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Per un lungo tratto il corso del fiume si allontanò e tutti poterono vedere il varco di fianco. Era un pendio quasi rettilineo, che, con un angolo di circa venti gradi, saliva dal fondo fino a una quindicina di metri dal ciglio del bastione. Man mano che si avvicinavano, poterono notare che il pendio era in realtà una slavina a ventaglio, che si allargava intorno a una fenditura di meno di cinquanta metri di larghezza. Dentro la spaccatura la pendenza diventava ripidissima, ma forse era ancora praticabile. Ogni conclusione definitiva era però impossibile fino a quando non fossero arrivati abbastanza vicini da vedere di quale natura erano i materiali che formavano la slavina. La prima impressione fu abbastanza incoraggiante: dove il fiume sfiorava il piede della frana, si notavano cumuli di piccoli massi, piccoli anche per il criterio di misura dei minuscoli meskliniti. Non doveva essere poi troppo difficile arrampicarsi su quelle pietre.

Tuttavia, dopo un’ultima curva, mentre il fiume passava proprio davanti alla frana, il vento cominciò per la prima volta a cambiare bruscamente. Adesso soffiava di traverso dall’altopiano e la sua velocità aumentava a un ritmo straordinario. E quello che era risuonato come un dolce mormorio negli ultimi giorni, alle orecchie dei marinai e dei terrestri, riecheggiò con un boato fragoroso, ogni istante più forte. Solo quando la «Bree» giunse davanti all’apertura nel muraglione roccioso fu chiara anche la fonte di quel rombo.

Una raffica di vento si abbatté sulla nave, minacciando di lacerare le vele e spingendo brutalmente la «Bree» in diagonale verso la riva più lontana dalla muraglia. Nello stesso momento il rombo aumentò ancora, raggiungendo quasi una violenza esplosiva, e in meno d’un minuto la nave si dibatteva in una tempesta che superava in furore tutte le altre che aveva attraversato da quando era salpata dalle regioni equatoriali. Poi, dopo pochi minuti, il ciclone parve cessare come per incanto; allora, ridotte le vele al minimo, Barlennan spinse la nave diagonalmente verso la riva opposta al varco. Poi corse alla radio e chiamò Charles per chiedergli una spiegazione di quello strano e incomprensibile fenomeno.

Gli rispose la voce di uno dei meteorologi, e con suo grande stupore Barlennan senti che il tono dell’uomo vibrava di quello che era ormai abituato a riconoscere come un indizio di gioia. — Adesso si spiegano molte cose, Barl! Dipende tutto dalla forma concava di quell’altopiano! Vedrai che ti sarà molto più facile arrivare lassù di quanto avessimo creduto! Non riesco a capire perché non ci abbiamo pensato prima!

— Pensato prima a che? — chiese Barlennan, al colmo dell’esasperazione.

— A ciò che comporta una zona come questa, con una gravità, un clima e un’atmosfera simili! Ascolta: nella parte di Mesklin che tu conosci, l’emisfero australe, l’inverno coincide con il passaggio del pianeta nel suo punto più vicino al sole. La stagione corrispondente nell’emisfero settentrionale, o boreale, è: l’estate, durante cui la calotta polare evapora per il calore… ecco perché infuriano cicloni così violenti e continui nella stagione estiva. Questo, lo sapevamo già. L’umidità (è metano, comunque voi la chiamiate) condensandosi libera calore e riscalda l’aria del vostro emisfero, anche se non vedete il sole per tre o quattro mesi. La temperatura probabilmente sale fino al punto di ebollizione del metano… intorno ai -145 °C. alla vostra pressione superficiale. Non succede così, forse? Non avete molto più caldo d’inverno?

— Sì — ammise Barlennan.

— Benissimo, allora. Una temperatura più elevata significa che l’aria di Mesklin non si rarefà tanto rapidamente con l’altezza… si potrebbe dire che tutta l’atmosfera si espande. Espandendosi, trabocca oltre l’orlo dentro quella coppa vicino a cui ti trovi ora. Come l’acqua che si rovescia in una scodella quando questa affonda in un lavandino. Quindi, passato l’equinozio invernale, le bufere cominciano a calmarsi e Mesklin ad allontanarsi dal sole. Voi meskliniti soffrite il freddo, vero? E l’atmosfera ricomincia a contrarsi. Ma la coppa del polo ne tiene imprigionata una bella quantità, con una pressione superficiale più elevata, ora, di quella che all’esterno si trova a un livello corrispondente. Una parte ne trabocca, naturalmente, e tende a precipitare dall’alto del ciglio al fondo, ma viene deviata sulla sinistra dalla rotazione del pianeta sul proprio asse. È il vento prodotto da questa rotazione che ti ha spinto su per il corso del fiume. Ed è sempre lo stesso vento che ti ha investito poco fa con quella spaventosa bufera, riversandosi fuori dall’apertura della coppa e creando un vuoto pneumatico sui due lati del varco.

— Hai pensato a tutto questo mentre io mi trovavo in mezzo a quell’inferno? — domandò Barlennan.

— Sì. Ecco perché sono convinto che l’aria sull’altopiano deve essere più densa di quanto credessimo. Chiaro?

— No. Ma se tu ne sei sicuro, ti credo sulla parola. Comincio ad avere sempre più fiducia nella scienza di voi Esseri Volanti. A ogni modo, scienza o no, che cosa capiterà a noi meskliniti nel salire quel pendìo? Una scalata come quella, con un vento simile che ti soffia contro, non sarà certo uno scherzo.

— No, ma dovrai rassegnarti. Il vento si calmerà, prima o poi, ma penso che dovranno passare molti mesi prima che la coppa si liberi di gran parte dell’atmosfera… Forse un paio d’anni terrestri. Credo proprio, Barl, che ti convenga tentare la scalata adesso, senza ulteriori indugi.

Barlennan rifletté. Sugli Orli del Mondo una simile bufera avrebbe strappato qualunque mesklinita dal suolo per gettarlo chissà dove. Ma sugli Orli, un vento del genere non avrebbe mai potuto formarsi, perché l’aria rimasta prigioniera nella coppa avrebbe conservato solo una frazione del suo peso attuale. Questa era una cosa che ormai Barlennan cominciava ad avere chiara in mente.

— Partiamo subito! — disse bruscamente alla radio, e si girò per impartire gli ordini necessari all’equipaggio.

La «Bree» fu guidata attraverso il fiume, dato che Barlennan l’aveva ormeggiata sulla riva più lontana dalla frana. Poi, tirata la nave in secco, l’equipaggio la legò a due pali preventivamente piantati sulla sponda, in mancanza di piante capaci di reggere il peso morto dell’imbarcazione. Cinque marinai furono scelti per rimanere a guardia della «Bree»; gli altri, carichi di vettovaglie e arnesi, si accinsero alla scalata senza perdere altro tempo.

Per un po’«il vento non li disturbò, e in pochi giorni la colonna giunse su uno dei lati dell’apertura. Qui il vento soffiava con maggior forza e i massi diventavano più grossi, man mano che la marcia li portava lungo il ventaglio della frana. In prossimità del ciglio dell’apertura, il vento fuoriusciva con un rombo continuo che impediva lo scambio d’ogni parola.

Ogni tanto dei mulinelli investivano il gruppo, dando loro un assaggio di ciò che li aspettava presso il varco.

Tuttavia, sia pure con estrema lentezza, si arrampicavano senza sosta. Ma che il vento potesse rappresentare un grave pericolo, nonostante la gravità, divenne presto evidente. Un marinaio, assalito dalla fame, si era fermato dietro quello che gli era parso un riparo per prendere un po’«di cibo dal suo zaino. Subito un turbine di vento, originato probabilmente dalla sua stessa presenza, che aveva turbato l’equilibrio raggiunto dopo tanti anni da quella corrente incessante, aggirò la roccia dietro cui si riparava il marinaio e investi in pieno la sacca dello zaino: questa si aprì come un paracadute e strappò il poveretto dal suo nascondiglio, trascinandolo giù per il dirupo. Scomparve in un nugolo di polvere e di sabbia sollevate dal corpo, e i suoi compagni guardarono altrove, allibiti. Una caduta da soli quindici centimetri d’altezza, a quella gravità, bastava per morire; e il loro compagno ne avrebbe fatte molte di più prima di giungere in fondo alla slavina. A meno che il quintale e più del suo peso non fosse andato a schiacciarsi prima contro qualche masso, ammazzandolo lo stesso. I superstiti puntarono bene i piedi in terra e rimandarono ogni idea di mangiare a quando fossero stati al sicuro in qualche angolo riparato oltre il ciglio.