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Lei mi osservò freddamente. — Mai. La semplice idea che il Capo incarichi un altro di rischiare la vita al suo posto è una… ecco, mi verrebbe voglia di darle uno schiaffo; ecco cosa si merita!

— Calma, Penny, calma… — fece Dak, conciliante. — Ciascuno di voi ha da fare il suo lavoro, e tu dovrai lavorare con lui. Del resto, la sua idea è sbagliata, certo, ma non è del tutto balorda… prova a pensarci dal di fuori, a metterti nei suoi panni. A proposito, Lorenzo, le presento Penelope Russell. È la segretaria personale del Capo, e quindi la consideri la sua istruttrice numero uno.

— È un onore per me conoscerla, signorina.

— Vorrei poter dire lo stesso!

— Piantala, Penny, altrimenti ti spolvero le rotondità posteriori… sotto 2 g. Lorenzo, sono d’accordo anch’io che fare il sostituto di John Joseph Bonforte comporta più pericoli che farsi spingere sulla carrozzella da un’infermiera… perdiana, lo sappiamo tutt’e due, hanno già tentato diverse volte di far incassare agli eredi la sua assicurazione sulla vita. Ma ora non sono gli attentati che ci preoccupano. Per dirla in breve: per motivi politici che le spiegherò in un secondo momento, stavolta i nostri avversari non oseranno tentare di uccidere il Capo (o lei, quando ne farà le veci). È gente che non scherza, e questo lei ha già avuto modo di constatarlo, pronta a uccidere me o Penny se la nostra morte fosse utile ai loro fini. Ucciderebbero anche lei, Lorenzo, se riuscissero a raggiungerla ora. Ma quando comparirà in pubblico al posto del Capo, lei sarà perfettamente al sicuro. Saranno le circostanze stesse a impedire loro di ucciderla.

Studiò la mia espressione, poi disse: — Allora? Scossi la testa. — Non riesco a capire.

— Adesso no, ma più avanti capirà. È una faccenda complicata, in cui c’entra la particolare mentalità dei marziani. Per ora si fidi di questi accenni; capirà tutto prima di arrivare.

La cosa continuava a piacermi poco. Fino a quel momento, non mi ero accorto che Dak mi avesse detto chiaramente delle bugie, però era abilissimo nell’ottenere lo stesso effetto nascondendomi parte della verità, come avevo imparato a mie spese. — Senta un po’ — dissi — non ho nessun motivo per fidarmi di lei, o di questa giovane signora… mi scusi, signorina. Ma anche se non nutro molte simpatie per il signor Bonforte, devo ammettere che ha la fama di essere onesto in modo addirittura doloroso, talvolta offensivo. Quando potrò parlare a lui? Appena giunti su Marte?

Il viso brutto ma simpatico di Dak fu offuscato da una nube di tristezza. — Temo di no. Penny non le ha detto niente?

— Detto niente di cosa?

— Vecchio marpione, del motivo per cui ci serve una controfigura del Capo. L’hanno rapito.

Avevo mal di testa. Forse perché il peso era raddoppiato, o più probabilmente perché c’erano stati fin troppi colpi di scena.

— Adesso lei lo sa — continuò Dak. — Adesso sa anche perché Jacques Dubois non si fidava a dirglielo finché non fossimo via dalla Terra. Si tratta della notizia più sensazionale dal primo atterraggio lunare in poi, e noi stiamo cercando di venirne a capo, e facciamo come accidenti possiamo per non farlo sapere a nessuno. Speriamo di poter impiegare lei finché non riusciamo a trovarlo e a rimetterlo al suo posto. In realtà, lei ha già incominciato a sostituire Bonforte. Questa astronave non è la Passa al primo turno!, come le avevo detto; è lo yacht privato nonché studio viaggiante del Capo, la Tom Paine. La Passa al primo turno! sta girando in orbita di parcheggio intorno a Marte, col radiofaro che invia il segnale d’identificazione di questa astronave. Queste cose le sanno solo il capitano e l’ufficiale marconista; intanto, mentre loro erano in orbita, la Tom si è tirata su le gonne ed è corsa verso la Terra per prendere a bordo un sostituto del Capo. Incomincia a capire come stanno le cose, amico?

Non ne avevo capito niente, ma preferii non dirlo. — Sì, ma, vede, capitano, se i nemici politici dell’onorevole Bonforte lo hanno rapito, perché tenerlo segreto? Avreste dovuto invece gridarlo ai quattro venti.

— Se fossimo stati sulla Terra, sì. E così pure a New Batavia o su Venere. Ma qui si tratta di Marte. Lei ha mai sentito parlare della leggenda di Kkkahgral il Giovane?

— Eh? No, non credo.

— Dovrebbe studiarsela; le servirebbe a capir meglio come ragionano i marziani. In breve, questo giovanotto Kkkah doveva trovarsi in un dato posto in un determinato momento, migliaia d’anni fa, per ricevere un’alta carica onorifica: come venir nominato baronetto. Per un motivo che, secondo il nostro modo di vedere, non poteva essere imputato a sua colpa, non riuscì ad arrivare in tempo. Era chiaro che l’unica cosa da fare, secondo l’etica marziana, era ammazzarlo. Ma poiché era giovane e aveva un passato encomiabile, alcuni progressisti presenti incominciarono a dire che lo si doveva perdonare concedendogli di ritentare la prova. Ma Kkkahgral non ne volle sapere. Approfittò del suo diritto di costituirsi pubblico accusatore contro se stesso, vinse la causa, e fu condannato a morte. Questo gesto ne fa il simbolo, o come diremmo noi il santo protettore, della correttezza formale marziana.

— Roba da matti!

— Crede proprio? Noi non siamo marziani. È una razza antichissima, e ha elaborato un sistema d’impegni e d’obblighi per ogni circostanza. Il rispetto delle forme e dell’etichetta portato all’estremo immaginabile. Al loro confronto, gli antichi giapponesi sembrerebbero degli anarchici. I marziani non hanno i concetti di "giusto" e "sbagliato", ma di "corretto" e "scorretto", elevati al quadrato, al cubo, e con sopra una spruzzata di selz… Ma, tornando al nostro attuale problema, la cosa ci riguarda perché il Capo stava per venire adottato proprio nel nido di Kkkahgral il Giovane. Comincia a capire, adesso?

No, non capivo ancora. Secondo me, quel tale Kkkah doveva venir fuori da un Grand Guignol della specie peggiore.

— È abbastanza semplice — continuò Broadbent. — Il Capo, senza dubbio, è il maggior esperto di costumi e di psicologia marziana che sia mai esistito. Sta lavorando da anni sui marziani, e l’adozione rappresenta il culmine della sua attività politica. Al mezzogiorno di mercoledì, ora locale, a Lacus Solis, avrà luogo la cerimonia dell’adozione. Se il Capo sarà presente ed eseguirà ogni gesto nel modo corretto, tutto andrà bene. Ma se non ci sarà (e non avrebbe nessuna importanza il motivo della sua assenza) il suo nome diverrà la vergogna di tutti i nidi, da un polo all’altro di Marte, e il maggior colpo politico interplanetario e interrazziale che sia mai stato tentato farà un colossale fiasco. Anzi, peggio ancora, sortirà l’effetto contrario a quello voluto. Il minimo che potrà accadere, secondo me, è che Marte si ritirerà dalla sua già relativa alleanza con l’Impero. Probabilmente ci saranno rappresaglie, e molti uomini saranno uccisi, forse tutti gli uomini ora presenti su Marte. Allora, gli estremisti del Partito dell’umanità riusciranno a far prevalere la loro linea di condotta, e Marte verrà annesso con la forza all’Impero, ma solo dopo che i marziani, fino all’ultimo, saranno stati uccisi. E tutte queste catastrofi deriveranno dal semplice fatto che Bonforte non si sarà potuto presentare alla cerimonia dell’adozione nel nido. I marziani prendono queste cose molto sul serio.

Dak se ne andò d’improvviso come era venuto, e Penelope Russell rimise in moto il proiettore. Mi venne in mente, con stizza, che avrei dovuto chiedergli che cosa frenasse i nostri nemici dall’uccidere me, semplicemente, se bastava impedire a Bonforte (in carne e ossa, o a chi ne faceva le veci) di presenziare a qualche barbara cerimonia marziana per scatenare tutto quel patatrac politico. Ma mi ero dimenticato di domandarglielo: forse perché temevo inconsciamente la risposta…