Rosten rifletté sulle parole di Lackland. Poi: — Benissimo. Chiama il tuo minuscolo amico alla radio e fatti dire tutto ciò che sa sulle sue capacità respiratorie. Tu, Rick — disse a un altro dei tecnici che lo attorniavano — cerca di sapere o di trovare in laboratorio quale sia il tasso di solubilità dell’idrogeno nel metano a una pressione di otto atmosfere e a temperature tra -145 °C. e -185 °C. Dave, metti in tasca il regolo, siedi davanti al calcolatore elettronico e trovami i valori precisi di densità dell’idrogeno su quell’altopiano con l’aiuto di tutti i dati disponibili della fisica, della chimica, della matematica e di ogni altra possibile risorsa della meteorologia, compreso il tuo santo patrono. A proposito, non avevi detto di avere notato una calata brusca di almeno tre atmosfere nel centro di alcuni di quei cicloni tropicali? Charlie, fatti dire da Barlennan se, e come, lui e i suoi uomini hanno avvertito il fenomeno. Su, al lavoro!
Rosten rimase nella sala dei teleschermi con Lackland che si era già messo in contatto con Barlennan, ancora fermo sul lontano polo di Mesklin.
Il mesklinita confermò di poter nuotare per lunghi tratti sommerso, ma non seppe spiegare come e perché. In effetti, poiché non aveva un apparato respiratorio di tipo umano, non respirava e perciò era immune a quel senso di soffocamento che prova l’uomo quando è sommerso. Anche se restava troppo a lungo sotto la superficie del metano e in movimento, l’effetto era qualcosa di simile a una profonda sonnolenza, ma se si abbandonava alla sonnolenza, i guai finivano lì: poteva essere ripescato e svegliato anche molto tempo dopo (non troppo, però, perché altrimenti sarebbe morto di fame). Evidentemente, c’era tanto idrogeno disciolto nei mari di Mesklin da mantenere un mesklinita in vita, ma non in grande attività fisica. Rosten si rallegrò visibilmente.
Né Barlennan né gli altri meskliniti, poi, avevano notato niente di anormale quando la pressione atmosferica era calata così sensibilmente nel cuore del ciclone.
— Insomma, si può sapere che cosa c’è di nuovo? — chiese Barlennan, impensierito. — Perché tutte queste domande?
— Abbiamo scoperto — rispose Lackland — che l’aria sopra l’altopiano dove giace il nostro razzo, è molto più sottile di quella che si trova al tuo livello. Abbiamo quindi paura che non abbia abbastanza densità per mantenervi in buona salute.
— Ma l’altopiano non è a più di cento metri di altezza: perché l’aria dovrebbe cambiare tanto in un tratto cosi breve?
— Sempre a causa della tremenda gravità del tuo pianeta, ma ci vorrebbe troppo tempo per spiegarti tutto per bene, adesso. Posso però dirti che dovunque c’è un’atmosfera, 1’aria diventa sempre più sottile con l’altezza; e maggiore è la gravità, maggiore è il grado di rarefazione. Sul tuo pianeta, le condizioni sembrano toccare i limiti estremi.
— Ma dov’è qui l’aria che voi definite normale?
— Al livello del mare, riteniamo. Per lo meno tutte le nostre misurazioni sono fatte su quella base. Sei ancora disposto, Barlennan, a fare un ultimo tentativo di arrivare sopra quell’altopiano? Noi non insistiamo, se ciò deve rivelarsi uno sforzo eccessivo per il vostro fisico, ma…
— Si capisce che sono ancora disposto! — lo interruppe il mesklinita. — Dopo tutto, siamo arrivati fin qua, e niente lascia supporre che le cose d’ora in poi debbano andare peggio di prima. Piuttosto, avete trovato una via accessibile per arrivare sull’altopiano, o siamo ancora nel campo delle supposizioni e delle speranze?
— Abbiamo trovato quella che forse è una via accessibile — disse Lackland — a circa millecinquecento chilometri a monte della tua attuale posizione. Non sappiamo ancora se potrai arrampicartici; sembra trattarsi di una slavina rocciosa, una specie di canalone non molto ripido. Ma, data la distanza, non siamo stati in grado di valutare il volume delle rocce cadute. D’altra parte, esclusa quella strada, bisognerà rinunciare a salire sull’altopiano. L’intera scarpata è a strapiombo lungo tutto il perimetro del pianoro, tranne che in quel punto.
— D’accordo, risaliremo il fiume. Non mi entusiasma l’idea di dovermi arrampicare su delle rocce di queste regioni, ma farò del mio meglio.
— Ti avverto che impiegherai molto tempo ad arrivare fin là.
— Non quanto credi, forse. C’è uno strano vento che soffia nella direzione in cui dobbiamo andare. È un vento costante, che non è mai cambiato né di direzione né di intensità da quando siamo qui. Non è forte come i venti marini, ma basterà a spingere la «Bree» controcorrente, se il fiume non diventerà troppo impetuoso.
— Non pare che ci siano strettoie lungo tutto il suo corso, e non abbiamo notato la presenza di rapide sulle fotografie prese.
— Bene, Charles. Partiremo appena le squadre dei cacciatori saranno tornate.
A una a una le squadre tornarono, tutte con un po’«di cibo, nessuna con notizie degne di nota. L’ondulata distesa rocciosa si stendeva in tutte le direzioni seguite dalle varie squadre. Gli animali erano ovunque di dimensioni molto piccole, scarsi i corsi fluviali, la vegetazione molto rada, eccetto che nei pressi delle sorgenti, rare anch’esse.
Il morale, piuttosto basso, migliorò notevolmente appena si sparse tra l’equipaggio la notizia che la «Bree» stava per salpare di nuovo.
Quando la nave, ultimato il carico, scese nuovamente nelle acque del fiume, andò per qualche minuto alla deriva verso il mare, mentre si scioglievano le vele. Ma poi, gonfiate da quello strano vento costante, le vele dettero una spinta sufficiente a superare la forza della corrente, e la «Bree» cominciò la sua lenta, ma continua avanzata nelle terre ignote del più vasto pianeta che l’uomo avesse mai tentato di esplorare.
Capitolo 16
LA VALLE DEL VENTO
Barlennan si aspettava di vedere le rive del fiume farsi sempre più nude e desolate man mano che la «Bree» ne risaliva il corso; invece fu il contrario. Ciuffi di piante larghe e basse sul terreno, a forma di piovra, si addensavano sugli argini, tranne dove la muraglia, sulla sinistra, si spingeva troppo vicino al fiume, non lasciando spazio alla vegetazione.
Dopo circa centosessanta chilometri, diversi affluenti cominciarono a gettarsi nel corso principale, e parecchi marinai sostennero di avere visto degli animali muoversi tra le piante delle rive. Ma il Comandante non autorizzò nessuna partita di caccia: aveva fretta di raggiungere la meta e di vedere finalmente la grande macchina che i Volatori avevano perduto nel deserto polare del suo pianeta.
Ma ciò che stupiva ogni giorno di più Barlennan era il vento: non soltanto soffiava ininterrottamente, sempre con la stessa intensità, ma seguiva passo passo l’andamento del muraglione roccioso, tanto che la «Bree» procedeva sempre col vento in poppa. Barlennan aveva addirittura dimenticato da quanti giorni ormai non c’era più stato bisogno di cambiare la disposizione delle vele.
Il fiume manteneva la sua larghezza originaria, come Lackland aveva avvertito. E anche se la corrente sembrava diventare più veloce, la nave non aveva rallentato, perché il vento pareva essersi contemporaneamente rafforzato. Passarono così chilometri e chilometri, giorni dopo giorni; i meteorologi cominciavano a essere tesi allo spasimo. Impercettibilmente, il sole saliva, mentre percorreva i suoi circoli nel cielo, ma le variazioni erano troppo lente perché gli scienziati su Toorey si convincessero che quella fosse la causa dell’accresciuta forza del vento. Divenne chiaro per terrestri e meskliniti che il mistero di quel vento andava ricercato in qualche caratteristica della conformazione fisica locale. Intanto, i chilometri continuarono ad accumularsi ai chilometri, e finalmente, nella direzione della prua, anche se molto lontano, apparve il varco del bastione roccioso.