Mi accorsi che stavo studiando attentamente la sostituzione.
Compresi subito che potevo recitarla senza difficoltà. Diavolo, mi sentivo di poterla fare anche in un incendio, con le gambe legate e con già l’odore del fumo proveniente dagli scenari. In primo luogo, non c’era nessun problema per quanto riguardasse il fisico: io e Bonforte avremmo potuto scambiarci gli abiti senza che facessero una grinza. Quei cospiratori da quattro soldi che mi avevano arruolato di forza avevano dato un’importanza eccessiva alla rassomiglianza fisica, perché essa non significa nulla se non c’è l’arte ad animarla… e non c’è bisogno di molta rassomiglianza se c’è un vero artista a sostenerla. Però debbo ammettere che un po’ di rassomiglianza aiuta, e il loro stupido giochetto con il computer dell’Aia li aveva portati (per puro caso) a scegliere un vero artista il quale, per di più, come struttura fisica sembrava il fratello gemello dell’uomo politico che doveva sostituire. Il profilo di Bonforte ricordava un po’ il mio; anche lui aveva mani lunghe e magre, aristocratiche come le mie… ed è molto più difficile imitare le mani che non i volti.
La sua andatura zoppicante, che si presumeva dovuta a uno degli attentati contro di lui… una bazzecola! Dopo qualche minuto d’osservazione, sentivo di poter scendere dalla cuccetta (a 1 g, beninteso) e imitare alla perfezione il suo modo di camminare, senza neanche bisogno di pensarci sopra. Quel suo vezzo di grattarsi il pomo d’Adamo e poi di passarsi le dita sul mento, quella smorfia quasi impercettibile che faceva quasi ogni volta che si accingeva a parlare… piccoli dettagli che non presentavano difficoltà e che vennero assorbiti istantaneamente dal mio subcosciente come la sabbia assorbe l’acqua.
Certo, aveva una quindicina o una ventina d’anni più di me, ma è più facile invecchiarsi che non ringiovanirsi. Comunque, l’età, per un attore, è unicamente una questione d’atteggiamento interiore, e non ha niente a che fare con l’avanzata regolare del catabolismo.
Entro i primi venti minuti d’osservazione mi sentivo in grado di poterlo imitare sul palcoscenico, o di leggere un discorso al posto suo. Però, da certi accenni, avevo idea che la mia interpretazione richiedesse qualcosa di più. Dak aveva suggerito che avrei dovuto ingannare gente che lo conosceva di persona, forse anche in colloqui a quattr’occhi. Questo era notevolmente più difficile. Per esempio: il caffè, lo prendeva con lo zucchero o senza? E se sì, quanti cucchiaini? Con che mano toglieva la sigaretta dal pacchetto e con che gesto la teneva mentre s’accendeva? Proprio mentre stavo chiedendomelo, ottenni la risposta e la imparai immediatamente a memoria: l’immagine che stava davanti a me prese la sigaretta in un certo modo caratteristico, e mi convinsi che doveva aver usato per anni i fiammiferi e le sigarette scassapolmoni di una volta, prima di arrendersi alla marcia del cosiddetto progresso.
Poi, peggio ancora, bisogna tener presente che un uomo non è una singola complessità, da risolvere una volta per tutte: è una complessità diversa per ciascuna delle persone che la conoscono. Vale a dire che, per aver successo, una sostituzione dev’essere plastica, deve poter mutare per ogni singolo "pubblico", cioè per ogni singolo conoscente della persona che si sostituisce. E questo non è soltanto difficile: è una cosa statisticamente impossibile. Sono tanti piccoli particolari sui quali si corre il rischio d’inciampare. Che esperienze ha in comune il vostro principale con il suo conoscente John Jones? Con cento, con mille altri John Jones qualsiasi? Un sostituto non potrà mai saperlo.
La recitazione in se stessa, come tutte le arti, è un processo d’astrazione che conserva solo i dettagli importanti. Ma per sostituire una persona nella vita, tutti i dettagli possono essere importanti. Alle volte, anche una cosa sciocca come non far rumore mentre si mangia il sedano può rompervi catastroficamente tutte le uova del paniere.
Poi mi venne in mente una triste considerazione: la mia recita, molto probabilmente, doveva risultare convincente solo quel tanto che permettesse a un cecchino di prendermi bene di mira…
Stavo continuando a studiare l’uomo che dovevo sostituire (del resto, che altro potevo fare?) quando la porta si spalancò e udii Dak, in carne e ossa, chiamare: — C’è nessuno in casa? — Le luci si accesero, l’immagine tridimensionale svanì, e io provai la stessa impressione di chi viene bruscamente strappato a un sogno. Girai la testa; la ragazza, Penny, si sforzava di tener sollevato il capo dall’altra cuccetta idraulica e Dak era fermo sulla soglia, tenendosi al montante.
Lo osservai e dissi con un certo stupore: — Come fa a star dritto sotto 2 g? — Intanto una parte della mia mente, la parte professionale che opera per conto suo, stava prendendo nota della posa da lui assunta e la infilava in uno schedario nuovo, etichettato: "Come si sta in piedi a 2g".
— Semplicissimo — rispose sorridendo. — Ho le suole ortopediche.
— Uff!
— Può alzarsi anche lei, se lo desidera. Di solito sconsigliamo ai passeggeri d’uscire dalle cuccette d’accelerazione quando torciamo a più di 1,5 g… è fin troppo facile che qualche scemo inciampi nelle sue scarpe e si spacchi una gamba. Ma una volta ho visto un tipo molto duro, con la taglia del sollevatore di pesi, scendere dal "torchio" e camminare con 5 g… anche se poi è rimasto un po’ scosso per il resto del viaggio. Due g sono sopportabilissime: è come portare un’altra persona a cavalcioni. — Voltò gli occhi verso la ragazza: — Come va, Penny? Gliela stai contando giusta?
— Non mi ha fatto ancora una domanda.
— Ma come? Lorenzo, non la riconosco più! Credevo volesse sapere subito tutte le risposte!
Cercai di scrollare le spalle. — Non vedo che importanza possa avere, ormai, dal momento che non vivrò abbastanza da trarne profitto.
— Eh? Cos’è che le ha tolto la voglia, vecchio marpione?
— Capitano Broadbent — risposi con amarezza — la presenza di questa signora m’impedisce d’esprimermi come vorrei, e perciò non posso sottoporre a un corretto esame i suoi antenati, le sue abitudini, la sua moralità, nonché le sue azioni future. Ma basterà dirle che ho capito benissimo il tiro mancino che lei mi ha giocato costringendomi ad accettare l’incarico, non appena mi sono reso conto dell’identità della persona che dovrò sostituire. Mi limiterò a una domanda sola: chi ha intenzione di assassinare Bonforte? Anche un piccione di gesso ha diritto di sapere chi lo prenderà come bersaglio.
Per la prima volta vidi il volto di Dak assumere un’espressione di sorpresa. Ma si riebbe subito e scoppiò a ridere così di gusto che l’accelerazione parve avere la meglio su di lui. Si lasciò scivolare sul pavimento e appoggiò la schiena alla parete, sempre continuando a ridere.
— Non ci vedo niente da ridere — dichiarai rabbiosamente.
— Lorenzo, vecchio marpione — farfugliò Dak asciugandosi gli occhi — ma è convinto sul serio che l’ho ingaggiata per farle fare da bersaglio?
— Mi pare ovvio — risposi, e gli spiegai le mie deduzioni riguardo ai precedenti attentati contro Bonforte.
Ebbe il buon senso di non ridere più. — Capisco. È convinto che l’abbiamo assunta con un incarico simile a quello degli assaggiatori di corte, nel Medioevo. Be’, cercherò di spiegarle tutto; non credo che giovi alla sua recita la convinzione di dover morire sul posto. Senta, sono col Capo da sei anni e posso assicurarle con tutta certezza che non s’è mai servito di una controfigura… E poi ero presente a due attentati contro di lui, e una volta sono stato io a uccidere l’attentatore… Penny, tu sei col Capo da più di me; dimmi: il Capo ha mai avuto controfigure?