La meta era quasi in vista, e le speranze dei terrestri si facevano sempre più febbrili.
Tanto più grave, quindi, fu il colpo che provarono, forse più di quello sofferto mesi prima, quando il trattore di Lackland era giunto alla fine del suo viaggio. La ragione era quasi identica. Questa volta la «Bree» e il suo equipaggio erano ai piedi di una muraglia rocciosa a perpendicolo, invece che sull’orlo dello strapiombo. Il ciglio di quel burrone si trovava a non meno di cento metri sopra le loro teste, e con quasi settecento gravità arrampicarsi, saltare e altri rapidi movimenti a cui i meskliniti si erano abbastanza abituati nelle remote regioni degli Orli, rappresentavano qui un’impresa del tutto impossibile.
Il razzo si trovava solo a ottanta chilometri di distanza in linea d’aria; ma superare i cento metri sulla verticale per i piccoli, coraggiosi meskliniti era come scalare, per un essere umano sulla Terra, una parete di almeno cinquanta chilometri… di roccia a strapiombo.
Capitolo 15
SI ESPLORANO TERRE SCONOSCIUTE
La paura irragionevole, viscerale, che l’altezza ispirava fin dalla nascita ai meskliniti era sparita da un pezzo; tuttavia, proprio la ragione diceva loro che in quella parte del pianeta una caduta, anche solo da un’altezza non superiore alla metà del corpo, sarebbe stata fatale persino ai loro robustissimi organismi. Di fronte a queste realtà, con una cocente frustrazione, l’equipaggio ormeggiò la «Bree» alla riva del fiume, a ridosso del torreggiante bastione roccioso che li divideva dal razzo prigioniero.
I terrestri assistevano in silenzio alla loro impotenza, cercando invano di trovare una via per risalire la barriera. Nessuno dei razzi di cui poteva disporre la spedizione sarebbe mai stato in grado di sollevarsi contro una minima frazione della forza di gravità dominante sulle regioni polari di Mesklin. L’unico costruito a quello scopo si trovava inchiodato al suolo proprio li. E poi, anche ammesso che il razzo, sviluppando una velocità iniziale di fuga di quasi ottomila chilometri al secondo, fosse riuscito a vincere una forza di gravità settecento volte superiore a quella terrestre, nessun essere umano o vivente avrebbe potuto resistere a un’accelerazione cosi spaventosa.
— A quanto pare, il viaggio non è ancora così vicino alla conclusione come credevamo — disse Rosten, dopo aver analizzato la situazione davanti ai teleschermi. — Eppure dovrebbe esserci una via per arrivare all’altopiano o alle pendici più lontane di quella muraglia. È vero che pare impossibile per Barlennan e i suoi arrampicarsi fin lassù, ma in linea di massima niente impedisce loro di fare il giro della muraglia.
Quando Lackland comunicò questo punto di vista a Barlennan, il Comandante rispose:
— È giusto, però anche il progetto del tuo amico Rosten presenta notevoli ostacoli. Già sta diventando più difficile procurarsi viveri dal fiume, e siamo ormai molto lontani dal mare. Inoltre non abbiamo la più pallida idea di quanto dovremo allontanarci nella ricerca di questa via verso l’altopiano, e questo rende quanto mai aleatorie le possibilità di rifornimento alimentari e quindi di ogni altro progetto d’una certa importanza. Piuttosto, avete preparato o potete preparare lassù le carte abbastanza particolareggiate di queste regioni tali da permetterci di stabilire un percorso che dia un certo affidamento?
— Direi di sì — rispose Lackland. Ma quando alzò gli occhi dallo schermo e li rivolse verso i suoi compagni incontrò soltanto espressioni poco incoraggianti. — Che vi prende? — chiese. — Non possiamo fare una mappa fotografica, come abbiamo già fatto per le regioni equatoriali?
— Sì — rispose Rosten — si può fare una mappa fotografica e anche con molti particolari dei rilievi. Ma non sarà facile. All’equatore, un razzo può mantenersi al di sopra di un dato punto, a velocità circolare, a non meno di mille chilometri dalla superficie del pianeta, vale a dire proprio in prossimità del margine interno dell’anello. Ma sopra i poli la velocità circolare non sarebbe sufficiente, anche se potessimo svilupparla come si deve. Dovremmo seguire un’orbita iperbolica di non so che tipo per poter riprendere fotografie a breve distanza senza consumare quantità enormi di carburante; e questo richiederebbe una velocità, rispetto alla superficie, di molte centinaia di chilometri al secondo. Puoi capire da te che razza di fotografie verrebbero prese in queste condizioni. Penso che le foto dovrebbero essere scattate con obiettivi dalle lenti a distanza focale grandissima, dei veri e propri obiettivi telescopici. E anche così, potremmo solo sperare che i particolari riescano abbastanza nitidi per le esigenze di Barlennan.
— Non ci avevo pensato — disse Lackland. — Ma è un tentativo che possiamo fare, in ogni modo. E del resto non vedo altre alternative.
— D’accordo. Lanceremo uno dei razzi e ci metteremo subito al lavoro.
Lackland riferì il succo di questa conversazione a Barlennan, che rispose di essere pronto a muoversi appena in possesso di dati geografici sufficienti.
— Così — concluse — potrei risalire verso il corso superiore del fiume seguendo il piede del muraglione a destra; oppure lasciare la nave e il fiume e seguire il muraglione a sinistra. Siccome non so quale delle due direzioni sia la migliore dal punto di vista della distanza, aspetteremo. Io preferirei risalire il corso del fiume, naturalmente, perché trasportare radio e vettovaglie non sarebbe un’impresa da poco.
— Ti capisco. Come stai a viveri? Mi dicevi che non è facile procurarsene, così lontano dal mare.
— Scarseggiano, ma la zona non è del tutto deserta. Comunque, ne abbiamo abbastanza per andare avanti per un po’. Questa balestra serve solo come pezzo da museo ormai da un bel pezzo.
Poi Barlennan tornò alle sue incombenze, che non erano né poche né leggere. Innanzitutto, aveva molte cose da rivedere sulla «coppa», che era il suo equivalente di un mappamondo. I terrestri, lungo tutto il viaggio, gli avevano dato rotte e distanze per le coste in ogni direzione, così che ora poteva riportare quasi tutte le linee costiere dei mari attraversati sopra la mappa concava.
Era anche necessario risolvere il problema del vettovagliamento. Non c’era un’urgenza assoluta, ma d’ora in poi la caccia con le reti sarebbe diventata sempre più necessaria. Il fiume, largo in quel punto duecento metri circa, sembrava abbastanza pescoso per le esigenze del momento, ma la terraferma appariva molto meno promettente. Nuda e sassosa, da una parte si estendeva solo per pochi metri lungo la riva del fiume per finire bruscamente contro il piede della muraglia; sull’altra riva, una serie di basse colline che si perdevano una dietro l’altra senza fine, continuando con ogni probabilità ben oltre il lontano orizzonte. La parete rocciosa era liscia e uniforme, come una lastra di cristallo. Per arrampicarvisi, anche sulla Terra, ci sarebbe voluto l’equipaggiamento e il peso corporeo di una mosca (su Mesklin, anche una mosca sarebbe pesata troppo). Era presente un po’«di vegetazione, ma non molta, e durante i primi cinquanta giorni dallo sbarco presso il muraglione nessun marinaio della «Bree» vide la minima traccia di fauna terrestre. Ogni tanto, qualcuno aveva l’impressione di avere notato un piccolo movimento, ma ogni volta ci si accorgeva poi che si era trattato soltanto di ombre proiettate dal sole roteante, che ormai restava nascosto ai loro occhi solo quando, periodicamente, imboccava il tratto che passava dietro il ciglio del bastione roccioso. Si trovavano così vicini al polo sud che non si notava nessun visibile mutamento nell’altezza del sole durante il giorno.
Per i terrestri, invece, questa fase della spedizione rappresentò un periodo più movimentato. Quattro di loro, tra i quali Lackland, salirono a bordo del razzo prescelto per l’operazione e si lanciarono verso il pianeta, lasciandosi alle spalle il satellite che proseguiva il suo velocissimo moto orbitale. Dal punto da cui avevano decollato, l’immenso pianeta appariva come un disco molto piatto, circondato da un alone luminoso, ma lo sfondo del cielo nero punteggiato di stelle accentuava soprattutto l’aspetto appiattito di quel mondo gigantesco.