Il Comandante s’interruppe, temendo di essersi spinto troppo avanti nelle sue domande, ma riteneva che valesse la pena di rischiare. Dal punto in cui si trovava, però, non riuscì a vedere, e tanto meno a interpretare, il sorriso con cui Lackland gli rispose: — No, il cannone non è stato rifatto o trasformato per adattarlo al tuo pianeta, Barl. Qui funziona ancora abbastanza bene, ma temo che non servirebbe a niente nelle tue regioni. — Tirò fuori un regolo calcolatore e dopo averlo consultato per un istante aggiunse: — Al massimo, nella tua regione polare questo cannoncino potrebbe sparare un proiettile a non più di una cinquantina di metri di distanza.
Barlennan, deluso, non disse altro. Ci vollero alcuni giorni per macellare il mostro. Lackland tenne per sé il cranio, come amuleto contro eventuali furori di Rosten, poi la carovana riprese il suo lungo viaggio.
Un chilometro dopo l’altro, giorno dopo giorno, il trattore e il suo rimorchio avanzavano insensibilmente verso la meta. Ogni tanto si scoprivano d’un tratto, da lontano, città abitate da inquietanti rotolatori di massi; due o tre volte raccolsero dei viveri per Lackland, lasciati dal razzo lungo il loro itinerario; spessissimo incontravano animali di enormi dimensioni, alcuni come quello ucciso dal fuoco di Barlennan, altri di mole e struttura diverse. Due esemplari giganteschi di erbivori vennero catturati con le reti e uccisi dall’equipaggio spinto dal bisogno di carne fresca con grande ammirazione di Lackland.
E finalmente, a duemila chilometri circa dal punto in cui la «Bree» aveva svernato e a cinquecento o quasi a sud dell’Equatore, mentre Lackland si piegava sotto il peso di un’altra mezza gravità in più, i corsi d’acqua cominciarono tutti a convergere in direzione della loro meta. Non c’era più dubbio, ormai, che la spedizione si trovasse nello spartiacque che portava verso il grande oceano orientale. Il morale, che non era mai stato basso, si sollevò notevolmente. Anche Lackland, annoiato spesso fino alla nausea, si rianimò. Ma dall’euforia precipitò nella delusione e nell’angoscia più cupa, quando la carovana si trovò di colpo, quasi senza preavviso, sull’orlo di una scarpata: un vero e proprio precipizio verticale di almeno venti metri, che si stendeva a perdita d’occhio tanto sulla sinistra, quanto sulla destra del loro percorso.
Capitolo 9
SEPARAZIONE
Per alcuni interminabili istanti nessuno pronunciò una parola. Lackland e Barlennan, che avevano lavorato con tanta serietà sulle fotografie con le quali era stato possibile tracciare la mappa, erano sbalorditi.
— Ma come può essere sfuggita alle macchine fotografiche? — disse finalmente Barlennan alludendo alla scarpata. — D’accordo, vista dall’altezza a cui si trovava il razzo quando furono prese le fotografie, non poteva apparire troppo elevata, ma doveva gettare per forza un’ombra molto allungata, nei minuti immediatamente prima del tramonto… — Non so cosa dirti, Barl. Si vede che le fotografie di questa zona sono state prese fra l’alba e mezzogiorno, quando non c’erano ombre visibili. Adesso, però, dobbiamo trovare assolutamente il modo di continuare la nostra spedizione.
Seguì un altro silenzio, e sarebbe durato molto più a lungo del primo se bruscamente, con grande sorpresa dei due, non lo avesse rotto il Vicecomandante: — Non sarebbe opportuno che gli amici del Volatore, lassù in alto nel cielo, scoprissero per noi quanto si estende questo muragliene da una parte e dall’altra? Ci sarà un pendio più dolce dov’è possibile scendere, senza dover fare troppi giri viziosi. Non dovrebbe essere difficile per gli amici del Volatore fare nuovi rilievi, se questo strapiombo è sfuggito loro la prima volta.
Barlennan tradusse questa proposta, che era stata fatta dal suo Secondo in lingua mesklinita. Lackland inarcò le sopracciglia.
— A quanto pare — disse a Barlennan — il tuo amico capisce l’inglese abbastanza bene: per lo meno, abbastanza da comprendere il nostro ultimo colloquio sull’argomento. Benvenuto, dunque, nella nostra conversazione. La tua proposta è eccellente: chiamo subito la stazione su Toorey.
L’operatore ai servizi radio dell’osservatorio posto sul satellite detto Toorey rispose immediatamente. Funzionava infatti un servizio di ascolto ininterrotto sulla frequenza della trasmittente principale del trattore, collegata al satellite da numerosi relè che gravitavano nello spazio entro l’anello esterno di Mesklin. Lackland ebbe l’assicurazione che un volo di rilevamento sarebbe stato fatto al più presto possibile.
Quel «più presto possibile», tuttavia, implicò un gran numero di giorni di Mesklin. Nell’attesa, il terzetto tentò di escogitare altri piani, per l’eventualità che lo strapiombo non potesse essere superato a una ragionevole distanza dal punto in cui si trovava l’inquieta carovana.
Lackland stava dormendo profondamente da molte ore terrestri, quando giunse la comunicazione del razzo partito dalla luna per fare i nuovi rilievi dell’orografia di quella regione di Mesklin. Fu un messaggio piuttosto laconico e molto scoraggiante. La muraglia rocciosa su cui si affacciava la spedizione cadeva a picco sul mare, a un migliaio di chilometri a nord est della loro attuale posizione, quasi esattamente sull’equatore. Nella direzione opposta si allungava per quasi duemila chilometri, diventando sempre più bassa, fino a scomparire del tutto alla latitudine di cinque gravità circa. Il suo andamento non era perfettamente rettilineo: si allontanava con una vasta curva dall’oceano a un dato punto, cioè proprio nel punto dove si trovava il trattore. Gettandosi oltre l’orlo della muraglia entro i confini della baia, due fiumi formavano due grandi cascate: una, a una cinquantina di chilometri di distanza verso sud, l’altra a centosessanta chilometri a nordest, oltre 1 ansa della muraglia. Secondo l’osservatore che stava facendo la sua relazione a Lackland, su tutta l’estensione della parete verticale non esisteva un solo tratto in cui il trattore potesse tentare la discesa. Restava forse una minima probabilità di riuscita presso una delle cascate dove i processi di erosione potevano aver scavato qualche declivio percorribile.
— Ma come diavolo può essersi formata una muraglia del genere? — disse Lackland, furente. — Tremila chilometri di roccia a picco che ci bloccano la strada! Proprio a noi doveva capitare di imbatterci in un fenomeno del genere! Scommetto che non esiste un’altra muraglia come questa su tutto il pianeta!
— Non ti sbilanciare troppo con le scommesse — lo avvertì il cartografo. — I nostri geologi sono andati in brodo di giuggiole, poco fa, quando ho descritto loro questa muraglia. Uno ha detto di essere sorpreso che tu non ne avessi già incontrate… Un altro ha sostenuto che più ti allontanerai dall’equatore, più frequenti diventeranno questi bastioni rocciosi…
— Cioè, potrò trovarne altri, prima di arrivare all’oceano? Sempre ammesso che riusciamo a scendere giù da questo, senza romperci l’osso del collo, naturalmente…
— No. Se ce la farai a superarlo, i tuoi guai sono finiti, per così dire. Potrai anzi varare la nave del tuo amico pinzuto nel fiume che scorre ai piedi della parete rocciosa. Il tuo solo problema, adesso, è di portare giù la nave.
— Già — osservò Lackland ironico — un gioco da ragazzi! Grazie, Hank. Comunque può darsi che abbia bisogno di parlarti ancora, più tardi.
Lackland si allontanò dall’apparecchio e si coricò sulla sua cuccetta, sforzandosi di pensare. Non aveva mai visto la «Bree» galleggiare e quindi ignorava il pescaggio dello scafo. Tuttavia, per poter galleggiare su un oceano di metano liquido, che ha una densità inferiore del cinquanta per cento a quella dell’acqua, doveva essere estremamente leggero. In più, la nave non era cava, non galleggiava cioè in virtù di una vasta massa d’aria al centro della sua struttura, come fa un bastimento d’acciaio sui mari della Terra. Il «legname» di cui era fatta la «Bree» era di per sé abbastanza leggero da galleggiare sul metano, sostenendo inoltre l’intero equipaggio e un carico molto spesso ingente.