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Non si era mai sposato, ma non gli mancava la compagnia femminile. La sua ultima ragazza, Heidi, era una donna giovane e carina che aveva conosciuto facendo rafting. I pettegoli di Belinda chiacchieravano della sua vita privata, ma lui non dava l’impressione di curarsene, proprio come non gli era importato quando, alcuni anni prima, era corsa voce che fosse omosessuale. Hal era un tipo autonomo e Matt attribuiva alla sua influenza il proprio senso di indipendenza.

«Ehi, Hal», lo salutò, «grazie per essere venuto. Questo è il tipo che è impazzito nella miniera e ha provocato questo incubo. La gente dice che si comportava in modo paranoico da mesi. Paranoia e una diffusa neurofibromatosi sul volto e il cuoio capelluto. Non ti fa venire in mente nulla?»

«Proprio come quel tipo che si è tuffato dalla scogliera.»

«Esattamente. Si chiamava Rideout. Teddy Rideout. E dove lavorava?»

«Se ben ricordo», rispose Hal, palpando le escrescenze, «anche lui era un minatore.»

«Proprio così. BC C, per essere esatti.»

«Santo cielo!»

Alcuni mesi prima, Matt stava percorrendo sulla sua Harley una strada di montagna particolarmente tortuosa quando Rideout l’aveva superato all’interno, a una velocità eccessiva per quella strada. Un paio di minuti dopo Matt aveva raggiunto un guardrail sfondato e aveva visto l’auto capovolta parecchie centinaia di metri più in basso. Rideout era morto sul colpo. Le protuberanze sul suo viso erano identiche a quelle di Teague, e la sua famiglia, interrogata da Matt, aveva parlato di paranoia progressiva e irrazionale e di un comportamento aggressivo. Durante l’autopsia, Matt aveva chiesto allo zio se Rideout non potesse essere rimasto intossicato da qualcosa alla miniera.

Hal gli aveva promesso di fare altri test, che però erano risultati negativi. Era sicuro che l’uomo fosse un caso isolato, molto insolito, certo, ma un punto casuale sul diagramma della vita.

Ecco, pensò ora Matt, qui c’è il punto numero due.

«Vedrò cosa posso scovare su Rideout», promise Hal. «Non mi sembra di ricordare nulla di insolito nell’autopsia, a parte quei neurofibromi, interessanti per il quantitativo ma non per l’aspetto microscopico.»

«Ecco l’attrezzatura», s’intromise Laura, poggiando il vassoio contrassegnato dalla scritta PERICARDIOCENTESI sul sostegno in acciaio inossidabile.

«Nessun segno di Crook?»

«Potrebbe arrivare a minuti. È sicuro di…»

«Ora però non è qui. La pressione sanguigna di quest’uomo è tornata a zero. Sta attivando extrabattiti. Procediamo.»

«Faccia come le pare», borbottò Laura freddamente.

In verità Matt aveva fatto qualche tamponamento pericardico come ultima manovra respiratoria in pazienti in arresto cardiaco che stavano per morire malgrado i più straordinari tentativi di rianimazione. Gli interventi non avevano, tuttavia, mai individuato alcun imprevisto sangue pericardico. E nessuno dei pazienti era sopravvissuto.

«Hai bisogno di aiuto?» chiese Hal.

«Fai che Robert Crook entri nel pronto soccorso in questo momento», rispose Matt. «Non penso proprio che si possa aspettare.»

Dietro Hal, appena fuori la porta della stanza, Matt riusciva a vedere Blaine LeBlanc che osservava, in attesa.

«Continuo a non sentire alcuna pressione», riferì Lee. «Extrabattiti ventricolari a coppie.»

A volte si deve fare ciò che si deve, pensò.

Attaccò un ago cardiaco di grosso calibro, lungo dieci centimetri, a una siringa da 20cc e agganciò una pinza dentata alla base. Avrebbe saputo di avere avuto torto sulla presenza di sangue pericardico solo dopo avere spinto il grosso ago attraverso la membrana pericardica di tessuto sottile, alla base del cuore di Teague. L’elettrocardiogramma avrebbe reagito immediatamente al trauma e, se tutto andava bene, avrebbe avuto il tempo di ritirare l’ago prima che il muscolo cardiaco subisse gravi danni. Se tutto andava bene. Ma se avesse forato il muscolo e l’arteria coronarica, l’attacco cardiaco che sarebbe seguito non avrebbe lasciato a Teague alcuna chance di sopravvivenza.

Matt spinse l’ago attraverso la pelle nella V formata dalle costole inferiori di sinistra e la punta dello sterno. L’angolò quindi verso la spalla sinistra. Mantenendo costante la pressione, spinse l’ago attraverso il diaframma verso ciò che immaginava fosse la base del cuore.

Lentamente… lentamente…

«Un sacco di extrabattiti», riferì l’infermiere.

«Ha raggiunto il cuore?» domandò Laura.

Matt controllò il monitor.

Spero proprio di no, pensò.

«No», rispose con sicurezza.

«Ne è certo?»

Senza alcun avviso, la siringa si riempì di sangue.

Sì!

Matt girò la valvola a tre posizioni della siringa su svuotamento e iniettò il contenuto rosso in una piccola tazza in vetro. Poi estrasse altri 25cc di sangue e li spruzzò in un contenitore più grande.

«Come fa a sapere che non sta estraendo sangue direttamente dal cuore?» chiese Laura.

La donna non aveva proprio intenzione di mollare.

Hal si fece avanti.

«Signora Williams», disse in tono calmo, «a quanto pare il dottor Rutledge sa ciò che sta facendo. È possibile sapere dove si trova la punta dell’ago. Se il sangue appena estratto dal dottor Rutledge si trovava nello spazio pericardico di quest’uomo, con ogni probabilità non coagulerà. Se invece proveniva direttamente dal ventricolo del cuore, coagulerà.»

«Dopo quanto tempo?»

Matt ignorò la domanda ed estrasse un’altra dose di sangue. Lo stato del paziente non mutò. Alla sua sinistra, Lee cercò di nuovo di sentire la pressione, quindi scosse la testa.

«Se fosse sotto choc e lei gli estraesse sangue dal cuore, la sua situazione non peggiorerebbe?» insisté Laura.

La smetta! avrebbe voluto gridare Matt. L’infermiera si stava chiaramente proteggendo dall’attacco furibondo e più che certo di Robert Crook.

Ho cercato di ragionare con lui, dottor Crook, davvero.

Matt fece scivolare un sottile catetere in plastica nell’ago e in ciò che sperava fosse lo spazio pericardico. Poi, con estrema attenzione, ritirò l’ago e fissò il catetere con un’unica sutura alla pelle del torace di Teague. Il sangue fluì lentamente dall’apertura del catetere e creò una chiazza sempre più larga sulla garza sterile. Per parecchi secondi calò un pesante silenzio.

«La pressione è ancora a zero», riferì Lee, proprio mentre Robert Crook entrava di corsa nella stanza.

Un uomo grassoccio dal volto rubicondo, Crook aveva sopracciglia folte d’un giallo grigiastro che a Matt ricordavano due giganteschi bruchi lanuginosi sul punto di azzuffarsi. Il bordo della mascella di sinistra era segnato da puntolini freschi, chiaro segno di una rasatura affrettata, come pure un minuscolo pezzettino di carta velina impregnato di sangue. L’emergenza all’MCRH l’aveva chiaramente fatto correre in bagno dove aveva tirato fuori rasoio e sapone da barba.

«Rutledge, che sta succedendo?»

Matt scrollò le spalle.

«Gli è crollata la pressione sanguigna e non riuscivo a comprenderne il motivo. Ho deciso che aveva un tamponamento pericardico, per cui gli ho estratto sangue mediante paracentesi.»

«Lei… gli ha estratto sangue?»

«Ancora nessuna pressione», gridò Lee.

«Assicurati che la fleboclisi di dopamina sia aperta del tutto», gli ordinò Matt.