Dopo di che, grazie a una piattaforma perfettamente orizzontale e chiusa da un parapetto di corda, un grosso quantitativo di materiale cominciò ad affluire dalla nave al desolato pianoro della regione polare.
Uno degli avvenimenti più straordinari in quella fase della spedizione fu quando la piattaforma — vero e proprio ascensore — comparve sull’orlo del pianoro non solo con a bordo una delle radio della «Bree», ma con lo stesso Dondragmer, che non si vergognò di confessare di avere tenuto gli occhi chiusi per tutta la salita.
Dopo Dondragmer, l’ascensore fece altri dieci viaggi, ogni volta portando un marinaio. Quindi Barlennan ritenne opportuno di non ridurre ulteriormente il numero dei marinai rimasti a fare buona guardia alla «Bree» e a ricostruire le scorte alimentari.
Ormai la tensione si era allentata, e ancora una volta la sensazione di essere quasi alla fine della missione si diffuse tanto fra i terrestri quanto fra i meskliniti.
— Se aspetti due minuti, Barl — disse Lackland, trasmettendo al suo amico i dati elaborati dal calcolatore — il sole si troverà esattamente nella direzione che dovrai seguire. Ti abbiamo avvertito che non possiamo localizzare il razzo con un’approssimazione minore di dieci chilometri; perciò ti guideremo al centro della regione in cui siamo sicuri che si trova il razzo e da quel momento dovrai sbrigartela da solo. Se il terreno continuerà ad avere le stesse caratteristiche di adesso, sarà una faccenda piuttosto complicata, purtroppo.
— Non temere, Charles: abbiamo superato difficoltà ben più gravi, anche se col tuo aiuto. Il sole è arrivato al punto giusto?
— Un istante… ecco! E buona fortuna, Barl!
Capitolo 18
IL RAZZO
Furono necessarie alcune centinaia di giorni per superare l’ottantina di chilometri che li dividevano dalla zona in cui si trovava il razzo incagliato. La spedizione doveva ormai essere arrivata vicino all’astronave, ma i terrestri fecero sapere che non si vedeva traccia del razzo in quei paraggi. La cosa non stupì affatto Barlennan: c’erano rocce dappertutto.
— Il razzo — gli disse Lackland — è alto circa sette metri e se tu riuscissi a salire su qualche grosso masso dovresti essere in grado di avvistarlo. Se tu potessi accatastare dei macigni più piccoli presso una grossa roccia, in modo da formare una specie di piano inclinato, con cui raggiungere la cima della roccia…
Barlennan rifletté prima di rispondere e forse, se si fosse reso conto dell’enorme quantità di sassi che doveva accumulare, la sua risposta sarebbe stata diversa. Ma in quel momento l’idea di Lackland gli sembrò buona, e disse: — Credo che tu abbia ragione, Charles. C’è abbastanza roba, qui, per costruire tutto quello che si vuole.
E si allontanò dalla radio per trasmettere i suoi ordini al gruppo di marinai più vicino. Se Dondragmer ebbe qualche dubbio sulla realizzazione della cosa, lo tenne per sé; e dopo pochi minuti l’intero gruppo stava facendo rotolare dei massi verso la roccia prescelta come osservatorio.
Fu un lavoro faticosissimo e d’una lentezza esasperante. Tanto lento, che a un certo punto una parte del gruppo dovette ritornare alla gru per rifornirsi di nuove vettovaglie. Ma venne il giorno in cui i molteplici piedi dei meskliniti poterono posarsi sulla cima relativamente piana della roccia.
E finalmente avvistarono l’obiettivo della spedizione! Lackland aveva avuto ragione! Barlennan aveva fatto trasportare sulla cima della roccia l’apparecchio radiotelevisivo in modo che anche i terrestri potessero vedere. E per la prima volta dopo oltre un anno terrestre, la dura faccia di Rosten perse la sua espressione di cocciuta incredulità. Non che ci fosse molto da vedere! Forse, una delle piramidi terrestri, ricoperta di corazze metalliche e posta a una grande distanza, sarebbe sembrata abbastanza simile a quel cono tronco che spuntava al di sopra della pietraia circostante. Non assomigliava al razzo che Barlennan conosceva: era infatti completamente diverso da tutti i razzi precedentemente costruiti in un raggio di venti anniluce dalla Terra. Ma nello stesso tempo era qualcosa di assolutamente estraneo al paesaggio di Mesklin.
La colonna si rimise in marcia ancora una volta, per coprire i due chilometri e mezzo che la separavano dal razzo. Ma quando vi giunsero, i meskliniti si accorsero che il razzo spuntava dalla cima di una specie di altura, dalle pendici molto dolci, fatta di terriccio e di sassi. Una collinetta che sembrava essere sorta da qualche paurosa esplosione. Barlennan, che aveva già visto numerosi razzi provenienti da Toorey atterrare e decollare dalla superficie del pianeta, credette di avere capito cosa poteva essere successo e cosa avrebbero trovato una volta arrivati in cima al pendio.
Il razzo si alzava verticalmente al centro di una fossa, una vera e propria coppa profondamente concava, scavata dalle esplosioni dei getti di decollo. La potenza di propulsione, pensò Barlennan, doveva essere stata enorme, data la spaventevole forza di attrazione gravitazionale da vincere.
La base del razzo aveva un diametro di circa sette metri, cioè quasi pari alla lunghezza, e la forma era cilindrica fino a un terzo dell’altezza totale. Quella, spiegò Lackland quando l’apparecchio radiotelevisivo fu trascinato su per il pendio fino a inquadrare l’interno della fossa, era la sezione del razzo che conteneva l’apparato di propulsione.
La parte superiore si assottigliava rapidamente fino a terminare in una punta smussata e tronca, ed era lì che si trovavano gli strumenti e gli apparecchi scientifici che erano costati un’infinità di tempo, studi, fatiche e denaro a tanti pianeti civilizzati. In quella sezione del razzo si vedevano molte aperture, perché non c’era stato bisogno di chiudere i vari settori a compartimenti stagni.
— Una volta hai detto — disse Barlennan a Lackland — che uno scoppio come quello che aveva distrutto il tuo trattore doveva essersi verificato anche a bordo di questo razzo. Eppure non vedo nessuna traccia di esplosioni qui dentro. E se le porte erano già aperte quando il razzo ha toccato terra, come poteva essere rimasto a bordo ossigeno sufficiente per provocare un’esplosione? Me l’hai detto proprio tu che tra i mondi non esiste nessun tipo di aria e che quel poco che c’era sarebbe sfuggito fuori da qualunque apertura.
Rosten s’intromise nella conversazione prima che LackJand avesse tempo di rispondere (tanto Rosten che gli altri avevano osservato a lungo il razzo sul loro schermo): — Barl ha perfettamente ragione: la causa del disastro, qualunque sia stata, non si deve certamente far risalire a un’esplosione da ossigeno. Dovremo tenere gli occhi bene aperti, quando entreremo nel razzo, proprio nella speranza di scoprire questa causa. Anzi, direi di metterci subito al lavoro: ho tutto uno stuolo di fisici che pende dalle mie labbra in attesa d’informazioni.
— Voi, signori scienziati, dovrete avere la bontà di aspettare ancora un po’’— disse Barlennan. — Credo che vi siate dimenticati di una cosa.
— E cioè?
— Nessuno degli strumenti che desiderate osservare attraverso la lente del vostro apparecchio radiotelevisivo si trova a meno di due metri dal suolo, e tutti sono protetti da pareti metalliche che mi sembrano piuttosto difficili da rimuovere con la semplice forza delle nostre braccia, per teneri che siano i vostri metalli.
— Accidenti! Hai ragione anche questa volta, Barl! Bisognerà studiare un modo per risolvere questo ennesimo problema.
— Hai tempo di escogitare la soluzione finché non arriverà anche il marinaio che ho lasciato di guardia sulla rocciaosservatorio. Se per quel momento non avrai trovato nulla di pratico, proveremo la mia idea.