto meglio. Era evidente che aveva altre cose per la mente e rischiava di diventare pericolosa o, nella migliore delle ipotesi, inutile. Lanciò di nuovo un’occhiata al monitor e prese il posto della Easterly, di fronte a Jon Lee. Poi si bloccò di colpo, fissando incredulo l’uomo la cui folle ira aveva già ucciso un collega e, con ogni probabilità, un altro. Il volto di Darryl Teague era coperto di protuberanze carnose, ce n’erano almeno venti, alcune grandi come un pisello, altre come una noce. Quasi certamente neurofibromi: fasci di tessuto nervoso mescolati a cellule fibrose fusiformi. Causa della malattia: ignota. Cura: nessuna nota. Darryl Teague stava diventando un Elephant Man.
Ciò che più lo stupì fu che Teague era il secondo caso di elefantiasi che aveva visto negli ultimi quattro o cinque mesi.
«Laura, il dottor Hal Sawyer fa parte della squadra. Per favore, puoi chiamarlo in laboratorio e chiedergli di venire qui il più presto possibile?»
«Già fatto.»
Matt rivolse la sua attenzione al minatore. Teague era cosciente e respirava da solo, ma la pelle era chiazzata e le labbra di un rosso grigiastro.
«Jon, è stato ordinato niente per la pressione?»
«Non ancora, dottore.» Il tono di Lee gli fece capire che era felice che fosse lui a dirigere la situazione.
«Fagli una fleboclisi di dopamina. Falla scendere ben aperta finché non vediamo che cosa succede. Infilagli un catetere e mantieni alto il volume del sangue.»
Laura Williams tornò e annunciò: «Il dottor Sawyer sarà qui a momenti».
Matt scrutò il monitor dell’elettrocardiogramma. La dimensione dei battiti sul tracciato grafico sembrava molto più piccola del normale. Per il momento archiviò quel dato e iniziò un esame accurato. I suoni del cuore di Teague erano attutiti e lontani. Al centro dello sterno vi era una certa iperestesia, una sensibilità alla pressione sufficiente a indurre l’uomo in stato semicomatoso a urlare quando il punto veniva premuto. Il ventre era molle e per nulla iperestesico. I polmoni erano chiari, gambe e braccia senza alcunché di rilevante. Anche il cranio e il cuoio capelluto avevano un aspetto normale, se non si considerava il fatto che, nascosti sotto i lunghi capelli color paglia, si annidavano altri neurofibromi.
Non c’era alcuna evidenza di emorragie interne. Come mai allora era collassato?
La risposta più probabile, al momento, sì basava sul trauma allo sterno e, sotto l’osso, al cuore.
«Laura, dov’è il dottor Crook?»
«Sta arrivando. A quanto pare il suo cercapersone era accidentalmente spento e il telefono non funzionava. La polizia di Sandersonville è andata a casa sua e lo ha svegliato.»
Sandersonville era a venti minuti dall’ospedale e Crook non era certo il tipo d’uomo da infilarsi una tuta da ginnastica e correre all’ospedale, specialmente quando nessuna vittima dava segni di avere bisogno di un cardiologo.
«Dottor Rutledge?»
Lee gli indicò con la mano il monitor, 70/30.
«Preparati a intubarlo, Jon. L’anestesista c’è?»
«È in sala operatoria.»
«Il radiologo?»
«Anche lei. Sta assistendo il dottor Terry.»
Dentro di sé, Matt gemette. Aveva intubato dozzine di pazienti, molti in situazioni critiche. Non era questo il problema. La sua abilità nell’interpretare un ultrasuono era invece appena decente. In una situazione come questa, avrebbe voluto l’opinione del radiologo.
«Nessun problema», disse infine. «Procurami un tubo sette punto cinque, per piacere. Laura, possiamo parlare là fuori?»
L’infermiera lo guardò con curiosità.
«Naturalmente.»
«Jon, grida, se avessi bisogno di me.»
Matt si diresse con Laura nella stanzetta delle infermiere. Era una nonna sulla cinquantina, tradizionale nel suo approccio alla medicina, e un’infermiera molto in gamba. Non si era mai sentita a suo agio con lo stile di vita, il modo di comportarsi e gli abiti di Matt, e l’aveva detto parecchie volte. Ciononostante, erano sempre riusciti ad andare d’accordo. Ora, stava per mettere alla prova il loro rispetto reciproco.
Al pronto soccorso la confusione sembrava essersi stabilizzata e i gemiti dei minatori feriti erano calati.
«Come sta?» chiese Blaine LeBlanc.
«Più tardi», gli rispose Matt.
«Lei parlerà con me prima di fare qualcosa di eroico, mi ha sentito? Quel… quel pazzo ha assassinato uno o forse due dei miei uomini.»
«Certo, dottor Onnipotente», ribatté Matt. «Non dimenticherò di fare un consulto con lei.»
Volse le spalle a LeBlanc e si mise a parlare con l’infermiera. Da ciò che aveva percepito, si stava ammassando sangue tra il rivestimento del cuore e il muscolo cardiaco. Il conseguente restringimento del cuore impediva che l’organo si riempisse in modo adeguato tra un battito e l’altro.
«Laura, quest’uomo ha un tamponamento pericardico.»
«Come fa a saperlo?»
«Non può essere altro. Dobbiamo infilare un ago e aspirare il sangue.»
«Non possiamo aspettare l’arrivo del dottor Crook?»
«Solo se fossimo certi che sarà qui entro cinque minuti al massimo.»
«Che ne dice di alcuni esami? Un ultrasuono?»
«Il radiologo è in sala operatoria. Non credo che né il tecnico né io siamo capaci di interpretare una lastra con certezza. Non penso, inoltre, che ne avremmo il tempo. Questo ragazzo sta morendo.»
«Forse sarebbe la cosa migliore», proruppe Laura.
«Non ricominciamo con questa storia», ribatté Matt. «Mi procuri, per favore, l’occorrente per un drenaggio pericardico.»
«Matt, tutto ciò non mi piace affatto. Quante volte ha eseguito questo intervento?»
«Un paio di volte durante l’internato», mentì. «Sono in grado di farlo.»
«Non c’è pressione», gridò Lee. «L’elettrocardiogramma mostra molti battiti in più.»
«Per favore», la supplicò, tornando nella stanza 10.
«Se è un ordine, sarò lì vicino a lei con tutto l’occorrente.»
«Ricordi ciò che le ho detto», disse LeBlanc, mentre Matt gli passava vicino.
Matt si inginocchiò vicino alla testa di Teague e con perizia gli infilò una sonda per la respirazione giù per la gola e tra le corde vocali. Il tecnico dell’apparecchio per la respirazione artificiale collegò la sonda a un palloncino e all’ossigeno e iniziò a pompare. Il torace di Teague si dilatò, ma la pressione sanguigna salì solo a 50.
«Bella intubazione, dottore.»
Hal Sawyer era appena al di qua della porta. Con i suoi capelli scuri, ingrigiti alle tempie, i baffi ben curati, gli occhiali dalla montatura dorata e il camice lungo fino al ginocchio, zio Hal aveva l’aspetto professionale di un preside di facoltà di medicina. Aveva una cattedra universitaria, ma per la maggior parte del tempo rimaneva vicino a Belinda, dove era a capo del reparto di patologia, in cui lavorava un altro patologo a tempo pieno e ispettore medico della contea di Montgomery. Hal era anche colto: amava la lettura e le avventure. Raramente parlava durante le riunioni dello staff medico, ma, quando lo faceva, lo ascoltavano tutti.