Al sabato sera, mio padre e mia madre andavano sempre al pub insieme. Dalla finestra della mia camera, dove sedevo con i gomiti sul davanzale e il mento appoggiato alle mani, li vedevo sbucare dalla porta sul retro e attraversare il cortile, poi uscire dal cancello sul vicolo. Sedevano sempre allo stesso tavolino rotondo nel locale del bar, vicino al caminetto. Non avevano molto da dirsi; di tanto in tanto, mio padre andava al banco e il padrone, un uomo di nome Ratcliff, lo serviva. «Il solito, vero, Horace?» diceva, e mio padre annuiva con la sigaretta fra le labbra mentre cercava le monete nei pantaloni.
Ho accennato al fatto che ho passato in Canada gli ultimi vent’anni. Su quegli anni non ho intenzione di dire niente, a parte questo: ho passato molto tempo a pensare agli avvenimenti che sto descrivendo qui e sono arrivato ad alcune conclusioni che, per ovvie ragioni, non mi sarebbero mai venute in mente allora; le rivelerò nel prosieguo della storia. Per quanto riguarda il contatto iniziale di mio padre con Hilda Wilkinson, ritengo che l’abbia sentita prima di vederla — era una donna rumorosa (soprattutto quando aveva un bicchiere in mano) e c’era una nota leggermente velata nella sua voce, una specie di raucedine che alcuni uomini trovavano attraente. Vedo mio padre al Dog, seduto eretto su una sedia con lo schienale rigido, vicino al fuoco, mentre all’altra estremità della sala Hilda è in piedi al centro di un vivace gruppo di bevitori. Prorompe in quella sua risata, e per la prima volta lui se ne accorge. Lo vedo sussultare, lo vedo girarsi, lo vedo aggrottare la fronte mentre cerca l’origine del rumore — ma non riesce a individuarla, perché il Dog è affollato e lui non ha gli occhiali. È un uomo troppo guardingo per lasciare che mia madre o chiunque altro capisca quello che sta succedendo, per cui l’immagine di Hilda che egli si costruisce quella sera è basata su una serie di occhiate rapide e furtive, indirizzate quando va al bar o fuori al gabinetto — magari, in mezzo a un gruppo di uomini, scorge una fuggevole visione del suo collo (arrossato dal caldo e dall’alcol) e della sua nuca, i capelli biondi raccolti e fìssati alla sommità del capo in una crocchia disordinata; o, poco dopo, vede per un momento la sua mano, con le dita pallide e paffute che reggono un bicchiere di porto dolce e una sigaretta; o fissando, con apparente disinteresse, il pavimento, scopre una caviglia bianca e un piede in una consunta scarpa nera col tacco alto — e intanto sente sempre quella voce velata che scoppia in rauche risate.
Mentre riaccompagnava a casa mia madre, gli stivali chiodati risuonanti sulle pietre del vicolo, mio padre conservava nella mente questi lacerti e frammenti della donna che rideva nel pub. I miei genitori ebbero un rapporto sessuale quella sera, come ogni sabato sera, ma non credo che nessuno di loro fosse davvero presente. Mia madre era distratta da una serie di preoccupazioni e mio padre stava ancora pensando a quella bionda, e nella sua immaginazione credo che si accoppiasse con lei, non con mia madre.
Tornò al Dog la sera dopo, e Ratcliff ebbe il tempo di appoggiare un braccio sul bancone e bere un whisky con lui e fare qualche osservazione sulla partita del sabato. Fu nel corso di queste chiacchiere che mio padre scorse vagamente, alle spalle del suo interlocutore, nel séparé di fronte, un grande viso arrossato sotto un cespo di capelli biondi in disordine, e un attimo dopo colse di nuovo le note di quella voce robusta. Avvertì una subitanea vampata di calore interno e perse ogni interesse per le chiacchiere del padrone. «Cliente, Ernie,» mormorò indicando il séparé, e Ratcliff si guardò sopra la spalla. A bassa voce disse: «È quella cicciona di Hilda Wilkinson» — poi si fece strada tranquillamente attraverso il bar per servire la donna.
Quella sera avvenne abbastanza poco rispetto a un vero incontro. Mio padre rimase nel pub, sforzandosi di vedere e sentire quello che succedeva nel séparé, e nello stesso tempo cercando di sapere qualcosa da Ernie Ratcliff, benché il padrone si rivelasse piuttosto deludente, perché voleva parlare solo di calcio. A un certo punto, mio padre notò un’altra donna che si avvicinava al bar, una del gruppo che circondava Hilda la sera prima: una donna piccola con un cappellino, che posò dei bicchieri vuoti sul bancone e chiese con voce tranquilla e tono mascolino una bottiglia di birra scura e una di porto dolce.
Mio padre non se ne andò fino all’ora di chiusura. La serata era fredda e aveva incominciato a cadere una pioggia leggera. Lui rimase in piedi sul marciapiede, con il berretto calcato sulla testa, e impiegò qualche momento ad arrotolarsi una sigaretta. Un improvviso lampo di luce a qualche metro di distanza, all’angolo, gli disse che la porta del séparé si era aperta; alzando gli occhi vide che Hilda Wilkinson e la sua amica erano uscite. Per un attimo, lei lo guardò fìsso e lui incontrò il suo sguardo con la coda dell’occhio, la lingua sul bordo della cartina della sigaretta. Per la prima volta, la vide distintamente — che splendida donna era, che donna vivace, con il seno prosperoso e la pelle chiara, una superfemmina! Con il cappotto di pelliccia frusto che le sventolava intorno, la pioggia che le cadeva sulla testa scoperta, illuminata dalla luce che usciva ancora dal pub, lei osservò apertamente mio padre, col grande mento alzato, e all’improvviso… Dio buono, come la desiderava, questo lui seppe con maggiore sicurezza di quanto aveva mai saputo qualcosa in vita sua! Poi la porta si richiuse, la luce scomparve e le due donne si affrettarono insieme nella pioggia e nella notte.