Poi dormii di nuovo, un sonno senza sogni, e mi svegliai presto la mattina di Natale, ancora calmo e felice per la sua visita notturna. Scivolai fuori dal casotto e giù per il sentiero che scendeva alle Tegole, e lungo le strade, deserte e silenziose alla mattina presto; le tende erano ancora chiuse e, dietro di esse, giacevano addormentati uomini e donne e bambini: mi sentivo strano a essere per strada mentre dietro le tende delle case buie e silenziose le famiglie dormivano ancora. In alcune di quelle case vivevano bambini che venivano alla mia stessa scuola, e nella mia immaginazione li vedevo rannicchiati nel letto coi fratelli e le sorelle, come animaletti al calduccio, mentre Spider camminava a grandi passi nelle prime ore del giorno.
Poi incominciai a correre, perché la giornata era fredda e c’era brina sui vetri delle finestre e le pozzanghere sul terreno apparivano coperte di ghiaccio e scricchiolavano sotto i miei stivali. Era una giornata luminosa: il grigio perla del cielo mattutino diventava lentamente azzurro mentre avanzavo correndo. Ero pervaso da una sensazione esilarante, adesso, la splendida sensazione di non essere più solo, di non essere più il caso difficile e la vittima della casa di mio padre, perché mia madre era con me ora, in un certo senso volava con me lungo quelle strade fredde, verso i docks, e la sua presenza dentro di me mi dava coraggio e decisione e speranza.
Più tardi, annoiato e stanco, tornai con passo lento a Kitchener Street: dove altro potevo andare? Nelle strade che percorrevo adesso c’era luce, e c’erano vita e movimento nelle case che superavo, il fumo usciva dai camini nell’aria fredda e pulita. Nel mio cuore c’era dolore mentre guardavo nelle finestre dei salotti lo scintillio del carbone acceso con i bambini riuniti intorno e le porte e le finestre chiuse, e io non avevo dove andare, eccetto che al numero 27, e niente da aspettarmi, tranne una frustata nella carbonaia e una notte in camera mia senza cena.
Il vicolo, il cortile, la porta sul retro. Mio padre non era a casa, c’era solo Hilda; cupo silenzio al mio arrivo. «Eccolo qui, finalmente. Sei fortunato che tuo padre sia fuori, ragazzo mio, è venuto a cercarti. Ecco la tua cena.» La tirò fuori dal forno e me la mise davanti; io ero semplicemente troppo affamato per preoccuparmi e la mangiai tutta, mentre lei mi guardava in silenzio. Nulla fu detto del topo.
Così mangiai la mia cena di Natale nel silenzio gelido della cucina, poi andai di sopra in camera mia e aspettai il ritorno di mio padre con non poca paura. Erano circa le otto quando sentii i suoi stivali nel vicolo, e poi lui attraversò il cortile; si era fermato al Dog and Beggar, lo capivo, e ciò non era un bene: le frustate erano sempre molto più dure quando era stato al Dog, perché l’alcol sembrava scatenare la sua rabbia. Entrò dalla porta sul retro; io aspettavo seduto di sopra che mi chiamasse, mentre mi ritiravo volontariamente nei più profondi recessi della parte di dietro della mia testa, dove solo Spider poteva andare. Poi… non accadde nulla! Non venni chiamato! Sentii le gambe della sedia trascinata mentre lui si sedeva a tavola, quindi un mormorio di voci — la porta era chiusa, per cui non so di cosa stessero parlando, anche se sono sicuro che l’argomento ero io. Mio padre non venne mai ai piedi delle scale a dirmi di scendere per frustarmi, così quello strano e, in un certo senso, splendido Natale passò.
In seguito, non fu difficile capire perché non ero stato frustato per il topo morto: dovevano tenermi buono. Cosa mi impediva di denunciarli? Semplicemente la prospettiva di restare senza casa, anche se loro non lo sapevano. Se denunciavo Horace e Hilda, sarei finito in carico allo stato e mandato in un orfanotrofio, ed era fin troppo facile immaginare le prepotenze che avvenivano in posti simili, la mancanza di solitudine, l’irreggimentazione. No, ero affezionato alla mia camera al numero 27, mi piaceva la mia vita di ragazzo povero, i miei insetti, il canale, i docks, il fiume e le nebbie, e adesso, in un certo senso, avevo anche mia madre. Per cui, no, non avevo alcuna voglia di cedere tutto questo per la soddisfazione di vedere quei due «dondolare» — non ancora, comunque. Ma loro non lo sapevano, non potevano essere sicuri della mia prossima mossa, per cui avevano interesse a tenermi buono. Quindi, niente frustate.
Ciò che non capii, se non più tardi, era che Hilda in una certa misura godeva dei miei stessi benefìci. Anche lei, vedete, voleva quel tetto sulla testa — un uomo che possedeva la propria casa era una creatura rara in quei tempi, e Hilda, essendo quello che era e com’era, avrebbe senza dubbio considerato tutto questo molto seriamente. Pensate, poi, a come doveva aver cantato vittoria quando mia madre era stata assassinata — quando aveva capito che, siccome si trattava di omicidio, lei poteva assicurarsi un posto sotto quel tetto! Non avrebbe provato il minimo interesse per mio padre altrimenti: di questo, sono sicuro; era una parassita cinica e fredda, decisa a ottenere il massimo da un uomo sul quale aveva ormai potere effettivo di vita o di morte — perché lei, come me, era in grado di denunciarlo quando voleva, e se era furba poteva evitare di finire sulla forca con lui.
A che punto mio padre comprese qual era la sua posizione? Sembrava che la storia del Canada fosse stata generalmente accettata e, per quanto riguardava la costante presenza di Hilda al numero 27, il fatto avrebbe potuto creare scandalo in una via meno intrisa di immoralità e corruzione, ma sulla Kitchener simili situazioni erano all’ordine del giorno. In Kitchener Street, gli uomini spedivano continuamente le mogli in Canada e invitavano delle prostitute a condividere il proprio letto; oppure erano loro ad andare oltremare, mentre altri uomini ne prendevano il posto in casa. Ciò suscitava a malapena qualche commento. Per cui, allora, in quel Natale, sembrava che se la fossero cavata — perlomeno finché io tenevo la bocca chiusa.
Suppongo che, alla fine, mio padre capì la realtà delle cose, quando Hilda gliela disse apertamente. Io, in verità, non la sentii, ma ricordo di averlo visto una sera in cortile, e chiaramente doveva essere successo qualcosa del genere. Quando mia madre era viva, vedete, mio padre aveva sempre avuto la tendenza — se lei lo infastidiva con i suoi brontolii — a uscire dalla porta sul retro. L’abitudine era profondamente radicata in lui e perciò, quando lo vidi correre fuori (avevano alzato la voce in cucina), capii che Hilda l’aveva fatto arrabbiare. Camminò furiosamente fino in fondo al cortile, infilandosi la giacca, poi si fermò dopo il cancello: sembrò che si fosse bloccato per l’indecisione, incapace di andare avanti o di tornare indietro. Quando vidi questa scena, mi sentii in preda al panico, non so bene perché — credo che l’unica cosa peggiore di avere Hilda e Nora per casa (e io odiavo Nora quasi con la stessa veemenza con cui odiavo Hilda: era una piccola ubriacona corrotta e cinica) fosse quella di averle senza mio padre. Lui rappresentava almeno una sorta di sicurezza per me, e io avevo la sensazione che, se fossi finito alla mercé di quei due mostri, sarei senza dubbio perito. Perciò non volevo vederlo esasperato, non ancora (anche se questo sarebbe cambiato). Era buio, fuori, e aveva appena incominciato a piovere; fu allora che lui sembrò giungere a una decisione, perché tornò nel cortile e si diresse verso la casa; ma dopo pochi passi si perse di nuovo d’animo e, invece di andare alla porta sul retro, entrò nel gabinetto. Seduto alla finestra, vidi la fioca luce della candela che aveva acceso filtrare dal buco a mezzaluna nella porta. Adesso pioveva forte, e io vedevo la pioggia cadere davanti alla mezzaluna e immaginavo mio padre dietro a quella porta, con i pantaloni alle caviglie e i gomiti appoggiati alle ginocchia; mi venne in mente che in quel momento eravamo tutti e due lontani dalle donne in cucina, e mi chiesi se i suoi sentimenti assomigliassero in qualcosa ai miei. Poi lo sentii tirare l’acqua, la candela fu spenta e lui emerse. Tornò in casa poco dopo, e ancora una volta sentii il mormorio delle voci in cucina.