Allora l’ometto scosse la testa. — Tu non sai. Tu non sai che cosa perdi. Ma io l’ho sentito nelle tue canzoni quando sono venuto qui anni fa: tu vuoi questo.
— È proibito — ripeté Christian; per lui, il fatto che un uomo volesse compiere un atto, pur sapendo che era proibito, era sconvolgente, e non riusciva a scuotersi da quell’evento inaudito, e quindi non capì che ci si aspettava che lui facesse qualcosa.
Si udirono alcune voci e passi in lontananza e l’omino ebbe improvvisamente paura. Corse verso Christian, gli cacciò a forza il registratore nelle mani e poi sparì in direzione dei cancelli della riserva.
Christian prese il registratore e lo sollevò in una chiazza di luce che filtrava dagli alberi. Emanava un brillio opaco. — Bach, — disse Christian. E poi: — Chi diavolo è Bach?
Ma non si liberò del registratore. Né lo diede alla donna che venne a chiedergli per quale ragione l’omino con gli occhiali si fosse trattenuto. — È rimasto per almeno dieci minuti.
— Io l’ho visto solo per trenta secondi — rispose Christian.
— Ebbene?
— Voleva che ascoltassi dell’altra musica. Aveva un registratore.
— Te l’ha dato?
— No. Ma non l’ha ancora con sé? — chiese Christian.
— Deve averlo lasciato cadere nel bosco.
— Ha detto che era Bach.
— È proibito. Questo è tutto quello che devi sapere. Se trovassi il registratore, Christian, conosci la legge.
— Lo darò a lei.
Lei lo guardò attentamente. — Lo sai cosa succederebbe se ascoltassi quelle cose.
Christian annuì.
— Molto bene. Lo cercherò anch’io. Ci vediamo domani, Christian. E la prossima volta che qualcuno resta, non parlargli. Limitati a tornare a casa e a chiudere a chiave le porte.
— Lo farò — disse Christian.
Quando lei se ne andò, suonò per ore lo Strumento. Vennero altri Ascoltatori e quelli che già avevano sentito Christian furono sorpresi dalla confusione della sua canzone.
Quella notte vi fu un temporale estivo, vento, pioggia e tuoni, e Christian scoprì che non riusciva a dormire. Non a causa della musica del temporale… aveva dormito durante centinaia di questi. Era colpa del registratore appoggiato dietro lo Strumento contro la parete. Christian aveva vissuto per circa trent’anni circondato solo da questo luogo bello e selvaggio, e dalla musica da lui stesso composta. Ma ora…
Ora non poteva fare a meno di porsi delle domande. Chi era Bach? Chi è Bach? Com’è la sua musica? In che cosa è diversa dalla mia? Ha scoperto cose che io non conosco?
Com’è la sua musica?
Com’è la sua musica?
Com’è la sua musica?
Finché all’alba, quando il temporale si era ormai calmato e il vento era cessato, Christian si alzò dal letto in cui non aveva dormito, ma dove si era solo rigirato per tutta la notte, prese il registratore dal suo nascondiglio e lo accese.
Dapprima udì qualcosa di strano, come un rumore, sonorità bizzarre che non avevano niente a che fare con i suoni della vita di Christian. Ma la struttura era chiara, e alla fine della registrazione, che durò meno di mezzora, Christian aveva padroneggiato l’idea della fuga e il suono del clavicembalo gli rodeva la mente.
Ed ogni notte, per molte notti, ascoltò la registrazione, imparando sempre di più finché arrivò l’Osservatore.
L’Osservatore era cieco ed un cane lo guidava. Venne alla porta e poiché era un’Osservatore la porta si aprì davanti a lui senza bisogno che bussasse.
— Christian Haroldsen, dov’è il registratore? — chiese l’Osservatore.
— Il registratore? — domandò Christian; poi capì che era inutile, prese l’apparecchio e lo diede all’Osservatore.
— Oh, Christian! — disse l’Osservatore, e la sua voce era triste e dolce. — Perché non l’hai restituito senza ascoltarlo?
— Volevo farlo — ripeté Christian. — Ma lei come ha fatto a saperlo?
— Perché all’improvviso le fughe sono scomparse dalle tue opere. All’improvviso le tue canzoni hanno perso quell’unico elemento bachiano. E hai smesso di sperimentare nuovi suoni. Che cosa stavi cercando di evitare?
— Questo — disse Christian; si sedette allo strumento e al primo tentativo riprodusse il suono del clavicembalo.
— Eppure non hai mai provato a farlo fino ad ora, vero?
— Pensavo che l’avrebbe notato.
— Fughe e clavicembalo… le prime cose che hai notato… e le sole cose che non hai assorbito nella tua musica. Tutte le tue altre canzoni di queste ultime settimane sono permeate e influenzate da Bach, in ogni possibile sfumatura. Solo che non c’erano né fughe né clavicembali. Tu hai infranto la legge. Eri stato messo qui perché eri un genio, capace di creare cose nuove con la natura come unica ispiratrice. Ora, naturalmente, tu imiti, derivi le tue idee e ogni autentica innovazione creativa ti è impossibile. Devi andartene.
— Lo so — disse Christian, spaventato, ma senza capire effettivamente come sarebbe stata la vita al di fuori di quella casa.
— Ti addestreremo per il tipo di lavoro che ora sei in grado di fare. Non morirai di fame. Non morirai di noia. Ma poiché hai infranto la legge, d’ora in poi una cosa ti è proibita.
— La musica.
— Non tutta la musica. C’è un genere di musica, Christian, che la gente comune, quelli che non sono Ascoltatori, possono avere. La musica della radio e della televisione, e quella dei dischi. Ma la nuova musica, e quella dal vivo… ti sono proibite. Non puoi cantare. Non puoi suonare uno strumento. Non puoi battere il ritmo.
— Perché no?
L’Osservatore scosse la testa. — Il mondo è troppo perfetto, troppo pacifico, troppo felice perché possiamo permettere ad uno spostato che ha infranto la legge di andare in giro a seminare scontento. La gente comune si affida ad un certo genere di musica casuale, e non conosce niente di meglio perché non è portata ad imparare. Ma se tu… lasciamo perdere. È la legge. E se tu creerai ancora musica, Christian, verrai punito severamente. Severamente.
Christian annuì, e quando l’Osservatore gli disse di andare, lui andò, lasciandosi alle spalle la casa, i boschi e lo Strumento. Dapprincipio la prese con tranquillità, come un’inevitabile punizione per la sua infrazione; ma lui non sapeva niente di punizioni o di quello che significasse l’esilio dal suo Strumento.
Dopo cinque ore, gridava e colpiva chiunque tentasse di avvicinarsi a lui, perché le sue dita bruciavano dal desiderio di toccare le chiavi, le leve, le barre e i tasti dello Strumento, e non potevano farlo, e allora capì che prima non era mai stato solo.
Ci vollero sei mesi prima che fosse pronto per la vita normale. E quando lasciò il centro di Riabilitazione (un edificio piccolo, perché veniva usato molto raramente), aveva un aspetto stanco, sembrava molto invecchiato e non sorrideva a nessuno. Divenne autista per una ditta di trasporti, perché i test avevano indicato che questo era il lavoro che meno gli sarebbe pesato, e gli avrebbe ricordato il meno possibile ciò che aveva perso, e in più avrebbe stimolato quelle poche attitudini ed interessi che ancora gli rimanevano.
Consegnava noccioline alle drogherie.
E di notte scoprì i misteri dell’alcool, e l’alcool, le noccioline, il camion ed i suoi sogni erano sufficienti a rendergli la vita accettabile. Non serbava rancore. Avrebbe potuto vivere così per il resto della sua vita, senza amarezza.
Consegnava noccioline fresche e ritirava quelle stantie.
Secondo Movimento
— Con un nome come il mio, — diceva sempre Joe — dovevo aprire un bar con tavola calda. Solo così avrei potuto appendere l’insegna Bar e Tavola Calda da Joe. — E rideva, rideva, perché dopo tutto, Bar e Tavola Calda da Joe era una cosa buffa per quei tempi.