Ma io rimasi molto perplesso sul fatto (su questi argomenti ero un completo ignorante) che i primordi del Partito espansionista mostravano una stretta somiglianza con le teorie politiche propugnate dal Partito dell’umanità. Non sapevo che i partiti, crescendo, spesso cambiano idea come le persone. Sapevo molto vagamente che il Partito dell’umanità era sorto come ramo laterale del Partito espansionista, ma non era una cosa sulla quale mi fossi mai soffermato a pensare. In realtà, era stato un processo inevitabile: mentre i partiti che non avevano alzato gli occhi all’infinità dello spazio scomparivano l’uno dopo l’altro di fronte alle esigenze della storia, e cessavano di venire rappresentati all’Assemblea, era destino che l’unico partito indirizzato sulla giusta via si scindesse in due fazioni.
Comunque, sto correndo troppo. La mia istruzione politica non fu altrettanto schematica né altrettanto ordinata. Dapprima mi lasciai semplicemente affondare nei discorsi tenuti da Bonforte in pubblico. Sì, l’avevo già fatto nel primo viaggio, ma allora mi ero limitato a studiare il suo modo di parlare: ora studiavo il significato delle sue parole.
Come oratore, Bonforte apparteneva alla grande tradizione, ma riusciva ugualmente a essere corrosivo quando s’immergeva nella polemica. Per esempio, il discorso da lui tenuto a Nuova Parigi durante i dibattiti che avevano portato al Trattato con i nidi marziani: al Concordato di Tycho. Era stato appunto quel Trattato a costargli la carica di Primo Ministro; era riuscito a far passare la legge, ma ne erano risultate delle tensioni interne alla Coalizione espansionista, ed egli era uscito sconfitto dal voto di fiducia successivo. Ciò nonostante, il suo successore nella carica, Quiroga, non aveva osato denunciare il Trattato. Ascoltai il discorso con particolare interesse, perché io stesso non ero stato d’accordo, a suo tempo, con il Trattato; l’idea che, sulla Terra, venissero concessi ai marziani gli stessi diritti di cui gli esseri umani godevano su Marte mi era sempre parsa detestabile… finché non avevo visitato il Nido di Kkkah.
— Il mio oppositore — aveva detto Bonforte, con voce leggermente roca — vorrebbe farvi credere che il motto del cosiddetto Partito dell’umanità: "Governo sugli esseri umani, a opera di esseri umani, a favore degli esseri umani" non sia altro che la versione aggiornata delle immortali parole di Abramo Lincoln. Ma se la voce è quella di Lincoln, la mano nascosta dietro la schiena appartiene al Ku Klux Klan. Il vero significato del suo motto, in apparenza innocente, è: "Governo su tutte le razze, ovunque, a opera esclusiva degli esseri umani, e a beneficio e profitto di pochi privilegiati".
E aveva continuato: — "Ma" afferma il mio oppositore "Dio ci ha conferito l’incarico di diffondere la luce tra le stelle, donando ai selvaggi il nostro particolarissimo tipo di civiltà." Queste affermazioni nascono direttamente dalla scuola di sociologia dello Zio Remo, quello delle favole della lepre e della tartaruga. "Noi bravi negri cantare spiritual, padrone bianco pensare lui a tutto!" È una scenetta meravigliosa, ma ve la dipinge dentro una cornice troppo piccola: non si vedono gli staffili, il mercato degli schiavi… e gli uffici amministrativi della piantagione!
Non so se a convincermi sia stata la logica stringente delle sue parole… in effetti non sono neppure sicuro che il loro credo politico facesse appello solo alla logica. Ma la mia mente era nelle condizioni più adatte ad accoglierlo. Desideravo comprendere le sue idee fino al punto di poterle ripetere con altre frasi, e di poterle pronunciare al posto suo se fosse stato necessario.
Comunque fosse, poi, davanti a me c’era un uomo che sapeva quello che voleva e (cosa molto più rara!) perché lo voleva. Non potevo fare a meno di restarne colpito, e ciò mi costringeva a fare un completo esame di coscienza. Per cosa vivevo, io?
Ma… la mia arte, chiaro! Ero nato nel teatro; il teatro mi piaceva, nutrivo la profonda anche se illogica convinzione che l’arte meritasse qualsiasi sforzo… e inoltre non conoscevo altri mezzi per sbarcare il lunario. E oltre a quello?
Le varie scuole filosofiche e i loro sistemi etici non avevano mai esercitato molto fascino su di me. Ne avevo una certa superficiale conoscenza (le biblioteche pubbliche sono una grande risorsa per gli attori a spasso) ma le avevo sempre trovate piuttosto povere di vitamine, un po’ come i baci delle matrigne. Dandogli tempo e carta, un filosofo è capace di dimostrarvi qualsiasi cosa.
Nutrivo il medesimo disprezzo per quel tipo di educazione morale che viene impartito alla maggior parte dei bambini. Buona parte di questa educazione sono chiacchiere ripetute a pappagallo, e quel poco che sembra possedere un significato concreto sono affermazioni sacre come quelle che un "bravo" bambino non disturba mamma quando è stanca, e che un "bravo" uomo è quello che si fa un ricco conto in banca senza farsi pescare. No, grazie tante, tenetevele pure!
E tuttavia anche un cane, in definitiva, ha le sue linee di condotta. Le mie, dunque, quali erano? Come mi comportavo… o almeno come m’illudevo di comportarmi?
Lo spettacolo deve continuare. L’avevo sempre creduto, e ne avevo fatto la mia norma di vita. Ma perché lo spettacolo dovrebbe continuare? Molti spettacoli non meritano neppure di esistere. Be’, perché ci si è impegnati a recitare, perché c’è il pubblico che aspetta: hanno pagato, e gli spettatori hanno il diritto di avere dall’attore il meglio che lui può dare. È un debito; è un debito con i dipendenti del teatro, con l’impresario, con il regista, con gli altri membri della troupe… e con chi vi ha insegnato l’arte drammatica, con tutti coloro che hanno calcato la scena prima di voi, andando a ritroso nella storia, fino ai teatri all’aperto con i sedili di pietra, ai bardi che ripetevano i miti della tribù, seduti in terra nelle antichissime piazze del mercato. Noblesse oblige.
Pensandoci, vedevo come questa considerazione potesse venir generalizzata fino a comprendere ogni forma di lavoro umano. Valore per valore. Costruire con squadra e livella. Giuramento ippocratico. Non tradire i compagni di squadra. Un lavoro onesto per un onesto compenso. Sono cose che non hanno bisogno di venire dimostrate; costituiscono una parte essenziale della vita… sono vere per tutta l’eternità, vere fino agli estremi confini della Galassia.
D’improvviso mi parve di capire dove volesse arrivare Bonforte. Se c’erano dei fondamenti etici che trascendevano il tempo e il luogo, allora essi erano ugualmente validi per gli uomini e per i marziani. Erano validi per qualsiasi pianeta di qualsiasi stella, e se la razza umana non si fosse comportata in modo da rispettarli, essa non avrebbe mai toccato le stelle, perché sarebbe giunta qualche altra razza migliore che l’avrebbe ricacciata indietro per la sua doppiezza.
Il costo dell’espansione si doveva pagare con la virtù. L’altra: "Approfitta sempre degli ingenui", era una filosofia morale troppo meschina, di fronte alle sterminate distese dello spazio.
Tuttavia Bonforte non predicava la dolcezza e la spensieratezza. — Io non sono affatto un pacifista. Il pacifismo è una dottrina troppo comoda e sfuggente, in nome della quale un uomo accetta i benefici del gruppo sociale senza volerli pagare, e in più esige che gli venga detto "Bravo!" per la sua disonestà. Signor Presidente, la vita appartiene a coloro che non temono di perderla! La legge deve venire approvata! — E con queste parole si era alzato ed era passato dall’altra parte dell’Assemblea, per sostenere uno stanziamento militare rifiutato dal suo partito in una riunione ristretta.
E ancora: — Prendete posizione! Prendete sempre posizione! Talvolta sbaglierete, ma chi si rifiuta di prender posizione sbaglia sempre! Il Cielo ci salvi da quei codardi che hanno paura di fare la loro scelta! Alziamoci e facciamoci vedere bene! — (Quest’ultima citazione proveniva da una riunione ristretta degli alti esponenti della Coalizione; Penny l’aveva registrata con il suo apparecchio miniaturizzato e Bonforte l’aveva voluta conservare. Bonforte aveva il senso della Storia; gli piaceva conservare i documenti. Se non l’avesse fatto, avrei avuto ben poco su cui lavorare.)