Una sera tardi, prima che incominciassero i canti, Spider era disteso sulla schiena vicino al caminetto e cercava di prendere il suo quaderno. Finalmente comparve quell’oggetto sporco, e lui lo portò sul tavolo e lo aprì all’ultima annotazione. Prese la matita e incominciò a scrivere.
La presenza nel mio corpo del verme e dei ragni — scrisse — mi ha fatto comprendere di essere morto. Questo è quello che farò. Quando questo brano sarà completato, mi metterò il cappotto e lascerò la casa. È una bella notte, e la luna è perfettamente piena. Lascerò la casa in silenzio e andrò giù al fiume, dove ci sono i magazzini e gli scalini scivolosi. Durante il percorso, mi fermerò spesso per raccogliere dei sassi, meglio se pesanti, e con essi riempirò le molte tasche dei vari indumenti che indosso. Senza dubbio il mio cammino diventerà sempre più lento man mano che i miei vestiti si faranno più pesanti, ma io continuerò a camminare nelle strade illuminate dalla luna e, quando avrò raggiunto i gradini scivolosi, sarò davvero molto pesante. Costituirò allora una figura curiosa, il vostro vecchio Spider — vuoto dentro, tranne che per il verme e i ragni, avvolto esternamente in cartoni e giornali e strati di vestiti appesantiti con sassi… e morto! Strano zombie, no? Starò in cima ai gradini scivolosi e guarderò la luce della luna sul fiume e penserò al Mare del Nord. Penserò a quel mare morto che si gonfia sotto la luna e incomincerò allegramente a scendere, e nella mia immaginazione vedrò la pallida luce scintillare sulle onde e, quando il fiume lambirà queste mie grosse scarpe da manicomio, quando afferrerà e tirerà a sé e rivolterà le stoffe che mi coprono, quando le mie gambe si bagneranno e le calze si inzupperanno, penserò al silenzio del mare sotto la luna. E quando sarò dentro fino al petto, starò ancora pensando al Mare del Nord, e dentro di me starò esultando: oh sì, starò esultando alla prospettiva del silenzio e del buio e dell’umidità e del sonno. Ma a quel punto il fiume mi avrà abbracciato, e io affonderò, e non resterà nulla del vostro vecchio Spider, tranne un quaderno sporco infilato in un camino.
È un bel quadro, no? È una bella morte. Ma non fa per me. Non farò così, per quanto attraenti siano il silenzio, l’umidità, le onde illuminate dalla luna. No, c’è una sola via d’uscita per me, e non è il fiume. Ci penso da settimane, ormai, da quando ho trovato quel bel pezzo di corda — che Hilda credeva di poter portarmi via! Be’, l’ho trovato io. L’ho trovato nell’armadietto sotto il lavello della cucina, e adesso lo userò. Dove? Su in solaio, naturalmente, dove quelle sue maledette creature possano vedere a cosa mi hanno portato! Possono sghignazzare, possono parlare, possono cantare e battere gli sporchi piedi, possono far danzare la polvere nella luce della luna e disegnare figure sul soffitto, ma ciò impedirà forse al vostro Spider di salire su una vecchia sedia con l’estremità libera della fune infilata nell’anello a formare un cappio? Gli impedirà di fissare la corda a una trave? E di mettere la testa nel cappio? Gli impedirà di dare un calcio alla sedia? No, non glielo impedirà!
Oh, basta. Ascoltate, la casa è così tranquilla che si possono sentire le anime morte tossire e borbottare nel sonno. Ma c’è un problema: perché continuo a pensare ai denti di John Giles? Ai suoi denti falsi, voglio dire: a quelli che gli diedero dopo avergli cavato quelli autentici? Vivevano in un bicchiere d’acqua su una mensola nella stanza degli infermieri e, prima di ogni pasto, lui andava là e glieli davano; dopo aver mangiato, li restituiva. Be’, ci fu un’estate in cui John era stato molto tranquillo per alcuni mesi e si decise per la prima (e unica) volta di provare a metterlo in un reparto da basso, e si concordò anche sul fatto che se stava abbastanza bene per andare da basso il suo stato di salute poteva consentirgli di indossare i suoi denti. Io lavoravo negli orti, a quell’epoca, e per me una delle grandi gioie dell’estate era il cricket, perché dal vecchio giardinetto del té godevo un’ottima vista del campo sottostante. Un pomeriggio, Ganderhill ospitava la squadra di un paese vicino, e i degenti dei reparti da basso andarono ad assistere alla partita, John compreso. Forse fu il sole, ma proprio a metà dell’incontro lui entrò in agitazione. Da dove mi trovavo, sentivo i colpi del cuoio sul legno di salice, le ondate di applausi, le grida improvvise ai vantaggi — tutti questi rumori arrivavano fin su; all’improvviso, udii una voce che ruggiva: «Austin Marshall, dov’è il mio cervello? Dov’è il mio cervello, bastardo?» Guardai giù e, in mezzo ai giocatori, c’era John. Guardava gli edifici in alto e agitava il pugno. «Bastardo!» urlava. «Dov’è il mio cervello?» (John credeva che, mentre lui dormiva, il direttore gli avesse rubato il cervello.) Quando tre o quattro infermieri stavano avanzando cauti verso di lui sul campo, il dottor Austin Marshall apparve sulla terrazza superiore e gridò: «Cosa succede, John?» Mi voltai verso di lui, riparandomi gli occhi dal sole. La vista del direttore non fece che irritare ulteriormente il povero John, che si mise a correre verso le scale. Gli infermieri lo bloccarono subito e, mentre lui lottava selvaggiamente e continuava a gridare, lo portarono fino alla terrazza superiore, e poi direttamente nel «reparto duro». Solo dopo che l’ebbero condotto là, si scoprì che aveva perso i suoi denti.
Be’, per un giorno o due questo ci fornì un argomento di conversazione, poi ce ne dimenticammo. Due settimane dopo ero intento a raccogliere lattuga nei campi vicino al sentiero. Si trattava di una bella lattuga, del tipo che cresce in estate, l’Augusta, una varietà croccante, verde, con il cespo che si apre. Era un’estate fresca, e questo è salutare per la lattuga, visto che il clima caldo rende le foglie amare e favorisce i bruchi. Ho coltivato molti tipi di insalata, ma l’Augusta è quella che preferisco, il più dolce e morbido. Stavo raccogliendo la mia Augusta, quindi, quando vicino al sentiero mi imbattei in un cespo particolarmente bello. Scostai le grosse foglie verdi più esterne e lì, proprio al centro, vidi i denti di John! Che mi sorridevano! E allora sentii la lattuga che diceva: «Dov’è il mio cervello, bastardo!»