Udii un fruscio alle mie spalle e mi voltai. Era Penny. La guardai e dissi: – Ti hanno mandato loro? Sei venuta a far opera di persuasione?
— No.
Non disse altro, e non sembrò attendersi risposta. Né ci guardammo direttamente. Il silenzio si protrasse a lungo. Alla fine lo ruppi dicendo: – Penny? Se tentassi, mi aiuteresti?
Lei si volse allora di scatto. – Sì. Oh, sì, Capo! L’aiuterò!
— E allora tenterò – dissi in tutta umiltà.
Scrissi queste parole venticinque anni fa, per cercare di mettere ordine nella mia confusione mentale. Mi sforzai di dire la verità senza esitazioni, perché queste pagine erano destinate ad essere lette esclusivamente da me e dal mio terapeuta, il professor Capek, e da nessun altro. Fa uno strano effetto rileggere dopo un quarto di secolo le parole sciocche, dettate dall’emozione, di quel giovanotto. Mi ricordo di lui, eppure non riesco a rendermi pienamente conto che fossi io. Mia moglie Penelope sostiene di ricordarsi di lui meglio di quanto non me ne ricordi io e mi assicura di non avere mai amato altri. Ecco come ci cambia il passare degli anni!
Scopro di poter "ricordare" meglio la vita precedente di Bonforte che non la mia vera vita nei panni di quella persona piuttosto patetica, Lawrence Smith, o (come amava darsi nome lui stesso) "Il Grande Lorenzo". Sono dunque pazzo, schizofrenico? Forse sì ma, se lo sono, questa pazzia mi è stata imposta dalla parte che dovevo recitare perché, per permettere a Bonforte di rivivere, quel piccolo attore dovette essere soppresso, completamente.
Pazzo o no, io sono cosciente del fatto che lui una volta è esistito, e che io sono stato lui. Non ebbe mai molto successo come attore, onestamente, anche se debbo riconoscere che talvolta fu sfiorato dalla genuina follia. La sua definitiva uscita di scena fu perfettamente in carattere. Conservo, non so dove, un ritaglio ingiallito di giornale in cui si legge che fu "trovato morto" in una stanza d'albergo a Jersey City, avvelenato da una dose eccessiva di sonnifero. A quanto pare l'aveva presa in un accesso d'abbattimento: il suo agente riferì che da diversi mesi non trovava scritture. A dire il vero, penso che non avrebbero dovuto ricordare il particolare che fosse senza lavoro: anche se non era una calunnia vera e propria, non era certo una cosa gentile da dirsi. Tra l'altro, dalla data del ritaglio, si deduce che non poteva assolutamente trovarsi a New Batavia, né in altre località, nel corso della campagna elettorale del '15.
Forse dovrei bruciare quel ritaglio.
Ma ormai, oltre a Dak e a Penelope, non è più vivo nessuno che sappia la verità, salvo forse coloro che assassinarono il corpo di Bonforte.
Sono stato a capo del governo tre volte, e tre volte il mio governo è caduto; forse la presente legislatura sarà l'ultima cui prenderò parte. La prima volta fui messo in minoranza dopo essere finalmente riuscito a far sedere nella Grande Assemblea gli extraterrestri: venusiani, marziani e gioviani esterni. Gli esseri non umani ci rimasero, e anch'io ritornai al governo. La gente è disposta ad accettare una certa quantità di riforme per volta. Poi desidera venir lasciata tranquilla. Ma le riforme restano. In verità la gente non ama i cambiamenti. Non vorrebbe mai alcun cambiamento, e la xenofobia è radicata molto profondamente. Ma noi andiamo avanti, perché occorre andare avanti se vogliamo arrivare alle stelle.
Mille e mille volte mi sono posto la domanda: – Che cosa farebbe adesso Bonforte? – e non sono sicuro di avere sempre dato la risposta giusta (anche se sono senza dubbio il più profondo conoscitore delle sue opere in tutto il Sistema Solare). Ma ho sempre cercato di agire in carattere con il suo personaggio. Molto tempo fa qualcuno (Voltaire, forse?) scrisse: "Se Satana dovesse mai sostituirsi a Dio, si accorgerebbe che gli è necessario agire come lui".
Non ho mai rimpianto la mia professione perduta. In un certo senso non l'ho perduta: Guglielmo aveva ragione. Ci sono anche altri tipi d'applausi, oltre al battere delle mani, e c'è sempre l'intimo compiacimento d'una buona recita. Io ho cercato, in un certo senso, di creare il perfetto capolavoro della professione drammatica. Forse non ci sarò riuscito pienamente, comunque penso che anche mio padre l'avrebbe definita "una buona interpretazione".
No, non rimpiango affatto la mia professione, anche se allora mi sentivo più felice… per lo meno dormivo più tranquillo. In fin dei conti, si prova un certo tipo solenne di soddisfazione, quando si fa del proprio meglio per otto miliardi di persone.
Forse la loro vita non è importante di fronte alla vastità del cosmo, ma anch'essi hanno dei sentimenti. Anch'essi soffrono.