Perché vi erano ancora alcune persone, una o due ogni anno, che cadevano vittime di un circolo vizioso creato da loro stessi, persone che non riuscivano ad adattarsi al sistema né a danneggiarlo, persone che continuavano a violare la legge anche se sapevano che questo le avrebbe distrutte.
Alla fine, quando le gentili mutilazioni e privazioni non riuscivano a curare la loro follia e a reintegrarli nel sistema, veniva loro data un’uniforme ed anch’essi andavano fuori. Ad Osservare.
Le chiavi del potere erano affidate alle mani di coloro che più avevano ragione di odiare il sistema che erano chiamati a conservare. Erano infelici?
— Sì — rispondeva Christian nei momenti in cui osava porsi questa domanda.
Nel dolore compiva il suo dovere. Nel dolore invecchiava. E alla fine gli altri Osservatori, che onoravano l’uomo silenzioso (perché sapevano che una volta aveva cantato canzoni magnifiche), gli dissero che era libero. — Il tuo servizio è finito — gli disse l’Osservatore senza gambe, e sorrise.
Christian alzò un sopracciglio come per dire: — E allora?
— Allora puoi andare.
Christian se ne andò. Si tolse l’uniforme, ma poiché non gli mancava né il tempo né il danaro, poche porte rimasero chiuse per lui. Andò dove aveva vissuto nelle sue vite precedenti. Una strada tra le montagne. Una città dove una volta aveva conosciuto ogni ingresso di servizio di drogherie, caffè e ristoranti. E infine andò in un luogo nei boschi dove una casa stava cadendo e pezzi perché nessuno l’aveva più abitata per quarant’anni.
Christian era vecchio. Il fragore del tuono gli suggerì solo che stava per piovere. Tutte le vecchie canzoni. Tutte le vecchie canzoni, pianse dentro di sé, ma solo perché non riusciva a ricordarsele e non perché la sua vita fosse stata particolarmente triste.
Mentre era seduto in un caffè nella città vicina per ripararsi dalla pioggia, sentì quattro ragazzi che strimpellavano la chitarra cantando una canzone che lui conosceva. Era una canzone che aveva inventato mentre l’asfalto colava in un torrido giorno d’estate. I ragazzi non erano musicisti, e certo non Compositori, ma cantavano con il cuore ed anche se le parole erano allegre, la canzone riusciva a commuovere tutti quelli che la ascoltavano.
Christian scrisse sul taccuino che portava sempre con sé e mostrò ai ragazzi la domanda: — Da dove viene quella canzone?
— È una canzone di Sugar — disse il capo del gruppo. — È una canzone composta da Sugar.
Christian alzò un sopracciglio, facendo un gesto noncurante.
— Sugar era un tizio che lavorava in una squadra che costruiva strade, e componeva canzoni. Ma è morto, ora.
— Sono le canzoni migliori del mondo — disse un altro ragazzo, e tutti annuirono.
Christian sorrise. Poi scrisse (ed i ragazzi aspettavano con impazienza che il vecchio se ne andasse); — Non siete felici? Perché cantate canzoni tristi?
I ragazzi non seppero cosa rispondere. Ma il capo saltò su e disse: — Certo che sono felice. Ho un buon lavoro, una ragazza che mi piace, e non potrei chiedere di più. Ho la mia chitarra. Ho le mie canzoni. I miei amici.
E un altro ragazzo disse: — Queste canzoni non sono tristi, signore. Certo, fanno piangere la gente, ma non sono tristi.
— Sì — disse un altro. — È solo che sono state scritte da un uomo che sapeva.
Christian scribacchiò: — Sapeva cosa?
— Sapeva. Sapeva e basta. Sapeva tutto.
E poi i ragazzi ritornarono alle loro chitarre e alle loro voci giovani e inesperte. Christian si avviò verso la porta perché aveva smesso di piovere, e perché sapeva quando era ora di abbandonare la scena. Si voltò e fece un lieve inchino verso i cantanti. Loro non se ne accorsero, ma le loro voci erano tutto l’applauso di cui aveva bisogno. Si allontanò dall’ovazione e uscì all’aperto, dove le foglie stavano appena cambiando colore e dove presto, con un piccolo suono inudibile, si sarebbero staccate e poi sarebbero cadute a terra.
Per un attimo credette di aver udito se stesso cantare. Ma era solo un’ultima folata di vento, che si infilava tra i cavi al di sopra della strada. Era una canzone carica di frenesia, e Christian pensò di aver riconosciuto la propria voce.