Urlavo, c’era qualcuno vicino a me che cercava di fermarmi.
Mi trovai poi nel piccolo laboratorio con la camicia bagnata di acqua gelata, con i capelli appiccicati, il naso, la lingua mi bruciavano per l’alcol, ero sdraiato sul lettino metallico; Snaut era nella sua solita tenuta, calzoni macchiati, eccetera eccetera, cercava qualcosa, forse qualche medicina, rovesciava tutto, provocando un gran baccano. Mi guardò negli occhi fisso, attento…
— Dov’è?
— Non c’è.
— Ma Harey…
— Non c’è più Harey — disse lentamente, avvicinando la sua faccia alla mia, come se mi avesse dato un colpo e ne osservasse le conseguenze.
— Tornerà — sussurrai, chiudendo gli occhi. E per la prima volta non ne ebbi davvero timore. Non avevo più paura della sua fantastica apparizione. Non capivo come avessi potuto temerla!
— Bevi questo.
Mi diede un bicchiere con un liquido caldo. Lo guardai e improvvisamente gli buttai il contenuto in faccia. Indietreggiò asciugandosi gli occhi. Quando li aprì, gli ero davanti.
Era così piccolo.
— Sei stato tu!
— Di che parli?
— Non dire bugie, lo sai, di che. Tu hai parlato con lei l’altra sera! E le hai consigliato di darmi il sonnifero…! Che hai fatto di lei? Parla!
Cercava qualcosa sul petto. Estrasse una piccola busta.
Gliela strappai di mano. Era chiusa. Non aveva indirizzo.
L’aprii. Dall’interno cadde un foglio piegato in quattro. Una grafia grande, un po’ infantile, non bene allineata. La riconobbi.
«Caro, sono stata io a chiederlo. Lui è buono. Ho dovuto mentire, è brutto, ma non sarei riuscita in altro modo. Puoi fare una cosa per me? Ascoltalo, e non farti del male. Sei stato fantastico.»
Sotto aveva scarabocchiato tra virgolette «Harey», e dopo averlo scritto lo aveva cancellato; c’era un’altra lettera, come H o K, diventata una macchia. Lessi la lettera una, e ancora un’altra volta. E ancora. Ero troppo lucido per abbandonarmi all’isterismo, non potevo lamentarmi; non trovavo nemmeno la voce.
— Come? — sussurrai. — Come?
— Dopo, Kelvin. Sta’ calmo.
— Sto calmo. Parla. Come?
— L’annichilitore.
— Come? Quell’apparecchio? — sussultai.
— L’apparecchio di Roche non serviva. Sartorius ne ha costruito un altro; un destabilizzatore speciale. Piccolo. Che funziona solo a una distanza di pochi metri.
— Che cosa le è accaduto?
— E’ sparita. Un balenio e un soffio. Un soffio leggero.
Niente di più.
— A piccola distanza, hai detto!
— Sì. Per un apparecchio grande non c’era materiale sufficiente.
Improvvisamente le pareti cominciarono a spostarsi. Chiusi gli occhi.
— Mio Dio… lei… tornerà, tornerà…
— No.
— Come no?
— No, Kelvin. Ti ricordi quelle schiume volanti? Da allora, non tornano più.
— Ah, no?
— No.
— L’hai uccisa — dissi piano.
— Sì. Tu non lo avresti fatto? Al mio posto?
Mi alzai e cominciai a camminare, ogni volta più in fretta.
Dalla parete all’angolo e ritorno. Nove passi. Giro. Nove passi.
Mi fermai davanti a lui.
— Senti, faremo un rapporto. Chiederemo il collegamento diretto col Consiglio. E’ possibile farlo. Saranno d’accordo.
Devono. Il pianeta sarà escluso dalla convenzione dei Quattro. Tutti i mezzi saranno permessi. Importeremo i generatori antimateria. Pensi che ci sia qualcosa che riesca a resistere all’antimateria? No, non c’è! Niente! Niente! — urlavo trionfalmente, accecato dalle lacrime.
— Vuoi distruggerlo? — disse. — Perché?
— Esci. Lasciami!
— Non me ne andrò.
— Snaut!
Lo guardavo negli occhi.
— No — disse con un movimento della testa.
— Che cosa vuoi? Che cosa vuoi da me?
Retrocesse fino al tavolo: — Bene. Faremo il rapporto.
Mi girai e cominciai a camminare.
— Siediti.
— Lasciami in pace.
— Le questioni sono due. La prima è relativa ai fatti. La seconda riguarda i nostri desideri.
— Dobbiamo parlarne proprio adesso?
— Sì, adesso.
— Non voglio. Hai capito? Non me ne importa niente.
— Abbiamo mandato l’ultimo comunicato prima della morte di Gibarian. Sarà stato due mesi fa. Dobbiamo definire il preciso andamento delle apparizioni…
— Non la pianti? — lo presi per il braccio.
— Picchiami pure — disse. — Parlerò ugualmente.
Lo lasciai andare.
— Fa’ quel che vuoi.
— Riguardo a Sartorius, cercherà di nascondere alcuni fatti, ne sono quasi certo.
— E tu no?
— No. Adesso non più. Non è affare solo nostro. Si tratta… lo sai di che cosa si tratta. Ha dato prova di azione intelligente. Capacità di operare una sintesi organica al più alto livello, cosa che noi non sappiamo fare. Conosce la struttura, la microstruttura, il metabolismo dei nostri corpi…
— Be’? — dissi. — Perché non continui? Ha fatto su di noi una serie… una serie di esperimenti. Una vivisezione psicologica.
In base alla conoscenza rubata ai nostri cervelli, senza tenere conto delle nostre aspirazioni.
— Questi non sono fatti, né conclusioni, Kelvin. Sono delle ipotesi. In un certo senso, ha tenuto conto di ciò che voleva una certa parte nascosta del nostro cervello. Forse ci mandava… dei regali.
— Regali? Mio Dio! — mi misi a ridere.
— Piantala! — urlò, prendendomi per il braccio. Afferrai la sua mano e la strinsi. La strinsi sempre di più, fino a fare scricchiolare le dita. Mi guardava con gli occhi socchiusi, senza vacillare.
Lo lasciai e me ne andai in un angolo. Ritto, con la faccia rivolta alla parete, dissi: — Cercherò di dominarmi.
— Lascia perdere. Che cosa chiederemo?
— Dimmelo tu. Io ora non posso. Ha detto qualcosa prima che…?
— Niente. A parer mio, c’è veramente una probabilità, adesso.
— Probabilità? Quale? Per che cosa? Ah… — dissi adagio, guardandolo negli occhi, poiché avevo capito improvvisamente. — Il contatto? Ancora il contatto? Non abbiamo sofferto abbastanza? E tu? Tu stesso, in questa gabbia di matti… contatto? No, no, no. Senza di me.
— Perché? — domandò tranquillamente. — Kelvin, anche tu, istintivamente, continui a trattarlo come un essere umano. Lo odi.
— E tu no…? — aggiunsi.
— No, Kelvin, è cieco…
— Cieco? — domandai, incerto di avere capito bene.
— Nel nostro senso, naturalmente. Non esistiamo, per lui, come esistiamo fra noi. La superficie della faccia, il corpo che vediamo ci danno la possibilità di riconoscerci. Per lui, siamo come un vetro trasparente. Per questo può introdursi all’interno dei nostri cervelli.
— Bene, e allora? Dove vuoi arrivare? Se è riuscito ad animare, a creare un essere che esiste solo nella mia memoria e a imitare in tal modo i suoi occhi, i suoi movimenti, la sua voce…
— Continua! Continua a parlare, hai capito?
— Parlo… sì. Allora… la sua voce… Ciò vuol dire che può leggere in noi come in un libro aperto. Sai che cosa sto dicendo?
— Sì. Che, se volesse, potrebbe comunicare con noi?
— Naturalmente. Non è chiaro?