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Disponevano ancora di grandi quantità di viveri, benché quelli che erano stati stipati nella canoa fossero scomparsi. La canoa, invece, era ancora legata alla cima con cui era stata trainata dalla «Bree» e non sembrava danneggiata. La stessa «Bree» poteva essere facilmente riparata grazie alla sua struttura articolata e mobile. La vera tragedia non stava nella mancanza di una nave, ma di un oceano su cui farla navigare.

Fu Hars, ripresosi da tempo dalla batosta del masso, che propose di scomporre la «Bree» non del tutto, ma soltanto nel senso della lunghezza, per poi trascinare i due o tre tronconi fino al fiume e abbandonarli all’esile corrente: cosi sarebbero arrivati fin dove una maggiore abbondanza di acque avrebbe permesso di ricostruire la nave e quindi di riprendere il mare.

Barlennan accettò la proposta del suo marinaio. Ma prima lo mandò a controllare, a valle del fiume, a quale distanza cominciavano le acque più profonde.

Mentre l’equipaggio si metteva a smontare la nave, dopo avere rimosso il carico nei punti in cui passavano le connessure, Dondragmer disse a un tratto, come colto da un pensiero improvviso: — Chissà se il tempo è ancora troppo sfavorevole all’uscita di quelle macchine volanti?

Barlennan guardò il cielo.

— Le nubi sono ancora molto basse — disse — e il vento soffia con estrema violenza. Sarà meglio, comunque, tenere d’occhio il cielo, di tanto in tanto. Mi farebbe piacere rivedere una di quelle macchine.

— Una sola farebbe piacere anche a me — disse asciutto il Secondo.

Barlennan non aggiunse altro. Non aveva mai pensato di includere un aliante nella sua collezione di oggetti strani, ma l’idea non gli dispiaceva, adesso che ci pensava.

Gli uomini su Toorey annunciarono un progressivo miglioramento delle condizioni meteorologiche e infatti, nei giorni successivi, le nuvole cominciarono a diradarsi. Ma benché ogni giorno di più le condizioni diventassero favorevoli per il volo, ben pochi marinai pensavano a scrutare il cielo. Erano tutti troppo occupati. Il piano di Hars s’era rivelato eccellente, dato che, poche centinaia di chilometri a valle, il fiume cominciava a essere abbastanza largo e abbastanza profondo per consentire un minimo di navigabilità verso il mare. Ma l’aumento della forza di gravità si faceva sentire e il sollevamento di qualunque cosa, anche minima, diventava un’impresa faticosissima. L’ingegnosità e la pazienza, tuttavia, ebbero la meglio sugli impedimenti naturali determinati dalla legge dei gravi, e dopo quattrocento giorni una lunga fila di zattere sezionate e agganciate per il lungo, dopo essere state trascinate fin sulla riva del fiume e ricaricate di tutti i beni della nave, furono messe in acqua e un po’«con l’aiuto della corrente, un po’«grazie agli sforzi dell’equipaggio, furono sospinte ancora una volta verso il mare.

Le macchine volanti riapparvero subito dopo che la nave era giunta in quel tratto dove gli argini erano più ripidi e il letto più incassato, poco prima che il fiume si gettasse nel lago. Karondrasee fu il primo ad avvistarle. Il suo ululato di allarme mise in agitazione meskliniti e terrestri contemporaneamente, ma i terrestri, come al solito, non videro avvicinarsi gli aeronauti, dato che gli apparecchi non presentavano un angolo d’inclinazione sufficiente verso il cielo.

Solo Barlennan poté vedere tutto con la massima chiarezza. Erano otto alianti che si libravano in un volo bene ordinato e coordinato, ma senza essere disposti in formazione secondo i criteri terrestri.

Vennero direttamente fin quasi sulla nave, sostenuti dalle correnti ascensionali che si alzavano dal lato sottovento della piccola valle, poi si inclinarono bruscamente per sfilarle davanti. Nell’istante in cui ogni aliante virava, scivolando d’ala, lasciava cadere un oggetto. Poi ritornava verso il lato sottovento e riprendeva quota.

Quanto agli oggetti lanciati nel vuoto, tutti poterono vedere che si trattava di lance, molto simili ai giavellotti che gli abitanti delle rive del grande fiume avevano mostrato loro con intenzioni tutt’altro che amichevoli. Le lance caddero a rispettosa distanza dall’equipaggio, con grande soddisfazione di tutti. Ma, pochi istanti dopo, ecco gli alianti ritornare, e i marinai rannicchiarsi per il timore di essere bersagliati da tiri più precisi. Ma anche questa volta i giavellotti caddero più o meno alla stessa distanza dei precedenti. Al terzo lancio fu chiaro che tutta la manovra doveva avere uno scopo, e al quarto anche lo scopo era evidente: ogni giavellotto caduto nel fiume era penetrato per una buona metà nel tenace fondo argilloso, tanto che dopo il terzo lancio più di venti palafitte formavano un efficace sbarramento alla discesa della nave in mare.

Quando la «Bree» giunse davanti al blocco, il bombardamento di giavellotti cessò. Era diventato inutile, perché quelle lance, gettate sul bersaglio da una trentina di metri d’altezza in un campo di sette gravità, erano conficcate così saldamente che nessuno sarebbe riuscito a strapparle dal fondo del fiume. Come Berblannen e Hars poterono costatare a loro Spese, dopo parecchi minuti di sforzi inauditi.

Due o tre giorni dopo, un’altra dozzina di aerei apparve in lontananza, si divise in due gruppi e venne a posarsi sulle cime che circondavano la nave prigioniera. Gli atterraggi avvennero, come i Volatori avevano previsto, sul vento; le macchine volanti si abbassarono in scivolata e si fermarono a pochi metri dal punto in cui avevano toccato terra. Da ogni apparecchio scesero quattro esseri, che, corsi di fianco alle ali, ancorarono velocemente gli alianti ai cespugli intorno. Quella che era stata fino a quel momento soltanto un’ipotesi, ebbe ora la conferma dei fatti: i nuovi venuti erano identici nella forma, nelle dimensioni e nel colore ai marinai della «Bree».

Solo dopo che ebbero ultimato le manovre piuttosto complesse di ancoraggio degli apparecchi, rivolsero la loro attenzione alla nave e al suo equipaggio. Un singolo fischio lamentoso, che risuonò da una cima all’altra, era evidentemente il segnale della conclusione delle manovre.

Gli equipaggi degli alianti calati sull’altura sottovento cominciarono a discendere il pendio. Non procedevano a balzi, come avevano fatto subito dopo l’atterraggio, ma strisciavano alla maniera dei bruchi, secondo l’unico sistema di locomozione che la gente di Barlennan conosceva prima della sua spedizione agli Orli del Mondo. Ma avanzavano rapidi e al tramonto erano già a distanza di tiro. A questo punto si fermarono e attesero l’alba. Le due lune facevano piovere una luce sufficiente sui due schieramenti, perché ognuno potesse controllare che l’altro non faceva nulla di sospetto. All’alba, la marcia venne ripresa ed ebbe termine quando il primo dei nuovi venuti si trovò a meno d’un metro dal marinaio più vicino. Nessuno di loro sembrava portare armi, e Barlennan si fidò ad andare incontro ai visitatori, dopo avere ordinato a due marinai di mettere bene a fuoco la scena con gli obiettivi delle radiocamere.

Il pilota dell’aliante non perse tempo e, appena Barlennan gli fu davanti, attaccò a parlare. Il Comandante, però, non capì una parola. Dette alcune frasi, il visitatore sembrò accorgersene e dopo una pausa riprese a parlare più lentamente, e con un linguaggio che a Barlennan parve diverso dal primo. Per non perdere altro tempo, il Comandante disse stavolta di non capire. Allora l’aeronauta cambiò idioma ancora una volta, e Barlennan con grande sorpresa riconobbe la propria lingua. Le parole erano pronunciate molto lentamente e con un accento imperfetto, ma erano comprensibilissime.

— È passato molto tempo da quando ho sentito parlare la tua lingua — diceva l’altro. — Spero di farmi capire ancora. Mi segui?

— Perfettamente — disse Barlennan.

— Bene. Io sono Reejaaren, interprete di Marreni, Governatore dei Porti Esterni. Ho ricevuto l’ordine di informarmi della tua identità: da dove vieni e a quale scopo navighi sui mari intorno a queste isole.