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Non aveva mai visto vermi del genere prima. Strisciavano su tutto il compost, sullo sterco di cavallo, le bucce di patate, l’erba tagliata e le ossa sbriciolate, strisciavano e si dimenavano, queste piccole cose nere e grasse — e quale insetto, dev’essersi chiesto mio padre, mentre restava lì a grattarsi la testa (io stavo ancora spiandolo da dietro il casotto di Jack Bagshaw), quale insetto depone uova che si schiudono in una stagione così tarda, anche se poi comprese che il calore generato dalla decomposizione del compost era sufficiente per l’incubazione delle creature: scarafaggi, pensò, scarafaggi. Ma quale scarafaggio inglese produce larve del genere? Lo vidi prenderne una ed esaminarla sulla punta di un dito: una larva viscida, grassa, molle, gobba, e mentre questa si torceva, lui deve aver sentito la sua bava inumidire il terriccio che gli sporcava il dito, per cui se lo pulì sul didietro dei pantaloni, e poi col forcone rivoltò un altro strato di compost. Di nuovo lo sparpagliarsi di innumerevoli larve nere, e mio padre capì che tutto il mucchio era infestato. Lo vidi appoggiarsi al forcone e guardare, aggrottando la fronte, il suo compost rovinato; ma mentre cominciava a pensare a come liberare il suo orto dai parassiti, il freddo dell’aria invernale fu percepito dai vermi e, man mano che svaniva il loro calore, anche la loro attività rallentava — e iniziarono a morire. Fu in quel momento che vidi mio padre irrigidirsi all’improvviso e arretrare e stringersi il forcone al petto come per difendersi — e i suoi occhi si guardavano intorno come terrorizzati, intensamente terrorizzati, e io sapevo, sapevo che aveva sentito qualcosa sfiorarlo.

Non mi mossi, non respirai. Lo vidi rabbrividire, quindi gettare a terra il forcone e andare verso il casotto — ma poi il casotto incominciò a tremare (si stava facendo buio), a tremare come doveva aver tremato la notte in cui si era accoppiato con Hilda sulla poltrona, la notte in cui mia madre li aveva scoperti là. Poi incominciò a piovere e vidi mio padre che arretrava dal casotto, la faccia sconvolta dal terrore, arretrava sul sentiero mentre il casotto si alzava e vibrava sulle fondamenta con una violenza dieci volte superiore a quella della sera in cui Hilda si era distesa sulla poltrona con la gonna sollevata fino alla vita e lui le si era inginocchiato davanti coi pantaloni aperti e il suo pene a matita che sporgeva tra i bottoni. Era una finzione, questa, una cupa imitazione dello spettacolo a cui mia madre doveva aver assistito la notte in cui fu assassinata. E ancor prima che raggiungesse il cancello, mio padre poté sentire il terribile ansimare e gemere di piacere di Hilda, e a questo punto l’aria era densa di quella terribile energia nera e lui fuggì: lo vidi andarsene, lo vidi spingere la bicicletta sul sentiero e balzarvi sopra come se i diavoli dell’inferno lo inseguissero, e solo allora io uscii tra gli orti e incominciai a gridare e a saltare, riducendo il terreno a fango, mentre il buio scendeva rapidamente.

Ero là la domenica successiva, quando mio padre distrusse il mucchio del compost. Arrivai attraverso le Tegole, la salita dietro gli orti, e seguii i casotti fino a quello di Jack Bagshaw. Mio padre non era rimasto in ozio; durante la settimana era venuto dopo il lavoro per cospargere il terreno di pacciame, in maniera da impedire ai vermi di raggiungere le sue patate in primavera, e aveva eliminato i rifiuti e le foglie morte che potevano ospitare le larve. Ma aveva aspettato la domenica per bruciare il compost, per distruggere i vermi che c’erano dentro, e quindi lo vidi scavare una buca (naturalmente sull’altro lato dell’orto rispetto alla tomba di mia madre) e disporvi la base per un falò, pezzi di giornale, legnetti e qualche vecchia asse che aveva tenuto tutto l’inverno sotto una cerata dietro il casotto. Ben presto ci fu un bel fuoco, lo sentivo da dove ero nascosto; poi lui incominciò a buttarci sopra i rifiuti del giardino, perlopiù umidi, e il falò prese a fare moltissimo fumo. Quando aggiunse le prime palate di compost, il fumo diventò così denso che vedevo soltanto un’ombra che si muoveva avanti e indietro e prendeva il compost col forcone e lo gettava nel fuoco, e mi ricordai di un’immagine dell’inferno che avevo visto una volta, una specie di caverna con pareti scure su cui si condensava un pesante fumo nero proveniente dal basso, e nel fumo un diavolo impugnava un forcone non dissimile da quello di mio padre e la sua lunga coda puntuta oscillava nell’oscurità. Per quanto umido, il compost in qualche modo bruciava, o almeno si scioglieva, e il suo odore di letame e di vegetali marci era così cattivo che dovetti allontanarmi, via dietro ai casotti, giù verso le Tegole, e da lì mi diressi al fiume. Perfino da sotto, dal Crispin, potevo vedere il fumo che si alzava nel grigio cielo invernale, una lunga colonna sottile che piegava verso ovest quanto più saliva e alla fine si disperdeva nel nulla in direzione del sole al tramonto.

Quando fu quasi buio, tornai di nuovo agli orti. Non vidi alcun segno di mio padre, per cui scavalcai la recinzione e mi avvicinai ai resti del falò. La buca era ancora piena di compost, al centro del quale brillava un nucleo tondo, che si disfaceva nell’oscurità e scoppiettava improvvisamente quando il calore raggiungeva un ramoscello disperso o un filo di paglia e lo dissolveva. Verso il casotto, tutto ciò che rimaneva era una zona di terreno chiara e umida all’interno di una rete metallica. Io mi sbottonai i pantaloni e pisciai sulle braci del compost, e quando la piscia sibilò per il calore una colonna di vapore si levò nel buio, con puzza di letame.

Ricordai tutto questo stando appoggiato al forcone da giardiniere, i pantaloni di velluto che sbattevano, e guardando verso il muro di Ganderhill, al di là dei campi e delle alture alberate, verso le grosse nuvole bianche che correvano in un cielo blu tempestoso durante un fresco pomeriggio d’autunno dei primi anni Cinquanta.

* * *

Cos’altro dirvi? Quasi tutto quello che so a proposito degli avvenimenti di Kitchener Street l’ho scoperto in quel periodo. Perché quando mi calmai e riuscii di nuovo a pensare a quel tempo — cioè al terribile autunno-inverno dei miei tredici anni, quando mio padre incontrò per la prima volta Hilda Wilkinson —, ciò che trovai fu un miscuglio di sensazioni parziali: scene viste dalla finestra della mia camera, frammenti di discorsi sentiti dall’alto delle scale, pasti in quella brutta cucina e fugaci immagini di mio padre al lavoro nell’orto. Ma per quanto riguarda l’ordine e il significato di quei brandelli, li ricavai da ciò che misi insieme, nei tranquilli anni che seguirono, frammento dopo frammento, come una finestra rotta, finché il quadro non fu completo. E stranamente, man mano che la mia infanzia acquistava forma, l’acquistavo anch’io, Spider: diventavo più coerente, più deciso, più forte — incominciavo ad avere sostanza. Difficile crederlo, eh? Difficile crederlo, data la triste creatura che sono oggi, stasera, mentre sto qui a scrivere (in preda al terrore) nella torretta di questa bagnarola di casa, quasi oppresso dall’insorgere e dal fluire della vita che mi si schianta di fianco — oggi sono un fragile vascello, ma allora, pare, basandomi sulle certezze della routine e ricostruendo pezzo dopo pezzo gli eventi di quel tempo (l’apparizione di Hilda e il conseguente omicidio di mia madre, la distruzione della mia casa e la tragedia che ne seguì), allora io sembrai per un po’, prima della mia dimissione, un uomo.

Immaginatemi allora, da giovane: Spider a venticinque anni, alto e magro come adesso, ma con qualcosa — riuscite a vederlo? Per quanto pazzo, è però presente una vitalità, un fuoco, nella lucentezza della mia pelle, nell’energia instancabile con cui lavoro nell’orto da mattina a sera, è presente nei miei occhi — non come il triste velo che offusca lo sguardo di Spider in questi giorni. Un bell’uomo, perfino! Immaginatemi nell’orto in maniche di camicia e pantaloni di velluto gialli, una figura nervosa e muscolosa che rivolta la terra su quella collina del Sussex, in quell’aria frizzante, stagliata contro il cielo — riuscite a vedermi? Le foglie volteggiano intorno a me, foglie rosse, dorate, che cadono dall’olmo vicino al muro, e io faccio una pausa, conficco la vanga nel terreno e mi volto, di nuovo, verso il panorama che sono arrivato ad amare così tanto, le linee delle terrazze, il campo da cricket, il muro di cinta con i vecchi mattoni che risplendono di una dolce luce rossastra nell’aria fresca e pulita, e al di là del muro la fattoria e le colline, gli alberi come vivide pennellate di colore in questo pomeriggio autunnale. Oh, fuori una Rizla, e la cartina mi trema selvaggiamente fra le dita mentre compare la scatola di Old Holbron e il vento incolla il rozzo tessuto della camicia grigia del manicomio alle ossa del mio tronco magro, e i pesanti pantaloni di velluto giallo mi sbattono sugli stinchi! Stasera mi vedete in uno stato di decadenza, una fragile lampadina che ospita un filamento incerto e tremolante, ma in quei giorni avevo un corpo, e uno spirito vigoroso vi ardeva dentro!