Conosco, su un piano intellettuale e accademico, tutto quel che c’è da sapere sulla danza, ma non potevo categorizzare o classificare e neppure comprendere veramente la danza che lei eseguì quel pomeriggio. La vidi. L’apprezzai, anche, ma non ero in grado di capirla. Tenevo la telecamera a mano abbandonata fra le dita, e la bocca spalancata. I ballerini parlano del loro «centro», il punto intorno al quale s’incentrano i loro movimenti, e che spesso è vicinissimo al centro di gravità fisico. Si cerca di «ballare al centro», e l’idea «contrazione-e-distensione» che sta alla base di tanta danza moderna dipende da questo centro quale punto focale dell’energia. Il centro di Shara pareva muoversi intorno allo studio, con un moto proprio, trascinandosi dietro gli arti che vi stavano legati più per scelta che per necessità. Qual è la parola per indicare la parte più esterna del sole, la parte che si vede anche in un’eclisse? Corona? Ecco che cos’erano i suoi arti: quattro lingue di fiamma che seguivano il centro nella sua orbita eccentrica e vorticosa, fluendo intorno alla superficie. Il fatto che i due arti inferiori fossero frequentemente a contatto con il pavimento sembrava coincidentale… per la verità anche gli altri due lo toccavano quasi con la stessa regolarità.
C’erano anche altri allievi che ballavano. Questo lo so perché le due telecamere automatiche, diversamente da me, facevano il loro lavoro e registravano il pezzo nella sua integrità. Si chiamava Nascita, e rappresentava la formazione di una galassia che finiva per somigliare a quella di Andromeda. La precisione lasciava abbastanza a desiderare da un punto di vista letterale: ma sinceramente si sentiva che era la nascita di una galassia.
In retrospettiva. Al momento io mi accorgevo soltanto del cuore della galassia: Shara. Gli altri allievi l’eclissavano di tanto in tanto e io, semplicemente, non me ne accorgevo. Mi faceva soffrire guardarla.
Se v’intendente un po’ di danza, questo dovrà sembrarvi orribile. Una danza imperniata su una nebulosa? Lo so, lo so. È una nozione ridicola. E funzionava. Funzionava al livello più viscerale e cellulare… a parte il fatto che Shara era troppo brava in confronto a quelli che l’attorniavano. Non apparteneva a quel branco di apprendisti goffi e zelanti. Era come ascoltare il fu Stephen Wonder che cercasse di lavorare con un’orchestrina raccogliticcia in un bar di Montreal.
Ma non era questo che mi faceva soffrire.
Le Maintenant era un posto abbastanza squallido, ma si mangiava bene e l’erba della casa era eccellente. Se uno avesse presentato la tessera del Diner’s Club, lì dentro, l’avrebbero mandato in cucina a lavare i piatti. Adesso non esiste più. Norrey e Shara rifiutarono uno spinello, ma nel mio lavoro è utile. E poi, avevo bisogno di trovare il coraggio. Come si fa a dire a una donna incantevole che il suo sogno più caro è irrealizzabile?
Non era necessario che interrogassi Shara per sapere che il suo sogno più caro era ballare. Anzi, ballare come professione. Spesso mi sono chiesto quali sono le motivazioni dell’artista professionista. Alcuni cercano la soddisfazione narcisista di sapere che altri pagheranno per vederli o ascoltarli. Alcuni sono così inefficienti o disorganizzati che non sono capaci di mantenersi in nessun altro modo. Certuni hanno un messaggio che ritengono di dover esprimere. Credo che in quasi tutti gli artisti ci sia una combinazione di tutti e tre i fattori. Non è una critica… ciò che fanno per noi è necessario. Dovremmo essere grati al cielo perché le motivazioni ci sono.
Ma Shara era una delle rare eccezioni. Ballava perché per lei era necessario. Sentiva il bisogno di dire cose che non si potevano esprimere in nessun altro modo, e di trarre il significato della sua vita dal fatto che le esprimeva. Qualunque altra cosa avrebbe sminuito e svalutato l’affermazione essenziale della sua danza. E questo lo so semplicemente perché assistetti a quella danza.
Tra gli spinelli e tenere la bocca piena e poi altri spinelli (non tanto, giusto quel che bastava per controbilanciare l’effetto deprimente che causa sempre il mangiare), passò mezz’ora prima che dovessi dire qualcosa, a parte gli occasionali borbottii in risposta alle consuete chiacchiere delle signore a pranzo. Quando arrivò il caffé, Shara mi guardò direttamente negli occhi e chiese: — Lei parla, Charlie?
Senza dubbio era propriola sorella di Norrey.
— Dico solo banalità.
— Non esistono. Forse esiste gente banale.
— Le piace ballare, Miss Drummond?
Lei rispose con la massima serietà. — Definisca cosa intende per le piace.
Aprii la bocca e la richiusi, due o tre volte. Provateci un po’ voi.
— E per l’amor di Dio, mi dica perché sta facendo di tutto per non parlarmi. Comincio a preoccuparmi.
— Shara! — Norrey era allibita.
— Zitta. Voglio sapere.
Mi buttai. — Shara, prima che morisse, ebbi il privilegio di conoscere Bertram Ross. L’avevo appena visto ballare. Un produttore che mi conosceva e mi aveva in simpatia mi portò dietro le quinte, come si potrebbe portare un bambino a conoscere Papà Natale. Mi aspettavo che fuori dal palcoscenico, in riposo, sembrasse più vecchio. Sembrava più giovane, come se tentasse di tenere a freno quella sua incredibile capacità di movimento. Lui mi parlò. Dopo un po’, io smisi di aprire la bocca, perché non ne usciva una parola.
Lei taceva, aspettando il resto. Solo gradualmente comprese l’enormità del complimento. Io avevo pensato che fosse ovvio. Moltissimi artisti esigono di ricevere complimenti. Quando lei capi, non arrossì e non fece smancerie. Non inclinò la testa e non disse: — Oh, suvvia. — Non disse: — Mi sta adulando. — Non distolse gli occhi.
Annuì lentamente e disse: — Grazie, Charlie. Vale molto di più di tante chiacchiere oziose. — C’era una sfumatura di tristezza nel suo sorriso, come se ci fossimo scambiati una battuta amara.
— Prego.
— Per amor del cielo, Norrey, perché sei così sconvolta?
Il gatto, adesso, aveva mangiato la lingua a Norrey.
— È delusa per colpa mia — commentai. — Ho detto una cosa sbagliata.
— Quale cosa sbagliata?
— Avrei dovuto dire: Miss Drummond, credo che lei dovrebbe rinunciare alla danza.
— Caso mai: Shara, credo che tu dovresti… Che cosa?
— Charlie… — incominciò Norrey.
— Avrei dovuto dirle che non tutti possiamo essere ballerini professionisti. Shara, dovevo dirti di mollare la danza… prima che sia la danza a mollare te.
Spinto dalla necessità di essere onesto con lei, ero stato più brutale di quanto dovessi, pensai. Ma avrei scoperto che la franchezza non sgomentava mai Shara. Lei la esigeva.
— Perché proprio tu? — Fu tutto quel che disse.
— Siamo nella stessa barca, io e te. Abbiamo entrambi un prurito che i nostri corpi non ci permettono di grattare.
I suoi occhi si raddolcirono. — Qual è il tuo prurito?
— È identico al tuo.
— Eh?
— Il tecnico doveva venire a riparare il telefono il giovedì. Io e la mia compagna di stanza, Karen, avevamo una prova che durava tutto il giorno. Lasciammo un biglietto. Signor tecnico dei telefoni, siamo dovuti uscire e non potevamo certo chiamarla, eh, eh. Per favore, si faccia dare la chiave dal portiere ed entri: il telefono è in camera da letto. Il tecnico non si fece vedere. Non si fanno mai vedere. — Mi sembrava che mi tremassero le mani. — Tornammo a casa dalla scala sul retro, dal vicolo. Il telefono non funzionava, ma non pensai di togliere il biglietto appeso alla porta principale. La mattina dopo mi sentii male. Crampi. Vomito. Io e Karen eravamo soltanto buoni amici, ma lei restò a casa per curarmi. Immagino che un venerdì sera un biglietto come quello sembrasse ancora più plausibile. Questo tizio aprì la serratura con un pezzo di plastica, e Karen uscì dalla cucina mentre stava staccando lo stereo. S’infuriò tanto che le sparò. Due colpi. Il chiasso gli mise paura: quando arrivai io, stava già uscendo dalla porta. Ebbe giusto il tempo di spararmi una pallottola nella giuntura dell’anca, e poi scappò. Non lo presero mai. E non vennero mai a riparare il telefono. — Adesso le mani non mi tremavano più. — Karen era una brava ballerina, ma io ero ancora più bravo. Nella mia mente, lo sono ancora.