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— Basteranno pochi minuti per avere una risposta dalla nostra stazione meteorologica su Toorey. Ti chiamerò verso l’alba e ti comunicherò le previsioni; per allora avremo abbastanza luce perché tu possa mostrarmi la coppa. D’accordo?

— Benissimo. Aspetterò. — Barlennan si rannicchiò presso l’apparecchio, mentre l’uragano infuriava intorno a lui. Le pallottole di metano che gli bombardavano la schiena corazzata non lo disturbavano, perché colpivano con molta più violenza nelle latitudini più elevate. Ogni tanto, si dava una specie di scrollatina per liberarsi del leggero strato di ammoniaca che continuava ad accumularsi sul vascello, ma anche l’ammoniaca, almeno per il momento, non rappresentava un grosso fastidio. Verso la metà dell’inverno, cioè dopo cinque o seimila giorni, lo strato di ammoniaca avrebbe cominciato a sciogliersi sotto i raggi del sole, per poi riconsolidarsi quasi subito. L’essenziale era liberare il vascello da quella specie di nevischio prima della seconda gelata, altrimenti l’equipaggio di Barlennan sarebbe stato costretto a spaccare il ghiaccio tutt’intorno alla spiaggia per un tratto equivalente a duecento lunghezze di nave. La «Bree» non era un battello fluviale, ma una vera e propria nave oceanica.

Come aveva promesso, il Volatore ottenne in pochi minuti le informazioni meteorologiche richieste. La sua voce risuonò ancora una volta nel minuscolo altoparlante dell’apparecchio, proprio quando i primi raggi del sole rischiaravano la coltre di nubi che si era addensata sulla baia.

— Ho paura di non essermi sbagliato, Barl. Non c’è nessuna tregua in vista. Praticamente l’intero emisfero boreale, espressione che per te non ha nessun significato, sta liberandosi della sua calotta di ghiaccio con estrema violenza. So che in genere queste bufere durano per tutto l’inverno, senza interruzioni, anche se in realtà le tempeste si susseguono separatamente nelle più elevate latitudini australi, per poi frantumarsi per effetto dell’accelerazione di Coriolis a mano a mano che si allontanano dall’equatore.

— Per effetto di che?

— È una legge fisica, la stessa per cui se lanci un proiettile lo vedrai sempre deviare verso sinistra…

— Che cosa significa «lanciare»?

— Oh, già, non avevamo mai usato prima questo termine, vero? Ecco, lanciare è l’azione che tu compi quando raccogli un oggetto e lo spingi con forza lontano da te, facendogli compiere un certo percorso in aria prima che tocchi di nuovo il suolo.

— È un’azione che non facciamo mai nelle regioni dove le condizioni sono più normali di qui. Ci sono moltissime cose che si possono fare qui vicino all’Orlo, e che altrove sono impossibili o per lo meno pericolose. Se io dovessi «lanciare» un oggetto nella zona dove vivo di solito, non toccherebbe il suolo ma qualcuno, e quasi certamente me.

— In effetti potrebbe rivelarsi piuttosto pericoloso. Tre G qui all’equatore sono già un bel fastidio; e ai poli si arriva addirittura quasi a settecento. Eppure, se tu trovassi un oggetto abbastanza piccolo da poterlo prendere e lanciare, perché non potresti riprenderlo al volo o almeno ridurne l’urto di caduta?

— Mi è difficile immaginare una possibilità del genere, comunque credo di saperti rispondere. Mi mancherebbe il tempo. Se un oggetto viene lasciato andare, lanciato o non lanciato, ricade al suolo prima che si possa fare il minimo gesto. Raccogliere un oggetto e portarlo con sé è una cosa, strisciare è un’altra; ma lanciare un oggetto e… si dice saltare?… sono cose molto diverse.

— Già, immagino sia cosi. Noi eravamo partiti dall’idea che la durata delle vostre reazioni fosse proporzionale alla gravità, ma adesso capisco che il nostro era un ragionamento antropocentrico.

— Il tuo discorso, per quanto ho potuto capire, mi sembra ragionevole. Non ci sono dubbi che siamo molto diversi, noi e voi. Ma almeno abbiamo una cosa in comune: la possibilità di comunicare intelligentemente. E questo, spero, ci permetterà di arrivare a un’intesa vantaggiosa per entrambi.

— Ne sono convinto. E allora sarà meglio che tu mi faccia un quadro preciso dei luoghi dove intendi andare. Da parte mia, ti indicherò sulle tue mappe le zone dove desidero che tu vada. Non si potrebbe dare un’occhiata a questa «coppa» adesso? C’è luce sufficiente per l’apparecchio visivo.

— Certo. Però la «coppa» è sul ponte e mi è impossibile rimuoverla. Non mi resta che spostare l’apparecchio in modo che tu la possa vedere. Aspetta un istante.

Barlennan si diresse, strisciando attraverso la nave, verso un punto ricoperto da un telo e intanto si attaccava alle bitte del ponte. Finalmente scostò il telo e lasciò allo scoperto un punto più chiaro dell’assito. Poi tornò indietro, assicurò l’apparecchio fonotelevisivo con quattro cavi saldamente annodati alle bitte strategicamente disposte, ne tolse la custodia e cominciò a trascinarlo sul ponte. Lo strumento pesava più di quanto Barlennan avesse calcolato, anche se le sue dimensioni lineari erano ridotte, ma il Comandante non voleva correre il rischio di vederselo spazzare via da una raffica di vento. La violenza della bufera non si era affatto attenuata, e ogni tanto il ponte scricchiolava e gemeva paurosamente. Con l’estremità oculare dell’apparecchio che quasi toccava la «coppa», Barlennan rialzò l’altra estremità puntellandola con un sostegno, in modo che il Volatore potesse guardare verso il basso. Poi si spostò sull’altro lato della «coppa» e cominciò la sua lezione.

Lackland dovette riconoscere che sulla «coppa» la raffigurazione della superficie di Mesklin era stata fatta con logica e con notevole accuratezza. La curvatura corrispondeva esattamente a quella del pianeta, come si era aspettato. L’errore principale consisteva nel fatto che la curva era concepita concava, conformemente all’idea errata degli indigeni sulla forma del loro mondo. Aveva una larghezza di circa quindici centimetri, con una profondità di tre centimetri al centro. La «coppa» era protetta da un involucro trasparente — probabilmente di ghiaccio, pensò Lackland — e ciò rendeva più difficile a Barlennan far rilevare i particolari topografici, ma non si poteva togliere l’involucro senza che la «coppa» stessa si riempisse in pochi istanti di neve ammoniacale. Neve che si ammonticchiava su qualunque cosa si trovasse contro vento. La spiaggia rimaneva relativamente sgombra, ma tanto Lackland quanto Barlennan potevano immaginare benissimo cosa doveva succedere sull’altro versante delle montagne che a sud correvano parallele alla linea costiera. Barlennan si congratulò segretamente con se stesso di essere un marinaio. I viaggi sulla terraferma in quella regione non avrebbero rappresentato certo una gita di piacere per qualche migliaio di giorni ancora.

— Ora — disse al Volatore — circa i posti dove intendo andare, ti dirò che non ho particolari preferenze. Posso comperare e vendere ovunque, e per il momento a bordo ho ben poco che non siano vettovaglie. E anche di quelle, alla fine dell’inverno non me ne rimarranno molte. Per cui avevo progettato, dopo la nostra conversazione, di incrociare per qualche tempo intorno alle regioni di minore gravità e di raccogliere un buon quantitativo di certi prodotti vegetali molto ricercati dalle popolazioni che si trovano più a sud, per l’effetto che producono sui cibi.

— Spezie?

— Se questa è la parola che usate per questi prodotti, sì, spezie. Ne ho già trasportate e le preferisco… si può guadagnare molto da un solo carico, e del resto ciò avviene per tutte le merci che sono ricercate più per la loro rarità che per l’utilità.

— Ma allora, quando avrai finito di fare il carico, qui, avrà per te poca importanza la rotta da seguire per arrivare a destinazione?

— Precisamente. Credo di avere capito che i tuoi scopi ci porteranno vicino al Centro, e la cosa non mi dispiace affatto: più si va verso sud e più alti saranno i prezzi della mia merce, senza contare che un viaggio lungo, qualora dovesse risultare pericoloso, sarà compensato dall’aiuto che ci hai promesso.