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Barlennan infilò a fatica un braccio sotto la custodia muovendo la mano a tastoni fino a trovare il foro, in cui andava inserita la sua pinza. L’apparecchio non aveva nessun pezzo mobile, come una manopola o un bottone o una leva, ma la cosa non lo preoccupava affatto, perché non gli era mai capitato di vedere congegni del genere, così come non aveva mai visto relè termicofotonici a capacità elettrica. L’esperienza gli aveva insegnato che se inseriva un qualsiasi oggetto opaco in quel foro inevitabilmente il Volatore lo veniva a sapere. Perché poi succedesse cosi, non tentava nemmeno di capirlo. Era un po’, si diceva talvolta con tristezza, come voler insegnare arte nautica a un bambino di dieci giorni. Potevano anche avere l’intelligenza necessaria per capire — ed era comunque un pensiero confortante — ma mancavano assolutamente dell’esperienza diretta che poteva svilupparsi soltanto nel corso di parecchi anni.

— Qui è Charles Lackland — disse improvvisamente la macchina, interrompendo le sue riflessioni. — Sei tu, Barl?

— Sì, qui è Barlennan, Charles. — Il Comandante parlava la lingua del Volatore, e ogni giorno faceva sempre nuovi progressi.

— Sono molto contento di avere tue notizie. Hai visto che non ci eravamo sbagliati nel prevedere questa piccola bufera?

— È arrivata proprio quando avevi detto tu. Un momento… sì, c’è della neve insieme col vento. Non me n’ero accorto. Ma non vedo ancora traccia di polvere, ad ogni modo.

— Verrà. Quel vulcano deve averne vomitato nell’atmosfera circa quindici chilometri cubi, e ormai sono parecchi giorni che la nube di polvere si va espandendo.

Barlennan non continuò il discorso. Il vulcano in questione era ancora fonte di incomprensione fra loro, perché sembrava trovarsi in una regione del pianeta Mesklin che, secondo le conoscenze geografiche di Barlennan, non esisteva. Perciò, cambiando argomento, disse:

— Quello che mi stavo domandando, Charles, è quanto durerà questa bufera. So che i tuoi uomini possono vederla dall’alto, e dovrebbero quindi essere in grado di valutarne l’entità.

— Ti trovi già in pericolo? L’inverno è appena cominciato… hai davanti migliaia di giorni prima di poter uscire da questa zona.

— Lo so. Le scorte di vettovaglie sono più che abbondanti, ma ogni tanto si sente la necessità di un po’«di cibo fresco, e sarebbe utile sapere in anticipo quando potremo mandare fuori una spedizione di caccia, o anche due.

— Capisco. Ma ho paura che dovranno calcolare i tempi con molta precisione. Non mi trovavo in questa zona l’inverno scorso, ma so che durante l’inverno le bufere si susseguono in modo pressoché ininterrotto. Ci sei stato veramente nella regione equatoriale, in passato?

— Dove?

— Nella… ah, credo che quando parlate dell’Orlo in realtà vi riferiate all’Equatore.

— No, non mi sono mai spinto tanto vicino all’Orlo, e non vedo come qualcuno possa avanzare oltre un certo limite. La mia impressione è che se ci spingessimo ancora di più verso l’alto mare finiremmo per perdere anche gli ultimi residui di peso e voleremmo via come pagliuzze.

— Se ti è di conforto, posso assicurarti che ti sbagli. Continuando ad andare verso l’alto mare, il vostro peso ricomincerebbe ad aumentare. In questo momento sei sulla linea dell’Equatore, cioè proprio dove si pesa meno. È per questo che io mi trovo qui. Ora comincio a capire perché tu non vuoi credere che ci siano terre molto più a nord. All’inizio, quando abbiamo cominciato a parlare di queste cose, pensavo che dipendesse dalla nostra difficoltà di comunicare, ma adesso credo che tu abbia il tempo di spiegarmi le tue idee circa la natura di questo mondo. O forse possiedi delle carte geografiche, delle mappe…?

— Naturalmente, abbiamo una «coppa» qui, sul castello di poppa, ma temo che tu non possa vederla, adesso che il sole è appena tramontato ed Esstes non dà luce sufficiente con tutta questa nuvolaglia. Domani, quando sorgerà il sole, te la mostrerò. Le mie carte geografiche non ti sarebbero di molto aiuto, perché nessuna di esse riproduce territori abbastanza estesi da fornire un quadro sufficientemente chiaro della regione.

— Capito, Ma, in attesa dell’alba, non potresti descrivermele a voce?

— Non sono sicuro di essere padrone della tua lingua fino a questo punto. Comunque proverò. A scuola mi hanno insegnato che il nostro pianeta è come una grande coppa dalla cavità molto profonda. La zona in cui vive la maggior parte della popolazione è vicina al fondo della coppa, dove il peso è più forte. Secondo la teoria dei nostri saggi questo peso è causato da una specie d’immenso vassoio piatto su cui posa Mesklin. Più ci si allontana dal fondo verso l’Orlo, più il nostro peso diminuisce e, perché nello stesso tempo ci si allontana anche dal vassoio. Su cosa poi sia posato il vassoio, nessuno lo sa. Al riguardo si sentono raccontare una quantità di strane leggende, soprattutto da parte delle razze meno civilizzate.

— Mi sembra che i tuoi saggi avrebbero ragione, se uno si accorgesse di salire verso l’alto tutte le volte che si allontana dal fondo della coppa, cioè dal centro, e se tutti gli oceani tendessero a raccogliersi verso il punto più basso, vale a dire al centro della coppa — obiettò Lackland. — Non hai mai approfondito la questione con uno di loro?

— Da giovane ho visto un disegno che spiegava tutta la situazione. Il diagramma del mio maestro mostrava una grande quantità di linee che salivano dal vassoio e si piegavano per incontrarsi esattamente nel centro di Mesklin. Il loro tracciato lungo la coppa seguiva praticamente una linea retta, a causa della curvatura, e il maestro disse che il peso si scaricava lungo quelle linee invece di correre direttamente giù verso il vassoio. Non riuscii a capire bene, ma il ragionamento mi sembrò abbastanza logico. L’ipotesi, ho saputo poi, aveva la sua conferma nei fatti. Infatti le distanze rilevate sulle carte concordavano esattamente con quelle calcolate in base alla teoria. E questa è una cosa che posso capire facilmente, e mi sembra rappresenti un punto fermo. Se la forma non corrispondesse a quella indicata dai saggi, le distanze risulterebbero tutte sbagliate, appena si cominciasse ad allontanarsi dal nostro punto medio d’osservazione.

— Giustissimo. Vedo che i tuoi saggi sono molto istruiti in fatto di geometria. Quello che non riesco a capire è perché non si siano resi conto che sono due le forme che danno alle distanze il loro giusto valore. In fin dei conti, non puoi vedere anche tu che la superficie di Mesklin s’incurva verso il basso? Se la vostra teoria fosse esatta, l’orizzonte dovrebbe trovarsi in alto, sopra la tua testa. Non ti pare?

— Capisco. Ecco perché le tribù primitive affermano che il nostro pianeta ha la forma di una coppa. È soltanto qui, nelle vicinanze dell’Orlo, che le cose sembrano diverse. Deve dipendere, penso, dalla luce. Dopo tutto, in questa regione il sole sorge e tramonta anche d’estate, e non vedo perché ci si dovrebbe meravigliare se tutto quanto appare piuttosto strano. Diamine, si direbbe quasi che l’orizzonte… è così che lo chiami, vero?… sia più vicino a noi a nord e a sud di quanto non sembri a est e a ovest. Una nave, la si può vedere molto più lontana a est o a ovest. Dipende dalla luce, sicuramente.

— Mmm! Penso che per il momento sia alquanto difficile rispondere alla tua osservazione. — Barlennan non conosceva così bene il modo di parlare del Volatore da accorgersi di una lieve sfumatura ironica nella sua voce. — Non mi sono mai trovato in un punto della superficie molto lontano dall’Orlo, come lo chiami tu, e, personalmente, non potrò mai trovarmici. Fino ad ora non mi ero reso conto che le cose potessero apparire come le hai descritte tu, e non riesco nemmeno a capire perché debbano sembrare così, almeno per il momento. Comunque, spero di riuscirci quando porterai quell’apparecchio radiotelevisore nella nostra piccola spedizione.

— Sarà una gioia per me sentire le tue spiegazioni sugli errori dei nostri saggi — disse Barlennan cortesemente. — Quando sarai disposto a farlo, voglio dire. Frattanto, sono molto curioso di sapere da te quando ci sarà una tregua in questa serie di bufere.