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— Come? No, credo proprio di no. Peserebbe troppo per uno yacht.

— Eppure giurerei che ce l’ha. Sento chiaramente l’odore dei marziani.

— Ah, certo — rispose, guardandomi un po’ vergognoso. — Giovanotto, le ho fatto una cosa che spero non le dia fastidio.

— E sarebbe?

— Mentre le scrutavamo il cervello, abbiamo scoperto che la sua disposizione nevrotica verso i marziani era suscitata soprattutto dal loro odore. Poiché non avevo tempo di sottoporla a una cura lunga, ho dovuto servirmi di un fattore compensativo. Ho chiesto a Penny… la ragazza che c’era prima, l’avrà vista… che m’imprestasse la sua boccetta del profumo. Temo che d’ora in poi, giovanotto, per il suo naso i marziani profumeranno come una casa d’appuntamenti parigina. Se avessi avuto tempo avrei scelto un odore più casalingo, come fragola o vaniglia. Ma ho dovuto improvvisare…

Annusai. Sì, l’odore aveva il sentore greve di un profumo di lusso, eppure, accidenti, era inequivocabilmente la puzza dei marziani!

— Confesso che mi piace — dissi.

— Non può fare a meno di piacerle.

— Professore, lei ne avrà versato una boccetta intera. La cabina ne sembra inzuppata.

— Come? No, niente affatto. Mi sono limitato a passarle il tappo sotto il naso, mezz’ora fa, poi ho restituito la boccetta a Penny che l’ha riportata via. — Annusò a sua volta. — Mmm… Non si sente più alcun odore, adesso. "Passione tropicale" diceva l’etichetta, e doveva contenere una bella percentuale di muschio. Ho accusato Penny di voler dare all’equipaggio l’ebbrezza spaziale, e lei mi ha riso in faccia. — Allungò la mano e spense il proiettore. — Basta con questa roba, adesso. Intendo farle fare qualcosa di più utile.

Quando la scena sì dileguò, anche la fragranza svanì con l’ultima immagine, proprio come avviene coi proiettori muniti d’impianto odorifero. Mi occorse un certo sforzo per convincermi che era tutta una mia illusione, anche se, come attore, avrei dovuto saperlo perfettamente.

Quando Penny tornò, pochi minuti dopo, il profumo che le aleggiava intorno era esattamente quello dei marziani.

Lo trovai squisito.

4

La mia istruzione proseguì nella stessa cabina (la camera degli ospiti di Bonforte) fino al capovolgimento della nave. Non dormii mai, con l’eccezione dei periodi in cui fui sotto ipnosi, ma non provai mai sonno. O il professor Capek o Penny mi stavano a fianco, pronti ad aiutarmi, e non rimasi solo un momento. Per fortuna, il mio uomo era stato fotografato e cinematografato in tutte le occasioni possibili e immaginabili, al pari di qualsiasi altro personaggio storico, e per di più avevo la stretta collaborazione dei suoi intimi. Il materiale che avevo a mia disposizione era infinito; c’era solo il problema di scoprire quanto ne avrei potuto assimilare, sia da sveglio sia in stato d’ipnosi.

Non so bene quando cessai di provare antipatia per Bonforte. Capek mi assicurò — e non c’è motivo di dubitare delle sue parole — di non avermi indotto alcuna suggestione ipnotica su questo argomento specifico: io non gli avevo chiesto di farlo, e inoltre sono pronto a giurare sulla sua estrema correttezza per quanto riguarda le sue responsabilità morali di medico e d’ipnoterapeuta. Suppongo che il mutamento dei miei sentimenti nei confronti di Bonforte sia stato una cosa del tutto naturale, inevitabile, e che si sia prodotto man mano che andavo immedesimandomi in lui… penso che giungerei a provare simpatia perfino per Jack lo Squartatore, se dovessi studiarne la parte. È una cosa abbastanza comprensibile: per imparare a fondo una parte, occorre immedesimarsi provvisoriamente nel personaggio, assumerne la personalità, diventare lui. E ci sono due sole possibilità: o si prova della simpatia per se stessi, o si finisce suicidi.

Comprendere è perdonare… e io cominciavo a comprendere Bonforte.

Al capovolgimento, ci fu concesso il riposo a 1 g che Dak aveva promesso. Non fummo mai in caduta libera, nemmeno per un istante, perché invece di spegnere la "torcia", cosa che a quanto pare i piloti non fanno mai mentre sono in viaggio, l’astronave descrisse quel che Dak chiamava una deviazione laterale di 180 gradi. I motori restarono accesi per tutto il tempo, e la cosa si svolse piuttosto rapidamente, ma l’effetto risultante alterava in modo curioso il senso dell’equilibrio. Questo effetto ha un nome strano, qualcosa come "accelerazione di Coriolano". O forse di Coriolis?

Non che io me ne intenda molto, di astronavi. Tutto ciò che so è che quelle che partono dalla superficie dei pianeti sono dei razzi veri e propri, ma che i voyageur le chiamano "caffettiere" a causa del getto d’idrogeno o di vapor acqueo che serve a dare la spinta. Non sono considerate delle astronavi atomiche a tutti gli effetti, anche se usano una pila atomica per portare i getti alla temperatura voluta. Invece le astronavi da lunga crociera, come la Tom Paine, cioè le "navi torcia", sono effettivamente navi atomiche (o così mi hanno assicurato) e sfruttano il fatto che E è uguale a mc due… o che sia m che è uguale a Ec due? Sì, avrete capito, quella cosa inventata da Einstein.

Dak fece del suo meglio per spiegarmi tutto quanto, e senza dubbio dev’essere roba molto interessante per chi si sente portato per quel tipo di faccende. Ma io, personalmente, non so immaginare perché mai un gentiluomo dovrebbe preoccuparsi di questo genere di cose. Ho la netta impressione che tutte le volte che quei giovanotti della scienza si danno da fare coi loro regoli calcolatori la vita diventi più complicata. Non potevano lasciare tutto come stava?

Nelle due ore durante le quali ci trovammo con un solo g, fui trasferito nella cabina di Bonforte, dove incominciai a provare i suoi abiti e ad assumere le sue espressioni. Tutti stavano attenti a chiamarmi "onorevole Bonforte", o "Capo", o (quando si trattava del professor Capek) "Joseph", il che, naturalmente, doveva agevolarmi nello studio della parte.

Tutti, ho detto, salvo Penny… Non riusciva assolutamente a chiamarmi "onorevole Bonforte". Si sforzava come meglio poteva, ma proprio non riusciva a farlo. Era chiaro come il sole che apparteneva a quel genere di segretarie che sono innamorate del proprio principale, in silenzio e senza speranza, e che provava per me un’avversione profonda, illogica, ma totalmente spontanea. La cosa risultava fastidiosa per entrambi, soprattutto per il fatto che io la trovavo sempre più attraente. Come si può dare il meglio di se stessi quando si ha sempre tra i piedi una donna che ci disprezza palesemente? A mia volta, io non potevo provare nei suoi confronti la stessa avversione che lei provava per me; anzi mi dispiaceva molto che si comportasse così e la cosa mi seccava notevolmente.

Era un po’ la prova del fuoco, perché a bordo della Tom Paine non tutti erano al corrente del fatto che io non fossi Bonforte. Non sapevo esattamente chi fosse al corrente della sostituzione: potevo riposarmi, riprendere la mia personalità e far domande solo in presenza di Dak, di Penny, e del professor Capek. Ero quasi sicuro che il segretario particolare di Bonforte, il dottor Washington, fosse al corrente di tutto, ma egli si comportò sempre come se fosse all’oscuro di tutto. Era un vecchio mulatto sparuto, dall’aria riservata e dal volto austero. Due altre persone, poi, sapevano certo tutto, ma non si trovavano a bordo della Tom Paine; erano rimasti sulla Passa al primo turno! a fare da paravento, incaricandosi dei comunicati stampa e del disbrigo della corrispondenza. Si trattava di Bill Corpsman, capufficio stampa di Bonforte, e di Roger Clifton. Non saprei ben definire le mansioni di Clifton. Braccio destro politico? Era stato ministro senza portafoglio, come forse ricorderete, quando Bonforte era stato Primo Ministro, ma questo non dice molto. Volendo dare una definizione simbolica, si potrebbe dire che da Bonforte emanava la linea politica, e da Clifton emanavano i suoi aspetti pratici: era lui ad assegnare gli incarichi amministrativi.