Scossi il capo. Lui si alzò, s’inchinò e mi lasciò lì seduto agghiacciato.
Le cineprese dei Laskin avevano girato quattro filmati. Nel tempo che mi restava, li rividi parecchie volte, senza notare niente di strano. Se la nave si fosse imbattuta in una nube di gas, l’impatto avrebbe potuto uccidere i Laskin. Al perielio si muovevano a una velocità superiore alla metà di quella della luce. Ma ci sarebbe dovuto essere l’attrito, e nelle pellicole non vedevo segno di riscaldamento. Se erano stati attaccati da un essere vivente, era invisibile al radar e a un’enorme gamma di frequenze della luce. Se i reattori d’assetto si erano accesi incidentalmente (mi aggrappavo proprio alle pagliuzze), la luce non si vedeva in nessuno dei filmati.
Dovevano esserci forze magnetiche furibonde, nei pressi della BVS-1 ma questo non poteva aver causato danni. Nessuna forza del genere poteva penetrare uno scafo della General Products. Non poteva farlo neppure il calore, escluse certe bande speciali di luce irradiata, visibili almeno a uno dei clienti stranieri dei burattinai. Ho molte riserve sullo scafo della General Products, ma riguardano tutte la scialba anonimità della linea. Oppure, può seccarmi il fatto che la General Products detenga un monopolio quasi assoluto sugli scafi per astronavi, e non sia di proprietà di esseri umani. Ma se avessi dovuto affidare la mia vita, diciamo, allo yacht Sinclair che avevo visto al drugstore, avrei preferito andare in galera.
La galera era una delle mie possibili scelte. Ma ci sarei rimasto a vita. A questo avrebbe pensato Ausfaller.
Oppure potevo scappare con lo Skydiver. Ma nessun mondo a portata di mano mi avrebbe accettato, ecco. Certo, se fossi riuscito a trovare un mondo di tipo terrestre non ancora scoperto, a meno di una settimana da We Made It…
Inverosimile. Preferivo la BVS-1.
III
Mi sembrava che il cerchio lampeggiante di luce diventasse più grande, ma balenava così di rado che non potevo esserne certo. La BVS-1 non si vedeva neppure al telescopio. Rinunciai a cercarla e mi adattai all’attesa.
E mentre attendevo, ricordai una lontana estate che avevo trascorso su Jinx. C’erano giorni in cui, non potendo uscire perché la carenza di nubi aveva inondato la zona della cruda luce biancazzurra del sole, ci divertivamo a riempire dei palloncini con l’acqua del rubinetto e a lasciarli cadere dal terzo piano sul marciapiede. Facevano chiazze bellissime… che si asciugavano troppo presto. Perciò mettemmo un po’ d’inchiostro in ogni palloncino, prima di riempirlo. Così le chiazze restavano.
Sonya Laskin era sul suo sedile, quando i sedili si erano sfasciati. I campioni di sangue dimostravano che era stato Peter a investirli da tergo, come un palloncino pieno d’acqua lasciato cadere da una grande altezza.
Che cosa poteva penetrare in uno scafo della General Products?
Ancora dieci ore di discesa.
Slacciai la rete di sicurezza e andai a fare un giro d’ispezione. Il tubo d’accesso era largo un metro, quanto bastava per muovercisi in condizioni d’imponderabilità. Sotto di me, nel senso della lunghezza, c’era il tubo di fusione; a sinistra il cannone laser; a destra, una serie di tubi curvi laterali che portavano ai punti d’ispezione dei giroscopi, delle batterie e del generatore, dell’impianto di rigenerazione dell’aria, e dei motori da iperspazio. Era tutto a posto… tranne me. Ero impacciato. I miei balzi erano sempre troppo corti o troppo lunghi. A poppa, all’estremità, non c’era spazio per girarsi, perciò dovetti tornare indietro a ritroso per quindici metri, fino a raggiungere un tubo laterale.
Mancavano soltanto sei ore, e io non ero ancora riuscito a trovare la stella di neutroni. Probabilmente l’avrei vista solo per un istante, passandole davanti a una velocità superiore alla metà di quella della luce. La mia velocità doveva essere già enorme.
Le stelle si stavano colorando d’azzurro?
Mancavano due ore: ero sicuro che stessero diventando azzurre. La mia velocità era troppo elevata? Allora le stelle dietro di me dovevano essere rosse. I macchinari mi bloccavano la visuale posteriore, perciò misi in azione i giroscopi. L’astronave si girò torpidamente. E le stelle dietro di me erano azzurre, non rosse. Tutto intorno c’erano stelle biancazzurre.
Immaginate la luce che precipita in un pozzo gravitazionale tremendamente ripido. Non accelera. La luce non può superare la velocità della luce. Ma può guadagnare energia e frequenza. La luce mi cadeva addosso, sempre più potente via via che scendevo.
Lo dissi al dittafono. Quel dittafono era probabilmente lo strumento meglio protetto di tutta la nave. Avevo già deciso di guadagnarmi la paga servendomene, proprio come se prevedessi di poter incassare il mio compenso. Personalmente, mi chiedevo fino a che punto la luce sarebbe diventata intensa.
Lo Skydiver era ritornato sulla verticale, e il suo asse attraversava la stella di neutroni, ma adesso era rivolto con la prua verso lo spazio. Avevo creduto di aver fermato la nave in posizione orizzontale. Un’altra goffaggine. Attivai i giroscopi. La nave tornò a girarsi torpidamente, fino a quando arrivò a metà della rotazione. Poi sembrò mettersi a posto automaticamente. Sembrava che lo Skydiver preferisse tenere l’asse puntato verso la stella di neutroni.
E questo non mi piaceva per niente.
Riprovai la manovra, e lo Skydiver oppose ancora resistenza. Ma questa volta c’era anche qualcosa d’altro. C’era qualcosa che mi tirava.
Allora slacciai la rete di sicurezza, e precipitai a capofitto nel muso della nave.
L’attrazione era leggera, circa un decimo di g. Più che cadere, ebbi la sensazione di affondare nella melassa. Mi arrampicai di nuovo sul sedile, mi legai con la rete: e poi, sospeso a faccia in giù, accesi il dittafono. Raccontai l’episodio con meticolosa precisione, in modo che i miei ipotetici ascoltatori non potessero dubitare della mia sanità mentale. — Credo sia accaduto proprio questo, ai Laskin — conclusi. — Se l’attrazione aumenta, tornerò indietro.
Se lo credevo? Non ne avevo mai dubitato. Quella strana, dolce attrazione era inspiegabile. Qualcosa d’inspiegabile aveva ucciso Peter e Sonya Laskin. Come volevasi dimostrare.
Intorno al punto in cui doveva trovarsi la stella di neutroni, le stelle sembravano punti sbavati di colore a olio, sbavati radialmente. Mi guardavano rabbiose, con una luce che feriva gli occhi. Appeso nella rete a faccia in giù, mi sforzai di riflettere.
Passò un’ora, prima che ne fossi sicuro. L’attrazione cresceva. E la discesa doveva durare ancora un’ora.
C’era qualcosa che tirava me, ma non l’astronave.
No, era assurdo. Che cosa poteva raggiungermi, attraverso uno scafo della General Products? Doveva essere vero il contrario. Qualcosa spingeva la nave, la spingeva fuori rotta.
Se la situazione fosse peggiorata, avrei potuto usare il motore per compensarla. Intanto, l’astronave veniva spinta lontano dalla BVS-1, e per me andava benissimo.
Ma se mi sbagliavo, se la nave non veniva spinta chissà come lontano dalla BVS-1, il reattore avrebbe lanciato lo Skydiver direttamente in quelle undici miglia di neutronio.
E perché il reattore non si era già acceso? Se la nave veniva deviata dalla rotta, il pilota automatico doveva opporre resistenza. L’accelerometro funzionava perfettamente. Mi era sembrato a posto, quando avevo fatto il giro d’ispezione nel tubo d’accesso.
Era possibile che qualcosa premesse sulla nave e sull’accelerometro, ma non su di me?
Era sempre la solita impossibilità: qualcosa che poteva penetrare in uno scafo della General Products.
All’inferno, la teoria, mi dissi. Me ne vado. Dissi al dittafono: — L’attrazione è cresciuta in misura pericolosa. Cercherò di modificare l’orbita.
Naturalmente, quando avessi fatto girare la nave con la prua verso lo spazio e avessi attivato il reattore, avrei assommato la mia accelerazione alla forza incognita. Sarebbe stata una forte tensione, ma per un po’ ce l’avrei fatta a sopportarla. Se fossi arrivato a meno d’un miglio dalla BVS-1 avrei fatto la fine di Sonya Laskin.