Quindi non è difficile per me immaginare mio padre che si allontanava nel vicolo una sera, dopo un’altra infelice cena nella propria cucina, e intuire quello che pensava. Mi chiedo se contemplasse mai l’idea di andare semplicemente giù al Dog come prima, evitando del tutto l’Earl of Rochester, evitando del tutto Hilda Wilkinson, ritornando tranquillamente alla sua vecchia vita che, per quanto limitata e ristretta, almeno gli prometteva i modesti vantaggi della prevedibilità e una sorta di armonia. Naturalmente no: solo una pensosa nostalgia poteva far risorgere la sua vecchia vita, la vita di prima di Hilda; aveva sentito troppe volte i suoi seni sotto le mani, la dolcezza del suo ventre premuto contro il proprio, soprattutto l’euforia vertiginosa delle sue dita che gli slacciavano i bottoni della patta — e mentre i ricordi di queste sensazioni lo inondavano, gli si induriva nei pantaloni, anche se continuava a camminare, e ogni dubbio, ogni esitazione, svaniva. La cosa era al di fuori del suo controllo.
Ricordo molto bene una sera al Rochester. Era una sera maledettamente terribile, resa più maledetta del solito dal fatto che mio padre covava ancora dentro di sé il cattivo umore che si portava dietro da Kitchener Street. Sembrava più a disagio di sempre mentre sedeva fra gli amici di Hilda, fra le dorature e gli specchi del pub affollato, e io mi chiedo se per caso vide entrare uno dei clienti abituali del Dog — la qual cosa l’avrebbe messo in ansia, lo so, per il pensiero che Ernie Ratcliff l’avrebbe saputo, essendo questi una persona a cui piaceva spettegolare e sparlare di tutti. Così rimase seduto immobile per più di un’ora, aggrondato e silenzioso, e neppure Hilda riuscì a scaldarlo. Quando lasciarono il pub, lei si dimostrò fredda e altezzosa, non gli permise di offrirle il braccio mentre camminavano insieme nella notte. Percorrendo un vicolo nei pressi di Spleen Street (io ero vicino a loro, a questo punto, e strisciavo silenzioso nel buio come un’ombra), mio padre tentò di spingerla contro il muro. Lei non voleva assolutamente! Oh, si ribellò allora, e lui arretrò — che mitragliatrice era quella donna quando si arrabbiava! Gli occhi le scintillavano. «Non ti dai molto da fare, eh, idraulico?» gridava. «Non fai troppi sforzi, vero? Non so perché diavolo mi impiccio con uno che se ne sta lì seduto tutta la sera come un becchino. Si può sapere cos’hai, eh?» Adesso si stava scaldando, il mento proteso, il cappotto di pelliccia all’indietro, le mani sui fianchi di una camicetta tesa. Mio padre si era girato e guardava il vicolo, in direzione del punto in cui ero accucciato io, dietro un bidone della spazzatura. «Lasciami in pace, Hilda,» disse stancamente, tirando fuori il tabacco.
«’Lasciami in pace?’ È da ridere, detto da te. Lasciami tu in pace, idraulico. Stai lì seduto tutta la sera come un maledetto cadavere, e poi vuoi toccarmi in un vicolo? Ma cos’hai? Non ti ho già pagato per i tuoi tubi?»
Lo vidi irrigidirsi, allora, perché questo lo toccava nel vivo. All’estremità opposta del vicolo, il lampione gettava scintille di luce nelle fessure del selciato e lungo gli spigoli dei mattoni. Pagato per i tubi? Pagato per i tubi? Era così, allora? Non aveva avuto soldi da lei per il lavoro, sapeva che non sarebbe mai stato pagato — è così che lo considerava, quindi, un pagamento per un servizio? Il colore porpora gli svanì dal volto, rimise la scatola del tabacco in tasca. Hilda lo guardò, assunse un’aria di nonchalance, spinse in fuori il grosso mento. «Allora, idraulico, è vero o no?»
Lui rimase immobile, bianco di rabbia, dandole ancora le spalle; lottava per riprendere il controllo. Avrebbe voluto solo colpirla molto forte, lo vedevo: conoscevo quello sguardo — voleva farle davvero male, farle male come lei aveva fatto male a lui. «Vieni qui, idraulico,» la sentii dire.
Non si mosse.
«Dai, idraulico.» Un tono suadente, adesso. La dolce Hilda. Lui si voltò. Il cappotto di pelliccia ancora all’indietro, le mani sui fianchi, lei stava appoggiata al muro con un ginocchio piegato in modo che la gonna risultasse sollevata, e gli sorrideva. «Vieni qui,» mormorò. E lui andò, come un cagnolino addestrato. Aveva una mano sul fianco, e con l’altra lo afferrò dietro la nuca, lo attirò a sé e lo baciò dolcemente sulla bocca. Le mani di lui erano sulle sue cosce, le sollevavano la gonna; improvvisamente era eccitato, sopraffatto dal desiderio di quella donna: voleva possederla subito, in quel momento, contro il muro; l’aveva duro nei pantaloni e già cercava i bottoni, era cieco e ansimante di passione — ma Hilda, sempre baciandolo, abbassò le braccia, gli prese i polsi, gli staccò le mani da lei e si liberò. Rise una volta, molto rauca, e con un brivido si chiuse la pelliccia. «Basta, idraulico,» disse afferrandogli i polsi, mentre lui tornava alla carica. «Devo andare a casa.» Mio padre incominciò a sussurrare furiosamente, allungò ancora le mani, e fu di nuovo respinto. Poi la vidi mettere una mano sulla faccia di lui. «Devo andare a casa,» ripeté, «fa freddo qui. Buona notte, idraulico.» Scuotendo la testa mentre lui tentava per un’ultima volta di trattenerla, scivolò via, percorse ondeggiando il vicolo in direzione della luce, lasciando mio padre in un’eccitazione confusa di rabbia e desiderio, in una corrente di emozioni contraddittorie.
Hilda era una prostituta, sapete. Era una sgualdrina e pagò mio padre con i servizi di una sgualdrina, anche se lui non lo capì fino a quella sera nel vicolo. Quando arrivò a casa mezz’ora più tardi — aveva fumato una sigaretta vicino al canale, malgrado il freddo della notte —, scopri con dispiacere che mia madre lo stava aspettando. Io udii i suoi passi nel cortile e poi lo sentii entrare dalla porta sul retro. Mia madre era seduta nel buio al tavolo della cucina, davanti a una tazza di tè, e lui non la vide finché non accese la luce. Il viso di lei, quando si voltò a guardarlo, era gonfio intorno agli occhi, come accadeva quando aveva pianto. «Ancora alzata?» borbottò, sedendosi pesantemente all’altro capo della tavola e chinandosi per slacciare gli stivali. Non riusciva a guardarla.