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Più Corpsman insisteva, più prepotente sentivo affiorare in me la personalità di Bonforte. Credo che Clifton si fosse accorto che stavo per esplodere, perché intervenne dicendo: — Oh, per l’amor di Dio, Bill. Dagli il discorso.

Corpsman sbuffò e mi lanciò il mazzo dei fogli. Poiché eravamo in caduta libera, fluttuarono sparpagliandosi nell’aria. Penny li raccolse, li rimise in ordine, e me li passò. La ringraziai e, senza dire parola, mi misi a scorrerli.

Lessi il discorso in una frazione del tempo che mi sarebbe occorso per pronunciarlo. Giunto alla fine, alzai gli occhi.

— Be’? — mi domandò Rog.

— Circa cinque minuti del discorso sono occupati dalla relazione sulla cerimonia dell’adozione. Il resto sono parole a sostegno della politica del Partito espansionista. Suppergiù le stesse cose che ho sentito nei discorsi che m’avete dato da studiare.

— Già — convenne Clifton. — L’adozione ci serve come esca per poter esporre anche il resto. Come lei saprà, tra non molto abbiamo intenzione di costringere il governo a chiedere il voto di fiducia.

— Comprendo benissimo. È un’occasione da non perdersi per battere sulla grancassa. Be’, è tutto a posto, ma…

— "Ma" cosa? Cos’è che la preoccupa?

— Ecco… è la resa del personaggio. Ci sono taluni punti in cui occorre cambiare le parole. Non è il modo in cui si esprimerebbe lui.

Corpsman sbottò, pronunciando una parola che non si dovrebbe mai dire in presenza di una signora. Io gli lanciai un’occhiata gelida. — Mi stia a sentire bene, Smythe — proseguì. — Chi può insegnarci la maniera in cui Bonforte direbbe o non direbbe una data cosa? Lei? Oppure l’uomo che da quattro anni gli scrive i discorsi?

Cercando di dominarmi, dovetti constatare che il mio avversario aveva segnato un punto a suo favore. — Ciò nondimeno, si dà il caso — gli risposi — che una frase, che sembra bellissima a vederla scritta, suoni male una volta che la si pronunci. Ho avuto modo di vedere come l’onorevole Bonforte sia un magnifico oratore. Appartiene alla categoria dei Webster, dei Churchill, dei Demostene… una grandeur trascinante che s’esprime mediante parole semplici. Prendiamo ad esempio la parola "intransigente", da lei scritta ben due volte nel discorso. È una parola che potrei dire io, che ho un debole per le parole lunghe; mi piace sfoggiare la mia erudizione letteraria. Ma l’onorevole Bonforte direbbe invece "testone", o "cocciuto", o "ostinato". Il motivo, ovviamente, è che lui sa benissimo che queste parole trasmettono le emozioni in modo più immediato ed efficace.

— Ci pensi lei a rendere efficace la recitazione! Delle parole mi occupo io.

— Vedo che lei non capisce, Bill. A me non interessa che il discorso sia o non sia efficace politicamente; il mio compito è quello di recitare una parte, ricreando un personaggio. Non potrò farlo bene se dovrò mettere sulle labbra del personaggio certe parole che lui non si sognerebbe mai di usare; suonerebbero false e artificiose come una scimmia che si esprimesse con citazioni di greco classico. Se invece mi si darà da leggere un discorso scritto con parole che lui stesso userebbe, la mia recitazione otterrà automaticamente la massima efficacia. Bonforte è un grande oratore.

— Senta, Smythe. Lei non è qui per scrivere discorsi. Lei è stato assunto per…

— Piantala, Bill! — tagliò corto Dak. — E nomina un po’ meno "Smythe", cerca di ricordartelo. Be’, Rog, che ne dici?

— Se non ho capito male, Capo — disse Clifton — le sue obiezioni si riferiscono solo a certe parole non adatte, vero?

— Be’, in genere sì. Suggerirei poi di smussare un po’ quell’attacco personale a Quiroga, e anche l’insinuazione relativa ai finanziatori dietro le quinte. Non mi pare che Bonforte sarebbe così violento.

— Sono stato io a mettere quelle frasi — disse Rog, con aria colpevole. — Lui concede sempre a tutti il beneficio del dubbio. — Rimase in silenzio per un istante. — Faccia pure tutte le correzioni che le sembrano necessarie. Lo registreremo e lo vedremo poi in proiezione. Ad ogni buon conto, c’è sempre la possibilità di fare dei tagli… o anche di sospendere tutto il discorso "a causa di difficoltà tecniche". — Fece un sorriso. — Faremo così, Bill.

— Accidenti, ma è una ridicola…

— Calma, Bill. È così che occorre fare.

Corpsman se ne andò furibondo dalla cabina, e Clifton emise un lungo sospiro. — Bill non sopporta che gli altri gli diano ordini. Li accetta solo da Bonforte. Ma è un uomo molto capace… Capo, quando sarà pronto per il discorso? Lo mandiamo in onda alle quattro.

— Non posso dirlo. Ma sarò pronto per l’ora stabilita — lo rassicurai.

Penny mi accompagnò nella cabina ufficio. Dopo aver chiuso la porta, le dissi: — Non avrò bisogno di lei per un’oretta, Penny. Ma mi farebbe il favore di chiedere alcune compresse per me? Può darsi che ne abbia bisogno.

— Sì. — S’avviò fluttuando verso la porta, ma poi si fermò per dirmi: — Capo?

— Sì, Penny?

— Volevo solo dirle di non dare retta alle parole di Bill sul fatto che è lui a scrivere i suoi discorsi!

— Le assicuro che non ci ho creduto neppure io. I suoi discorsi li ho sentiti… e ho letto questo.

— Oh, Bill gli passa effettivamente delle minute, un mucchio di volte. E così pure Rog. Anch’io ogni tanto gli do dei suggerimenti. Lui accetta aiuti da tutti, quando gli pare che possano servirgli. Ma quando scrive un discorso, quel discorso è suo, parola per parola.

— Lo credo. E vorrei che avesse scritto anche questo, in anticipo.

— Sarà sufficiente che lei faccia del suo meglio.

Seguii la sua esortazione. Incominciai con piccole sostituzioni di parole, mettendo dei sinonimi d’uso corrente al posto delle parole più lunghe e più difficili da pronunciare. Poi incominciai ad appassionarmi al lavoro, fui preso da una sorta di sacra esaltazione dionisiaca. Feci scempio delle minute, con gli occhi che mi brillavano e con il volto arrossato. È molto divertente per un attore mettersi a pasticciare con il copione: non è una cosa che gli capiti spesso…

Come pubblico impiegai la sola Penny, e mi assicurai presso Dak che i comunicatori con il resto dell’astronave fossero chiusi, anche se ho il sospetto che quel gaglioffo mi abbia imbrogliato e abbia preso parte anche lui all’ascolto. Nel giro di tre minuti Penny aveva le lacrime agli occhi; alla fine (ventotto minuti e mezzo, appena in tempo per avvertire le reti di trasmissione di lasciarci libero il canale) era completamente esausta. Non mi concessi alcuna deviazione dalla schietta dottrina espansionista, nella formulazione ortodossa fornita dal suo profeta ufficiale, l’Onorevolissimo John Joseph Bonforte; semplicemente ricostruii da capo a piedi il messaggio e il discorso, servendomi abbondantemente di frasi contenute in orazioni precedenti.

Cosa strana… mi accorsi che ero disposto a crederne ogni parola, mentre lo pronunciavo.

Vi assicuro, amici: che discorso!

Dopo averlo registrato, lo riascoltammo in proiezione, completo di immagine stereovisiva di me stesso. C’era anche Jimmie Washington, e la sua presenza servì a far rimanere tranquillo Bill Corpsman. Terminata la trasmissione dissi: — Che gliene pare, Rog? Occorre tagliarne qualche parte?

Rog si tolse il sigaro di bocca e disse: — No. Se vuole un consiglio, Capo, lo lasci così com’è.

Corpsman se ne andò furibondo una seconda volta, ma il dottor Washington mi si avvicinò con le lacrime agli occhi… le lacrime sono un grosso guaio, in caduta libera; non si sa dove metterle. — Onorevole Bonforte, è una meraviglia!

— Grazie, Jimmie.

Quanto a Penny, non aveva assolutamente parole.

Dopo l’esibizione mi ritirai. Le recite impegnative mi lasciano spossato. Dormii per otto ore filate, e fui svegliato dalla campanella d’allarme dell’astronave. Mi ero legato alla cuccetta (odio andarmene in giro galleggiando nell’aria mentre dormo in caduta libera) così non ebbi neppure bisogno di spostarmi per proteggermi dall’accelerazione. Ma non mi risultava che fosse prevista una partenza, e perciò chiamai la cabina di controllo tra il primo e il secondo avviso. — Capitano Broadbent?