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Nei giorni successivi, rimasi vicino a Jamethon Black e, verso la fine della settimana, la mia costanza venne premiata.

Alle dieci di sera di venerdì, ero su una passerella sospesa fra il mio alloggio e il corridoio della sentinella sulle mura, e tenevo d’occhio tre civili, chiaramente del Fronte Azzurro, che erano appena arrivati in macchina e stavano entrando nell’ufficio di Jamethon.

Si fermarono poco più di un’ora. Quando uscirono, ritornai a letto e, quella notte, dormii profondamente.

L’indomani, mi alzai presto; c’era posta per me. Con la nave spaziale era arrivato un messaggio del direttore della rete giornalistica della Terra che si congratulava personalmente per i servizi che avevo inviato. Tre anni prima, questo avrebbe significato molto per me, ma ora mi preoccupavo soltanto che non decidessero di inviare altre persone in mio aiuto, per far fronte a una situazione molto promettente dal punto di vista giornalistico. Non potevo rischiare di avere al fianco colleghi che potevano scoprire ciò che stavo facendo.

Salii in macchina e mi diressi a est, verso Nuova San Marco e il Quartier Generale Esotico. Le truppe Amiche erano già fuori a esercitarsi, a diciotto chilometri a est di S. Giuseppe, e venni fermato da una squadra di cinque giovani soldati semplici, senza un graduato a capo. Mi riconobbero.

— In nome di Dio, Signor Olyn — disse il primo che arrivò alla macchina, piegandosi per poter parlare dal finestrino aperto. — Non può passare.

— Le dispiace dirmi perché?

Si voltò e indicò una valletta fra due colline boscose sulla sinistra.

— C’è in corso una perlustrazione tattica.

Osservai meglio e vidi che la piccola valle era un prato largo circa cinquanta metri e chiuso fra due scarpate di bosco. Girava, allontanandosi dalla strada, curvando verso destra.

Ai piedi delle scarpate, dove iniziava il prato, vi erano cespugli di lillà in fioritura avanzata. Il prato aveva il verde tenero dell’erbetta di prima estate che si fondeva con il bianco e il violetto dei lillà e con le giovani e variegate foglie delle querce dietro ai cespugli, dove creava un profilo irregolare.

In mezzo a questo quadro, nel centro del prato, si muovevano figure nere che armeggiavano con sistemi di calcolo e misurazione per elaborare le possibilità di morte da ogni angolo. E proprio nel punto centrale avevano posto, per una qualche ragione, tre paletti in fila, più due ai lati di quello centrale; più in là ce n’era un altro, a terra, come se fosse caduto e se ne fossero dimenticati.

Rivolsi di nuovo lo sguardo al giovane soldato.

— Vi preparate a sconfiggere gli Esotici? — chiesi.

La prese come una domanda diretta e non intuì l’ironia nella mia voce.

— Certo, signore — disse serissimo. Osservai meglio il viso tirato e gli occhi chiari di tutti loro.

— Mai pensato che potreste anche perdere?

— No, Signor Olyn. — Scosse decisamente il capo. — Nessuno può perdere se combatte per il Signore. — Capì che non ero convinto e proseguì senza cedimenti. — Dio ha posto la mano sui Suoi soldati che possono solo vincere… o morire. E che cos’è la morte?

Si rivolse ai suoi compagni che annuirono e gli fecero eco.

— Che cos’è la morte?

Rimasero lì, mentre li osservavo, quasi chiedendo a me e a se stessi che cosa fosse la morte, se stessero parlando di qualcosa di molto duro, ma necessario.

Avevo una risposta per loro, ma non mi sentii di riferirla. La morte, per me, era un Sergente, uno della loro stessa razza, che dava l’ordine a soldati come loro di uccidere dei prigionieri. Quella era la morte.

— Chiamate un ufficiale — dissi. — Il mio permesso è valido anche in questa zona.

— Mi dispiace, signore — disse lo stesso soldato. — Non possiamo abbandonare la posizione per nessuna ragione. Ne verrà uno molto presto.

Ero un po’ preoccupato sul significato di quel “presto”, e con motivo. Era già mezzogiorno avanzato quando finalmente arrivò un ufficiale per autorizzarli ad andare a mangiare e lasciarmi passare.

Arrivai al Quartier Generale di Kensie Graeme solo verso sera, quando il sole formava strani disegni sul selciato con le ombre degli alberi. Sembrava, però, che il campo si stesse svegliando in quel momento e non era necessario essere esperti per capire che si stavano finalmente muovendo per andare a fronteggiare Jamethon.

Trovai Janol Marat, il Colonnello di Nuova Terra.

— Devo vedere il Generale Graeme — dissi.

Scosse il capo, anche se ci conoscevamo ormai bene.

— Non ora, Tam. Mi dispiace.

— Janol — insistetti — non è per un’intervista. È una questione di vita o di morte, devo assolutamente vederlo.

Ci fissammo entrambi.

— Aspetta qui — disse. Eravamo all’interno dell’ufficio centrale. Uscì e rientrò dopo circa cinque minuti. Io ero rimasto in piedi ad ascoltare il ticchettio dell’orologio sulla parete.

— Vieni con me — disse.

Mi condusse fuori, lungo il perimetro circolare dell’edificio, fino a una piccola struttura seminascosta tra gli alberi. Entrando, mi resi conto che erano gli alloggi personali di Kensie. Attraversammo un piccolo salotto fino alla camera da letto dove, su un lato, c’era la porta del bagno. Kensie ne uscì e capii che aveva appena fatto la doccia e stava per indossare l’uniforme da battaglia. Mi guardò stupito, poi rivolse lo stesso sguardo a Janol.

— D’accordo, Colonnello — disse — ora può tornare alle sue mansioni.

— Signore — disse Janol, senza guardarmi.

Salutò e uscì.

— Molto bene, Tam — disse Kensie, infilandosi i pantaloni. — Che cosa succede?

— So che siete pronti a muovervi — dissi.

Mi guardò in modo un po’ divertito, mentre si allacciava la cintura dei pantaloni. Non aveva ancora infilato la camicia e, nella luce fioca della stanza, sembrava un gigante, una forza della natura. Il corpo era abbronzato, del colore del legno scuro, e i muscoli fasciavano il torace e le spalle. Lo stomaco era piatto e si scorgeva il movimento dei tendini quando muoveva le braccia. Ancora una volta, percepii la sua natura Dorsai, che non si fermava alla statura e alla forza fisica. Non era neanche il fatto che era stato allevato, fin dalla nascita, per essere un combattente. No, era qualcosa di vivo, ma inafferrabile, la stessa qualità che formava tutte le personalità pure nella loro peculiarità, come in Padma per gli Esotici, o in qualche ricercatore di Newton o Cassida. Qualcosa così al di sopra, o al di là, della forma umana comune, che poteva sembrare una specie di serenità, un senso di convinzione che il proprio tipo fosse così completo da rendere una persona intoccabile, inattaccabile, priva di debolezze.

Vidi, nella mia mente, la sottile e scura figura di Jamethon Black, opposta all’uomo che mi stava di fronte; e capii che una qualsiasi vittoria di Jamethon era impensabile, impossibile.

Ma il pericolo restava.

— Ecco perché sono qua — dissi a Kensie. — Ho sorpreso Black che prendeva accordi con il Fronte Azzurro, un gruppo terroristico locale, di natura politica, il cui Quartier Generale si trova a Blauvain. Ne ho visti tre, ieri sera, far visita a Black.

Kensie prese la camicia e infilò una manica.

— Lo so — disse. Rimasi sorpreso.

— Ma non capisce — replicai. — Sono assassini, è il loro mestiere. E l’uomo che loro e Jamethon Black hanno interesse a eliminare è lei.

S’infilò l’altra manica.

— Lo so — disse. — Vogliono rovesciare l’attuale governo di S. Maria e prendere il potere, cosa che è impossibile finché gli Esotici ci pagheranno per rimanere qui a mantenere la pace.

— Non hanno mai avuto l’aiuto di Jamethon Black, prima.