Montai uno schermo nel Salone dell’Anello Uno, e tutti quelli dello Skyfac che potevano abbandonare il lavoro si affollarono per assistere alla trasmissione. Videro esattamente ciò che veniva irradiato in collegamento mondiale via satellite (Carrington aveva abbastanza influenza per ottenere venticinque minuti filati senza interruzioni per gli spot pubblicitari) circa mezzo secondo prima che il mondo lo vedesse.
Per tutto il tempo della trasmissione rimasi in Sala Comunicazioni a rodermi le unghie. Ma andò tutto liscio, e spensi il banco e arrivai nel Salone in tempo per assistere all’ultima metà dell’ovazione. Shara era in piedi davanti allo schermo, con Carrington seduto a fianco, e pensai che la diversità delle loro espressioni era istruttiva. Il viso di lei non rivelava sorpresa o modestia. Aveva sempre avuto fiducia in se stessa, aveva approvato quel nastro per la trasmissione… sapeva, con il distacco incredibile di cui sono capaci pochissimi artisti, che quell’applauso frenetico era pienamente meritato. Ma il suo volto mostrava che era profondamente sorpresa, e profondamente grata, di ricevere ciò che le spettava.
Carrington, invece, rivelava un trionfo stranamente misto a sollievo. Anche lui aveva avuto fiducia in Shara, e l’aveva appoggiata con un cospicuo investimento… ma la sua fiducia era quella di un uomo d’affari in una speculazione che può rendere bene, e mentre gli osservavo gli occhi e la fronte sudata, mi resi conto che nessun uomo d’affari corre un rischio dispendioso senza temere che possa essere il fiasco dal quale avrà inizio la perdita dell’unica cosa essenziale per lui: la faccia.
Vedere quel tipo di trionfo accanto al trionfo di Shara mi rovinò il momento; e anziché tripudiare per Shara mi accorsi che quasi la odiavo. Lei mi scorse e si sbracciò per segnalarmi di raggiungerla di fronte alla folla plaudente, ma io girai sui tacchi e mi lanciai letteralmente fuori dalla sala. Mi feci prestare una bottiglia dal capo-operaio dell’officina metallurgica e presi una sbronza memorabile.
L’indomani mattina mi sentivo la testa come se fosse un fusibile da quindici ampere in un circuito da quaranta, e mi sembrava che soltanto la tensione superficiale riuscisse a tenermi insieme. I movimenti improvvisi mi facevano paura. È una brutta caduta, da quel carro, anche in un sesto di gravità.
Il telefono squillò (non avevo avuto il tempo di modificarlo) e un giovane che non conoscevo annunciò compitamente che Mr. Carrington voleva vedermi nel suo ufficio. Subito. Io risposi alludendo a una supposta di filo spinato e spiegando come poteva usarla, subito, Mr. Carrington. Senza cambiare espressione, il giovane ripeté il messaggio e tolse la comunicazione.
Perciò m’infilai nei vestiti, decisi di farmi crescere la barba, e uscii. Lungo il percorso mi domandai per che cosa avevo barattato la mia indipendenza, e perché.
L’ufficio di Carrington era d’un buon gusto opprimente, ma almeno l’illuminazione era smorzata. La cosa migliore era che il sistema di filtraggio assorbiva il fumo… nell’aria c’era l’odore dolce e muschiato della marijuana. Accettai da Carrington un microspinello di «Maoi-Zowie» quasi con gratitudine e incominciai a liberarmi dei postumi della sbronza.
Shara era seduta accanto alla scrivania, e portava una calzamaglia a un velo di sudore. Evidentemente aveva passato la mattina a provare la prossima danza. Mi vergognai, e quindi mi stizzii, ed evitai i suoi occhi e il suo saluto. Panzarella e McGillicuddy entrarono dietro di me, parlando del più recente avvistamento dell’oggetto venuto dallo spazio, che stavolta era ricomparso nelle vicinanze di Mercurio. Stavano discutendo se aveva dato o no segno di intelligenza senziente, e io avrei tanto desiderato che stessero zitti.
Carrington attese fino a quando tutti ci fummo seduti e avemmo acceso gli spinelli, poi si appoggiò alla scrivania e sorrise. — Allora, Tom?
McGillicuddy sorrise. — Meglio del previsto, signore. Secondo tutte le stime, abbiamo avuto circa il 74% del pubblico mondiale…
— Al diavolo le stime — scattai io. — Che cos’hanno detto i critici?
McGillicuddy sbatté gli occhi. — Ecco, finora la reazione generale è che Shara è uno schianto, il Times…
L’interruppi di nuovo. — Qual è stata la reazione men che generale?
— Ecco, non c’è mai un’unanimità assoluta.
— Sia più preciso. I critici della danza? Liz Zimmer? Migdalski?
— Uh. Non proprio entusiasti. Elogi, certo… solo un cieco avrebbe potuto stroncare lo spettacolo. Ma elogi guardinghi. Uh, la Zimmer l’ha definita una danza magnifica rovinata dal trucco finale.
— E Migdalski? — insistetti.
— Ha intitolato la recensione: «Che cosa non si farebbe per un bis?» — ammise McGillicuddy. — La sua tesi fondamentale è che si è trattato di un affascinante caso unico. Ma il Times…
— Grazie, Tom — disse Carrington senza alzare la voce. — È più o meno quello che ci aspettavamo, no, mia cara? Molto chiasso, ma nessuno è ancora disposto a parlare di una marea travolgente.
Shara annuì. — Ma lo faranno, Bryce. Le prossime due danze saranno decisive.
Panzarella intervenne. — Miss Drummond, posso chiederle perché ha fatto così? Ha usato l’interludio a gravità zero solo come un breve epilogo aggiunto a una danza convenzionale… doveva aspettarsi che i critici avrebbero parlato di un trucco.
Shara sorrise: — Per essere sincera, dottore, non avevo scelta. Sto imparando a servirmi del mio corpo in condizioni d’imponderabilità, ma si tratta ancora d’uno sforzo voluto, quasi una pantomina. Ho bisogno di qualche altra settimana perché diventi una seconda natura, ed è necessario, se voglio reggere un intero pezzo in quelle condizioni. Perciò ho tirato fuori dal baule una danza convenzionale, ho aggiunto un finale di cinque minuti sfruttando tutti i movimenti in gravità zero che conoscevo e con immenso sollievo mi sono accorta che, insieme, avevano un senso tematico. Ho detto a Charlie la mia nozione, e lui l’ha resa operante visualmente e drammaticamente… l’idea delle candele è stata sua, e sottolineava ciò che stavo cercando di esprimere meglio di qualunque set che avremmo potuto creare.
— Quindi non ha ancora completato ciò che è venuta a fare quassù? — chiese Panzarella.
— Oh, no. No, assolutamente. La prossima registrazione mostrerà al mondo che la danza è qualcosa di più di una caduta controllata. E la terza… la terza sarà il culmine. — Il viso di Shara era luminoso, animato. — La terza danza sarà quella che ho desiderato ballare per tutta la mia vita. Ancora non riesco a immaginarla interamente… ma so che quando sarò capace di eseguirla, la creerò, e sarà la mia danza più grande.
Panzarella si schiarì la gola. — Quanto tempo richiederà?
— Non molto — rispose lei. — Sarò pronta a registrare la prossima danza fra due settimane, e potrò incominciare l’ultima quasi subito. Con un po’ di fortuna, finiremo di registrarla prima che scada il mese.
— Miss Drummond — disse Panzarella in tono solenne, — temo che lei non abbia a disposizione un altro mese.
Shara diventò bianca come la neve, e io mi alzai a metà dalla sedia. Carrington sembrava incuriosito.
— Quanto tempo? — chiese Shara.
— Gli ultimi esami non sono molto incoraggianti. Avevo presunto che lo sforzo continuativo delle prove e della danza tendesse a rallentare l’adattamento del suo organismo. Ma lei ha lavorato quasi sempre in condizioni d’imponderabilità totale, e non avevo immaginato fino a che punto il suo organismo sia abituato agli sforzi prolungati… in un ambiente terrestre.
— Quanto tempo?
— Due settimane. Forse tre, se passerà tre ore ogni giorno a esercitarsi in due gravità.
— È ridicolo — sbottai. — Non possiamo fermare e rimettere in moto l’Anello sei volte al giorno, e anche se potessimo Shara rischierebbe di fratturarsi una gamba, in due g.