«Lo è.»
«Ha visto liquido pericardico nella risonanza?» chiese Crook, trascurando l’area sterile e il sottile catetere per poter auscultare con lo stetoscopio.
«Io… non ho potuto fargliela. Non c’è stato abbastanza tempo.»
Crook esplose.
«Cristo! Come può essere sicuro di avere infilato quell’ago nella zona pericardica e non nel cuore?»
«Ho fatto ciò che pensavo fosse giusto fare», replicò Matt con la voce più ferma possibile. «Ho fatto ciò che pensavo fosse necessario fare, e l’ho fatto come meglio sapevo fare.»
«Come meglio sapeva fare? Rutledge, lei non è un medico. Lei è un maledetto cowboy. Un irresponsabile. E sappia che ho intenzione di riferire le sue azioni a…»
«Aspetti», gridò l’infermiere. «Sento una pulsazione. È forte e chiara a sessanta… No, ora è a ottanta. È a ottanta.»
In quel momento, Darryl Teague sollevò un braccio e girò la testa.
3
«’Giorno, Kim.» Matt salutò l’impiegata efficiente e comprensiva dell’unità di Terapia Intensiva.
«Buon giorno, dottore», fu la risposta gelida.
Pensò di affrontarla. Kim West era sempre stata cordiale con lui, anche se non proprio amichevole. Non valeva comunque la pena di controbattere la sua villania. La società mineraria locale, la Belinda Coal and Coke Company, era il sangue vitale della valle. In un modo o nell’altro, tutta la contea di Montgomery era legata al suo destino. Erano passati tre giorni da quando aveva salvato la vita di Darryl Teague e, nelle strade di Belinda, la freddezza nei suoi confronti era cresciuta in modo sgradevole. Teague non era mai stato un figlio amato del villaggio, e ora due giovani erano deceduti a causa sua. Lui no, e solo grazie a Matt. Alla stazione di benzina, nel locale Scotty’s Diner, nella tintoria, ovunque andasse, suscitava mormorii e tensione. Anche in ospedale, dove la gente avrebbe dovuto essere consapevole delle decisioni che i medici dovevano o non dovevano prendere.
Poche ore dopo l’incidente al pronto soccorso, Robert Crook aveva inviato a tutti i dipendenti dell’ospedale una nota denunciando il comportamento di Matt. Aveva addirittura ipotizzato che la sua scarsa perizia nell’effettuare l’aspirazione pericardica aveva messo in pericolo la vita del paziente più dell’incidente stesso.
Teague era ufficialmente un paziente di Crook, e il cardiologo aveva fatto di tutto per coinvolgere nelle cure dell’uomo un qualsiasi altro internista al posto di Matt. Questi, tuttavia, era andato a trovare Teague due volte al giorno dopo la sciagura. Fare tutto il possibile per salvare una vita creava un legame che solo coloro che avevano vissuto una simile situazione potevano comprendere.
Ignorando l’occhiata disgustata di una delle infermiere anziane che, come ricordò, era madre di un minatore, Matt entrò nella stanza 6. Le luci erano spente, a parte una fioca lampada fosforescente sopra il letto. Teague, il volto mostruosamente deformato e tutto ammaccato, giaceva sulla schiena, respirando in modo irregolare e appena percettibile grazie all’apposita apparecchiatura. Era incosciente, come lo era stato fin da quando era stato trasferito lassù dal pronto soccorso. All’inizio, il trauma cerebrale sembrava la causa più probabile, e la diagnosi non era cambiata; eppure non era stata richiesta alcuna tomografia computerizzata né una risonanza magnetica, anzi, neppure un consulto con il neurologo. Di certo l’attenzione rivolta a questo caso non avrebbe mai fatto vincere a Robert Crook alcun premio come Medico dell’Anno, anche se con ogni probabilità avrebbe ricevuto una medaglia dalla cittadinanza.
Immobile nella luce fioca, Matt fissò Darryl Teague.
Che ti è successo, Darryl? pensò. Che avete inalato tu e Teddy Rideout? Che avete bevuto? Che vi siete spalmati sulla pelle?
Matt gli afferrò il polso e controllò i battiti, piuttosto forti. Il vaso strappato che aveva provocato il tamponamento cardiaco quasi letale si era coagulato e il drenaggio che era stato sistemato sotto la membrana pericardica era stato tolto. In quel momento, il misterioso coma di Teague era l’unica cosa che impediva un suo trasferimento dall’ospedale della contea all’infermeria di un carcere. Matt fece un rapido controllo neurologico: nulla di allarmante, nessun segno focale che indicasse che si stava sviluppando lentamente una emorragia tra il cranio e il cervello. Allungò la mano e toccò delicatamente la protuberanza dura e carnosa sopra il sopracciglio sinistro, poi quella sul mento. Si chiese se l’uomo si fosse fatto vedere da un medico e se la sua malattia mentale progressiva gli avesse impedito di agire in modo razionale.
«Che cosa ti è successo, Darryl?» sussurrò Matt. «Forza, svegliati e dimmelo…»
Sollevò la cornetta del telefono sul comodino, esitò, quindi chiamò il reparto di patologia. Pochi secondi dopo, suo zio rispose.
«Ciao Hal, come va?»
«Non è che metà paese sia pronto a ricoprirmi d’oro, solo perché sto facendo il mio lavoro, se è questo ciò che vuoi sapere.»
«Be’, qui fuori c’è un’infermiera che sarebbe felice di coprirmi di fango, ma non ti ho chiamato per questo, sono qui nella stanza di Teague nell’unità di Terapia Intensiva. Forse lo sai già, ma è in coma da quando è stato portato qui dal pronto soccorso. Mi stavo chiedendo se qualcuno lo sta curando.»
«Perché?»
«Prima se, e ora perché. Uno dei tuoi tecnici potrebbe estrargli sangue ed eseguire un esame farmacologico?»
«Senza dirlo a Crook?»
«È quello che pensavo. Glielo caverei io stesso, ma succederebbe il finimondo se entrasse un’infermiera e mi vedesse all’opera.»
«Lo farò, nipote, ma per Natale mi aspetto una confezione di ottimo tabacco. Basta con le cravatte.»
«Sicuro? Credo di averne ancora tre o quattro nel mio armadio.»
«Sicurissimo.»
«D’accordo, basta cravatte. Grazie.»
L’ambulatorio di Matt occupava il piano terra di una vecchia casa in una laterale di Maia Street, vicino al centro città. Parcheggiò la Harley nel garage sul retro ed entrò in casa. Sentì subito uno scambio animato di battute provenire dalla sala d’attesa. A una voce, femminile, acuta e stridente, rispondeva, in tono tranquillo e cortese come sempre, Mae Borden, la sua segretaria e assistente.
«Su, signora Goodwin», stava dicendo Mae. «Non sto cercando di convincerla a non cambiare medico, ma credo che lei dovrebbe rifletterci su, almeno questo lo deve a suo marito.»
Matt si bloccò e si appoggiò alla parete del corridoio.
«È stato proprio Charlie a mandarmi qui», ribatté la donna. «È sconvolto per ciò che è successo nella miniera.»
«Cioè perché il dottor Rutledge ha salvato la vita di quel ragazzo?»
«Sì. I due uomini che Teague ha ucciso erano amici di Charlie. E la miniera è chiusa da tre giorni per i danni che ha causato. Sono soldi che escono dalle tasche di tutti.»
«Capisco. Mi dica una cosa, signora Goodwin: se quella sera fosse stato suo marito a lanciare quell’attrezzatura, avrebbe voluto che il dottor Rutledge facesse tutto il possibile per salvarlo?»
«Io… suppongo di sì.»
«E il dottor Rutledge non vi ha sempre assistiti al meglio?»
«Naturalmente.»
«Eppure lei vuole cambiare medico?»
«Ecco, io…»
«Signora Goodwin, che ne direbbe se io tenessi qui le vostre cartelle finché Charlie non verrà di persona a parlare con me, o, meglio ancora, con il dottor Rutledge? Questo non dovrei dirlo, ma so per certo che voi due siete tra i suoi pazienti preferiti. Gli dispiacerebbe molto perdervi.»
«Be’… la verità è che io stessa odierei perderlo.»
«E allora?»
«Signorina Borden, speravo proprio che lei mi convincesse a non farlo. Dirò a Charlie che, se vuole veramente andare fino in fondo, deve venire qui di persona e affrontare lui stesso il dottor Rutledge.»