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Lo scatto della contrazione la scaglia in piedi. Le due gore gemelle delle fiamme intorno agii stoppini si avvolgono su se stesse, si attorcono furiosamente per diventare fiamme convenzionali di candele, che guizzano nuove nel tempo normale. Tablas, tambouras e una chitarra basso si uniscono alla chitarra, e la seguono in un energico intreccio intorno a una settima minore che continua a tentare, invano, di trovare una risoluzione nella sesta. Le candele rimangono in prospettiva, ma rimpiccioliscono fino a scomparire.

Shara incomincia a esplorare le possibilità del movimento. Dapprima si muove solo perpendicolarmente alla linea visuale della telecamera, ed esplora quella dimensione. Ogni movimento delle braccia, delle gambe e della testa appare chiaramente come una sfida alla gravità, ad una forza inesorabile come il decadimento radioattivo, l’entropia stessa. Gli slanci più violenti d’energia riescono solo per qualche tempo… le gambe protese ricadono, il braccio proteso si abbassa. Deve lottare o cadere. Indugia, pensosa.

Le braccia e le mani si tendono verso la telecamera, e in quel momento tagliamo e passiamo ad una inquadratura da sinistra. Vista da destra, Shara si protende in questa nuova dimensione, e presto incomincia a muoversi in essa. (Mentre arretra uscendo dal campo della telecamera, l’immagine si sposta a destra sul nostro schermo, scacciata dall’immagine di una seconda telecamera, che la inquadra mentre la prima la perde, senza suture visibili.)

Anche la nuova dimensione non soddisfa in Shara il desiderio di liberarsi dalla gravità. Tuttavia combinarle entrambe offre tante permutazioni di movimento che per qualche tempo, inebriata, si slancia nella sperimentazione. Per quindici minuti, Shara ricapitola la sua storia nella danza, in un tour de force accecante che incorpora elementi di jazz, danza moderna e gli aspetti più eleganti della ginnastica a corpo libero delle Olimpiadi. Cinque telecamere funzionano, singolarmente o a coppie sullo schermo diviso, mentre tutti i «trucchi» accumulati in un’intera vita di studio e d’improvvisazione vengono riscoperti ed eseguiti da un corpo superbamente addestrato e versatile, in un’esplosione pirotecnica che sarebbe un grido di gioia se la sua espressione non rimanesse distaccata, quasi arrogante. Questa è l’offerta, sembra dire Shara, che voi non avete voluto accettare. Questa, in se stessa, non bastava.

E non basta. Anche nell’energia divampante e nel controllo totale, il corpo di Shara ritorna continuamente al compromesso finale della semplice postura eretta, l’ultimo rifiuto di cadere.

Serrando i denti, esegue una serie di balzi, sempre più lunghi e sempre più alti. Alla fine sembra librata per interi secondi, e si sforza di volare. Quando, inevitabilmente, ricade, lo fa con riluttanza, e solo all’ultimo istante possibile torna a posare i piedi. I musicisti sembrano presi da una frenesia in crescendo. Ora la vediamo soltanto attraverso la prima telecamera, e le candele gemelle sono riapparse, piccole ma luminose.

I balzi diminuiscono d’intensità e d’altezza, e Shara impiega più tempo per preparare ognuno di essi. Sta danzando da quasi venti minuti: mentre le fiammelle delle candele cominciano a impallidire, si dilegua anche la sua forza. Finalmente si ritira sotto il pendolo indifferente, si raccoglie con disperazione e si slancia a corsa verso di noi. Raggiunge un’incredibile velocità in quel tratto brevissimo, si avventa roteando due volte su se stessa e balza in aria su di un piede solo, e un secondo più tardi sembra premere contro l’aria vuota per guadagnare qualche altro centimetro di altezza. Il suo corpo s’irrigidisce, gli occhi e la bocca si spalancano, le fiamme raggiungono il massimo fulgore, la musica culmina nel gemito tormentato della chitarra elettrica e… e Shara ricade, rotolando appena in tempo, e si rialza soltanto a mezzo. Resta così per un lungo momento, e gradualmente abbandona la testa e le spalle verso il pavimento, sconfitta. Le fiamme delle candele si restringono curiosamente e sembrano sul punto di spegnersi. La chitarra basso continua a suonare, modulando verso un re.

Muscolo per muscolo, il corpo di Shara rinuncia alla lotta. L’aria sembra tremolare intorno agli stoppini delle candele, che adesso sono divenute alte quasi quanto la sua figura accasciata.

Shara leva il viso verso la telecamera, con uno sforzo evidente. L’espressione è angosciata, gli occhi socchiusi. Un lungo rullo di tamburo.

All’improvviso spalanca gli occhi, raddrizza le spalle e si contrae. È la contrazione più squisita e totale mai sognata, registrata a tempo reale ma tale da dar l’impressione di svolgersi al rallentatore. La continua. Mahavishnu riattacca con la chitarra, in un crescendo costruito partendo da una corda di basso a un re con la quarta bemolle. Shara resta immobile.

Per la prima volta passiamo a una telecamera in alto, e la guardiamo da una grande altezza. Mentre il pizzicato di Mahavishnu cresce fino a quando l’accordo sembra un ronzio sordo e prolungato, Shara alza lentamente la testa, continuando a mantenere la contrazione, fino a che guarda direttamente verso di noi. Rimane così per l’eternità, come una molla pronta a scattare, caricata al massimo…

… ed esplode verso l’alto, verso di noi, sollevandosi sempre di più, e più rapidamente di quanto potrebbe, in un volo che adesso è al rallentatore, e si avvicina, si avvicina fino a quando le mani spariscono ai lati e il suo viso riempie lo schermo, fiancheggiato da due candele che in un momento sono sbocciate in sprazzi di fiamma gialla. La chitarra e la chitarra basso vengono sommerse in un’orchestra.

Quasi immediatamente, lei piroetta allontanandosi da noi, e l’inquadratura torna alla prima telecamera: la vediamo slanciarsi dall’altezza di dietri metri verso il pavimento, invertire l’assetto a mezz’aria e guizzare. Esce dall’avvolgimento in una traiettoria assolutamente piatta che la porta attraverso l’intera lunghezza della sala. Urta la parete di fondo con un tonfo che si ode nonostante la musica, e frantuma il pendolo immobile. Le sue cosce assorbono l’energia cinetica e poi la liberano, e ancora una volta corre verso di noi, con i capelli distesi orizzontalmente dietro di lei e un gran sorriso di trionfo che ingigantisce sullo schermo.

Nei cinque minuti successivi tutte e sei le telecamere tentano invano di seguirla mentre sfreccia nella sala immensa come un colibrì che cerca di uscire da una gabbia, usando le pareti, il pavimento e il soffitto come un maestro di jai alai, esistendo in tre dimensioni. La gravità è vinta. L’assunto fondamentale d’ogni forma di danza è spezzato.

Shara è trasformata.

Finalmente si ferma nel centro verticale, in primo piano entro il cubo di turchese, con le braccia, le gambe, le dita, i piedi, il viso protesi verso l’esterno, girando dolcemente su se stessa. Le quattro telecamere puntate su di lei si spartiscono lo schermo, l’orchestra si risolve nel mi maggiore finale e… si dissolve.

Non avevo il tempo né l’attrezzatura per creare gli effetti speciali che voleva Shara. Perciò inventai vari modi per piegare la realtà alle mie esigenze. Il mio segmento delle candele era l’inquadratura sdoppiata d’una candela sola che veniva spenta dall’alto… all’ultrarallentatore e a rovescio. Il secondo segmento era una semplice registrazione della realtà. Avevo acceso la candela, avevo incominciato a registrare… e avevo fatto arrestare la rotazione dell’Anello. Una candela si comporta in modo strano, a gravità zero. I gas della combustione a bassa densità non di sollevano dalla fiamma, permettendo all’aria di raggiungerla dal basso. La fiamma non si spegne: si addormenta. Basta ristabilire la gravità dopo un minuto o due, perché sbocci e riprenda vita. Non feci altro che giocare un po’ con le velocità in modo da armonizzarle con la musica e la danza di Shara. Avevo avuto l’idea da un capo-operaio dell’officina di metallurgia dove stavamo realizzando le cose di cui Shara avrebbe avuto bisogno per la sua prossima danza.