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Ma anche a mangiar loto, dopo un po’ ci si stanca. Al quarto giorno non ne potevo più di quella stanza, che mi riusciva più odiosa di qualsiasi anticamera d’impresario teatrale che avessi mai sperimentato in vita mia. Mi sentivo solo, nessuno si occupava di me; le visite di Capek erano strettamente professionali, e quelle di Penny erano brevi e rare. Per di più, aveva smesso di chiamarmi "onorevole Bonforte".

Quando arrivò Dak gli mostrai tutto il mio entusiasmo. — Dak, che piacere! Cosa c’è di nuovo?

— Niente d’importante. Con una mano cerco di mettere in ordine la Tom Paine, mentre con l’altra aiuto un po’ Rog a rimediare a qualche faccenda politica imprevista. Per mettere a punto questa campagna elettorale si farà venire l’ulcera: ci scommetterei otto contro tre. — Si mise a sedere. — Uff, la politica!

— Ehm… già. Ma come ha fatto, lei, a entrare in politica? Così, dal di fuori, pensavo che i voyageur si tenessero lontani dalla politica almeno quanto gli attori, in particolare lei.

— È vero e non è vero. Per lo più se ne infischiano di chi sta al potere, purché possano continuare a portare le loro carrette in giro per il cielo. Ma per poterlo fare occorre merce da trasportare, e la merce vuol dire commercio e il commercio, per essere redditizio, deve essere completamente aperto, cioè ogni astronave deve poter andare dove preferisce, senza l’impaccio di quelle sciocchezze delle dogane e delle zone interdette. Libertà. Ed ecco dove si casca: nella politica. Quanto al mio caso, in origine mi ero mosso per sostenere il permesso di "viaggio continuo", in modo che le merci che seguivano la rotta dei tre pianeti non dovessero pagare due volte i dazi doganali. Non occorre dirle chi avesse proposto l’emendamento: Bonforte. Una cosa tira l’altra, ed eccomi qua, comandante del suo yacht già da sei anni, e rappresentante alla Grande Assemblea dei miei colleghi di corporazione, a partire dalle ultime elezioni generali. — Trasse un gran sospirone. — Se vuol sapere la verità, non so bene neppure io come siano andate effettivamente le cose.

— Allora immagino che sia ansioso di rinunciare alla carica. Non intenderà mica ripresentarsi alle elezioni?

Mi fissò sbalordito. — Eh?… Amico, finché non si entra nella politica non si sa cosa significhi essere vivi.

— Ma se ha appena finito di dirmi…

— Sì, sì. So benissimo cosa le stavo dicendo. È un mestiere pericoloso, spesso anche sporco, composto solo di lavoro pesante e d’un mucchio di dettagli noiosi. Ma è l’unico passatempo adatto per le persone adulte. Tutti gli altri passatempi sono per bambini. Tutti. — Tacque; dopo un momento si alzò. — Devo correre.

— Oh, no, resti ancora un po’ a tenermi compagnia.

— Non posso assolutamente. Domani si riunisce la Grande Assemblea e devo dare una mano a Rog. Anzi, non sarei neanche dovuto venire.

— Ah — feci — davvero? Si riunisce l’Assemblea? Non lo sapevo.

Sapevo che la Grande Assemblea, vale a dire quella uscente, doveva riunirsi ancora una volta prima dello scioglimento per prendere atto della nomina del nuovo governo, ma non ci avevo pensato. Era una cosa d’ordinaria amministrazione, superficiale e meccanica come sottoporre l’elenco dei ministri alla graziosa approvazione dell’imperatore. — E lui potrà partecipare alla riunione? — chiesi.

— No. Ma non se ne preoccupi. Penserà Rog a scusarsi per la sua… cioè la sua… assenza di fronte all’Assemblea, e chiederà d’adottare il procedimento per procura, previa approvazione. Poi leggerà il discorso del Primo Ministro Designato, discorso che Bill sta preparando ora. Chiederà a nome proprio che il Governo venga votato. Approvazione. Nessun dibattito. Altra approvazione. La seduta è aggiornata sine die… e tutti si precipitano a casa a prepararsi per la campagna elettorale, incominciando a promettere agli elettori due donne ciascuno e cento crediti in tasca ogni lunedì. Normale amministrazione. — Aggiunse: — Ah, dimenticavo. Ci sarà anche qualche membro del Partito dell’umanità che proporrà una mozione di auguri di pronta guarigione e l’invio d’un mazzo di fiori, e la mozione sarà approvata in un alone di sottile ipocrisia. I fiori, preferirebbero mandarli al funerale di Bonforte. — Aggrottò la fronte.

— Sarà davvero tutto così semplice? Cosa succederebbe se non accettassero Rog come rappresentante per procura del Primo Ministro? Pensavo che la Grande Assemblea non accettasse sostituti.

— E di solito non li accetta, quando adotta la procedura ordinaria. O ci si accorda con un deputato dell’opposizione per rimanere assenti in due, oppure ci si fa vivi e si vota. Ma la riunione di domani è una di quelle fatte apposta per far girare a vuoto gli ingranaggi del Parlamento. Se non permetteranno a Bonforte di venir rappresentato per procura, allora dovranno rimanere lì ad aspettare che lui si ristabilisca, prima di poter aggiornare i lavori sine die e di potersi dedicare alla loro ben più seria occupazione di cercare d’ipnotizzare gli elettori. Fino ad oggi, un quorum rappresentativo si è riunito quotidianamente, aggiornando ogni volta la seduta, fin dal giorno delle dimissioni di Quiroga. Questa Assemblea è più morta dello spettro di Cesare, ma per poterla affossare occorre procedere costituzionalmente.

— Sì… ma supponiamo che qualche idiota s’impunti e faccia delle obiezioni?

— Non s’impunterà nessuno, stia tranquillo. Sì, se s’impuntasse potrebbe provocare una crisi costituzionale, ma nessuno lo farà.

Restammo in silenzio per qualche istante. Dak non sembrava più ansioso d’andarsene.

— Dak — dissi — pensa che le cose andrebbero più lisce se mi facessi vedere e se pronunciassi io il discorso?

— Come? Credevo che la cosa fosse già stata discussa. È stato lei stesso a dire che è troppo pericoloso comparire ancora in pubblico, salvo qualche emergenza tra la vita e la morte. Del resto, non le do torto. C’è il vecchio detto della gatta e del lardo…

— Sì, ma questa volta, mi pare, si tratta solo d’una sfilata in passerella, no? Battute fisse come quelle d’un copione? O c’è la possibilità di qualche colpo di scena? Che abbiano in serbo qualche sorpresa che riuscirebbe a mettermi nell’imbarazzo?

— Be’, no. Di solito, in queste circostanze, dopo il discorso si usa tenere una conferenza stampa, ma si potrebbe evitarla con la scusa della sua recente malattia. Potremmo scivolare di soppiatto per il tunnel di sicurezza, e così lei potrebbe evitare i giornalisti. — Poi aggiunse, con un sorriso storto: — Naturalmente c’è sempre il pericolo che qualche malintenzionato riesca a intrufolarsi con la pistola nella galleria dei visitatori… l’onorevole Bonforte la chiamava "il tiro al bersaglio", dopo essere stato ferito da un colpo sparato da lì.

La gamba mi diede una fitta. — Ha intenzione di spaventarmi per non farmi andare?

— No.

— Be’, allora ha scelto uno strano modo per farmi coraggio. Dak, me lo dica sinceramente: lei desidera che io parli domani all’Assemblea, oppure no?

— Certo che lo desidero! Perché diavolo crede che sia venuto a trovarla qui, con tutto il da fare che ho? Solo per fare due chiacchiere?

Il Presidente pro tempore picchiò il martelletto. Il Cancelliere elevò a Dio un’evocazione in cui s’evitava accuratamente ogni differenza tra una religione e l’altra, e tutti fecero silenzio. I seggi erano occupati solo per metà, ma la galleria era stipata di turisti.

Gli altoparlanti ripeterono amplificati i colpi picchiati alla porta come voleva la tradizione; il Cerimoniere indicò la porta con la mazza. Per tre volte l’imperatore ordinò d’essere ammesso, e per tre volte gli fu detto di no. Poi implorò che gli venisse concesso quel privilegio, e l’Assemblea glielo concesse per acclamazione. Restammo tutti sull’attenti mentre Guglielmo entrava e prendeva posto al suo seggio, dietro al banco del Presidente. Era in uniforme d’Ammiraglio Supremo e non aveva scorta, com’era prescritto, perché la sua scorta era costituita dal Presidente e dal Cerimoniere.