Era un giugno mite, il clima era invitante già ben prima dell’alba, e il fatto che fossero ancora in ufficio in coda al turno di notte di un’operazione pregiudicata da una grave carenza di personale era deprecabile.
Petra era detective da tre anni precisi, ventotto mesi trascorsi ai furti d’auto e gli ultimi otto in servizio diurno alla squadra Omicidi con Stu.
Il suo collega aveva nove anni di anzianità ed era padre di famiglia. Il servizio diurno si adattava alle esigenze della sua vita e ai suoi bioritmi. Petra era stata un animale notturno fin dall’infanzia, ancor prima delle notti blu del suo periodo di artista, quando giacere sveglia le stimolava l’ispirazione.
Ben prima del matrimonio, quando ascoltare il respiro di Nick la induceva al sonno.
Ora viveva sola, amava più che mai il nero della notte. Il nero era il suo colore preferito, da adolescente non indossava indumenti di altro colore che quello. Non era dunque strano che da quando era stata arruolata non aveva mai chiesto di essere assegnata al turno di notte?
Era stata la dedizione al dovere a richiedere il provvisorio trasferimento.
Wayne Carlos Freshwater usciva di notte dalla sua tana a rastrellare erba, crack e pasticche nei vicoli di Hollywood e a uccidere prostitute. Impossibile sperare di trovarlo a sole alto.
Per quanto accertato da Petra e Stu, in un arco di sei mesi aveva strangolato quattro ragazze di strada, l’ultima delle quali una sedicenne fuggita dall’Idaho, il cui corpo aveva abbandonato in un cassonetto vicino all’incrocio di Selma e Franklin. Nessuna ferita da taglio, ma un coltello da tasca trovato nei paraggi aveva impronte digitali dalle quali aveva avuto inizio la caccia.
Incredibilmente stupido, l’aver perso il coltellino, ma non sorprendente. Secondo il suo dossier, Freshwater era stato sottoposto due volte a un test di QI, totalizzando 83 e 91. Un’intelligenza opaca che non gli aveva impedito di sfuggire a lungo ai loro appostamenti.
Maschio afroamericano, trentasei anni, un metro e settanta, settanta chilogrammi, numerosi arresti e svariate pene detentive negli ultimi dieci anni, l’ultima per un’accusa di aggressione e tentato stupro che gli era valsa una condanna a dieci anni a Soledad, naturalmente in seguito ridotta a quattro.
La solita foto segnaletica di una faccia imbronciata e annoiata.
Anche quando lo avevano preso, era sembrato annoiato. Nessuna mossa improvvisa, nessun tentativo di fuga, fermo lì in un androne rancido, pupille dilatate, disinvoltura artefatta. Ma dopo lo scatto delle manette era passato al vivo stupore.
Che ho fatto, agente?
La cosa singolare è che sembrava davvero innocente. Sulla base dei suoi dati, Petra si era aspettata una specie di Napoleone gonfio di testosterone, invece si era trovata a tu per tu con uno gnomo lezioso con una leziosa vocina alla Michael Jackson. Persino elegante. Alla moda, capi nuovi prêt-à-porter, probabilmente rubati. Più tardi l’agente di custodia le aveva confidato che sotto i calzoni sportivi ben stirati Freshwater portava biancheria intima femminile.
La condanna a dieci anni di carcere era per aver strangolato una sessantenne a Watts. Freshwater era uscito da Soledad più rabbioso che mai e dopo una settimana era già di nuovo all’opera, avendo incrementato il suo livello di violenza.
Tanti complimenti al sistema. Petra usò il ricordo dello stupore imbambolato di Freshwater per concedersi un sorriso mentre completava il rapporto.
Che ho fatto?
Il bambino cattivo.
Stu era ancora al telefono con Kathy: Sto arrivando, tesoro, bacia i bambini per me.
Sei figli, un sacco di baci. Petra li aveva guardati schierarsi per Stu prima di cena, teste bionde, mani e unghie immacolate.
Le ci era voluto molto tempo per riuscire a osservare i figli altrui senza pensare alle proprie ovaie inutili.
Petra intercettò gli occhi di Stu, ma lui li abbassò. Tornare al turno diurno gli avrebbe fatto bene.
Aveva trentasette anni, otto più di Petra. Ne dimostrava forse trenta, snello, di bell’aspetto, con ondulati capelli biondi e occhi color nocciola chiaro. Li avevano subito ribattezzati Ken e Barbie, sebbene Petra fosse bruna. Stu aveva un debole per gli abiti costosi di taglio tradizionale, le camicie bianche, bretelle in pelle intrecciata e cravatte di seta a strisce; portava la 9mm più spesso lubrificata di tutto il dipartimento e una tessera di iscrizione al Sindacato Attori per alcune apparizioni in polizieschi televisivi. L’anno prima aveva recitato in D-III.
Intelligente, ambizioso, mormone devoto, viveva con la bella Kathy e la sua nidiata in una casa con mezz’ettaro di terreno a La Crescenta. Era stato un ottimo insegnante per Petra, niente sciovinismo maschilista, niente zavorre personali, buon ascoltatore. Come Petra, un lavoratore accanito, votato al raggiungimento di una quota record di arresti. Un sodalizio naturale. Fino a una settimana prima. Che cos’era successo?
Qualcosa che riguardava la carriera? Il giorno stesso in cui erano stati messi a lavorare insieme, l’aveva informata della sua intenzione di trasferirsi prima o poi a mansioni impiegatizie, tentare la promozione a tenente.
L’aveva preparata all’addio, ma poi non ne aveva più parlato.
Si domandò se avesse mire ancor più alte. Suo padre era un oftalmologo di successo e Stu era cresciuto in una casa enorme a Flintridge, aveva fatto surf alle Hawaii, sciato nell’Utah, era abituato a un alto tenore di vita.
Capitano Bishop. Vicecapo Bishop. Se lo figurava di lì a qualche anno con le tempie brizzolate e le stelline di rughe alla Cary Grant a sedurre i giornalisti, perfettamente calato nella parte. Ma svolgendo con efficienza il suo lavoro, perché c’era sostanza sotto lo stile.
La chiusura del caso Freshwater era stato un successo rilevante, dunque perché non ne gioiva?
Specialmente considerato che a risolvere il caso era stato lui. Alla maniera classica. Nonostante l’aspetto da figlio di papà, nei nove anni di carriera era diventato un esperto di vita di strada e aveva collezionato una scuderia di informatori fedeli.
Su Freshwater erano giunte due diverse segnalazioni, ciascuna delle quali riferiva che l’assassino di prostitute era un forte consumatore di crack, si riforniva in un appartamento di Cherokee e di notte vendeva merce rubata sul boulevard. Con due ciliegine: l’indirizzo preciso, con tanto di numero dell’appartamento, e l’ubicazione esatta delle sentinelle degli spacciatori.
Stu e Petra si erano appostati per tre notti. La terza notte avevano preso Freshwater mentre entrava nella casa da un ingresso secondario e a Petra era toccato ammanettarlo.
Polsi delicati. Che ho fatto, agente? Ridacchiò mentre riempiva con la sua scrittura elegante gli spazi bianchi troppo piccoli del modulo d’arresto.
Nel momento in cui Stu riagganciava, suonò il telefono di Petra. Alzò il ricevitore e il sergente al piano di sotto disse: «Buone nuove per te, Barbie. È arrivata una chiamata dai sorveglianti del parco a Griffith. Una donna in un parcheggio, un probabile 187. Tocca a voi».
«Quale parcheggio di Griffith?»
«Lato est, dietro a una delle zone da picnic. Dovrebbe essere recintato, ma sai come vanno queste cose. Prendi Los Feliz come per andare allo zoo, invece di continuare sulla superstrada, svolti. Troverai le giacche blu e una macchina dei ranger. Fai un codice 2.»
«Va bene, ma perché noi?»
«Perché voi?» rise il sergente. «Guardati attorno. Vedi qualcun altro oltre a te e Kenny? Prenditela con il consiglio comunale.» Riattaccò.
«Cosa c’è?» domandò Stu. Il suo foulard Carroll Company era annodato alla perfezione e i suoi capelli erano pettinati con cura. Ma era stanco, decisamente stanco. Petra lo aggiornò.