Выбрать главу

Non risposi. Egli continuò: — Vede, Capo, lei ha imparato che un personaggio politico non è un singolo uomo: è una squadra… una squadra tenuta insieme da uno scopo comune e da comuni convinzioni. Abbiamo perso il capitano della nostra squadra e ora ce ne occorre un altro. Ma la squadra c’è sempre.

Anche Capek era insieme a noi, sul balcone. Solo allora mi accorsi della sua presenza. — È anche lei dello stesso parere? — gli domandai.

— Sì.

— È suo dovere — aggiunse Rog.

Capek disse lentamente: — Non vorrei arrivare a dire questo. Ma spero che lei sia disposto a farlo. Però, accidenti, non intendo fare la parte della sua coscienza. Credo ancora nel libero arbitrio, per quanto possa sembrare superficiale questa affermazione sulle labbra d’un medico. — Si voltò verso Clifton. — È meglio che noi lo lasciamo, Rog. Lo sa anche lui. Sono decisioni che un uomo deve prendere da solo.

Ma, anche se se n’erano andati, non ero rimasto solo. Era sopraggiunto Dak. Con mio grande sollievo, non mi chiamò "Capo"; gliene fui riconoscente.

— Salve, Dak.

— Salve. — Rimase in silenzio per un istante, a fumare e a guardare le stelle. Poi si voltò verso di me. — Vecchio marpione, ne abbiamo viste delle belle, insieme! — cominciò. — Adesso la conosco bene, e sono disposto per l’avvenire ad aiutarla senza fare domande, sia con la pistola che col denaro o con i pugni. Se lei preferisce andarsene via adesso, non gliene farò certo un rimprovero; continuerò lo stesso a pensar bene di lei. Lei ha fatto anche troppo.

— Oh, grazie, Dak.

— Una sola parola, prima che me la squagli. Se lei decide di non farlo, quei farabutti che gli hanno lavato il cervello avranno vinto. Nonostante tutto avranno vinto.

Ritornò nella sala.

Ero sconvolto, confuso, dibattuto, incerto… mi lasciai andare all’autocommiserazione. Non era giusto! Avevo ancora la mia vita da vivere. Ero al vertice della mia abilità professionale e i massimi trionfi mi attendevano. Non era leale chiedermi di seppellirmi, forse per anni interi, nell’anonimato della sostituzione di un altro uomo… mentre il pubblico pian piano si dimenticava di me, gli impresari e gli agenti scordavano il mio nome, finendo forse per credermi morto.

Non era leale. Era chiedere troppo.

Poi allontanai da me questi pensieri, e per qualche tempo non pensai a nulla. La madreterra continuava a brillare nel cielo, serena, meravigliosa, immutabile. Mi chiedevo come potesse svolgersi laggiù la notte dell’elezione. Marte, Giove e Venere erano tutti in vista, appesi sullo zodiaco come medaglie. Naturalmente non riuscivo a vedere Ganimede e neppure la solitaria colonia sulla superficie del lontano Plutone.

"I mondi della speranza", li aveva chiamati Bonforte. Ma Bonforte era morto. Non c’era più. Gli avevano strappato il diritto di vivere che aveva acquisito con la nascita, gliel’avevano tolto proprio quando era giunto nella matura pienezza delle sue forze. Era morto.

E volevano affidare a me il compito di ricreare la sua persona, di farlo rivivere.

Sarei mai riuscito a farlo? Sarei mai stato all’altezza dei suoi nobili ideali? Cosa mi avrebbe detto di fare, se gli fosse stato ancora possibile? E se ci fosse stato lui al mio posto, come si sarebbe comportato? Mille e mille volte mi ero già chiesto, durante la campagna elettorale: – Che cosa farebbe adesso Bonforte?

Udii un fruscio alle mie spalle e mi voltai. Era Penny. La guardai e dissi: – Ti hanno mandato loro? Sei venuta a far opera di persuasione?

— No.

Non disse altro, e non sembrò attendersi risposta. Né ci guardammo direttamente. Il silenzio si protrasse a lungo. Alla fine lo ruppi dicendo: – Penny? Se tentassi, mi aiuteresti?

Lei si volse allora di scatto. – Sì. Oh, sì, Capo! L’aiuterò!

— E allora tenterò – dissi in tutta umiltà.

Scrissi queste parole venticinque anni fa, per cercare di mettere ordine nella mia confusione mentale. Mi sforzai di dire la verità senza esitazioni, perché queste pagine erano destinate ad essere lette esclusivamente da me e dal mio terapeuta, il professor Capek, e da nessun altro. Fa uno strano effetto rileggere dopo un quarto di secolo le parole sciocche, dettate dall’emozione, di quel giovanotto. Mi ricordo di lui, eppure non riesco a rendermi pienamente conto che fossi io. Mia moglie Penelope sostiene di ricordarsi di lui meglio di quanto non me ne ricordi io e mi assicura di non avere mai amato altri. Ecco come ci cambia il passare degli anni!

Scopro di poter "ricordare" meglio la vita precedente di Bonforte che non la mia vera vita nei panni di quella persona piuttosto patetica, Lawrence Smith, o (come amava darsi nome lui stesso) "Il Grande Lorenzo". Sono dunque pazzo, schizofrenico? Forse sì ma, se lo sono, questa pazzia mi è stata imposta dalla parte che dovevo recitare perché, per permettere a Bonforte di rivivere, quel piccolo attore dovette essere soppresso, completamente.

Pazzo o no, io sono cosciente del fatto che lui una volta è esistito, e che io sono stato lui. Non ebbe mai molto successo come attore, onestamente, anche se debbo riconoscere che talvolta fu sfiorato dalla genuina follia. La sua definitiva uscita di scena fu perfettamente in carattere. Conservo, non so dove, un ritaglio ingiallito di giornale in cui si legge che fu "trovato morto" in una stanza d'albergo a Jersey City, avvelenato da una dose eccessiva di sonnifero. A quanto pare l'aveva presa in un accesso d'abbattimento: il suo agente riferì che da diversi mesi non trovava scritture. A dire il vero, penso che non avrebbero dovuto ricordare il particolare che fosse senza lavoro: anche se non era una calunnia vera e propria, non era certo una cosa gentile da dirsi. Tra l'altro, dalla data del ritaglio, si deduce che non poteva assolutamente trovarsi a New Batavia, né in altre località, nel corso della campagna elettorale del '15.

Forse dovrei bruciare quel ritaglio.

Ma ormai, oltre a Dak e a Penelope, non è più vivo nessuno che sappia la verità, salvo forse coloro che assassinarono il corpo di Bonforte.

Sono stato a capo del governo tre volte, e tre volte il mio governo è caduto; forse la presente legislatura sarà l'ultima cui prenderò parte. La prima volta fui messo in minoranza dopo essere finalmente riuscito a far sedere nella Grande Assemblea gli extraterrestri: venusiani, marziani e gioviani esterni. Gli esseri non umani ci rimasero, e anch'io ritornai al governo. La gente è disposta ad accettare una certa quantità di riforme per volta. Poi desidera venir lasciata tranquilla. Ma le riforme restano. In verità la gente non ama i cambiamenti. Non vorrebbe mai alcun cambiamento, e la xenofobia è radicata molto profondamente. Ma noi andiamo avanti, perché occorre andare avanti se vogliamo arrivare alle stelle.

Mille e mille volte mi sono posto la domanda: – Che cosa farebbe adesso Bonforte? – e non sono sicuro di avere sempre dato la risposta giusta (anche se sono senza dubbio il più profondo conoscitore delle sue opere in tutto il Sistema Solare). Ma ho sempre cercato di agire in carattere con il suo personaggio. Molto tempo fa qualcuno (Voltaire, forse?) scrisse: "Se Satana dovesse mai sostituirsi a Dio, si accorgerebbe che gli è necessario agire come lui".

Non ho mai rimpianto la mia professione perduta. In un certo senso non l'ho perduta: Guglielmo aveva ragione. Ci sono anche altri tipi d'applausi, oltre al battere delle mani, e c'è sempre l'intimo compiacimento d'una buona recita. Io ho cercato, in un certo senso, di creare il perfetto capolavoro della professione drammatica. Forse non ci sarò riuscito pienamente, comunque penso che anche mio padre l'avrebbe definita "una buona interpretazione".

No, non rimpiango affatto la mia professione, anche se allora mi sentivo più felice… per lo meno dormivo più tranquillo. In fin dei conti, si prova un certo tipo solenne di soddisfazione, quando si fa del proprio meglio per otto miliardi di persone.

Forse la loro vita non è importante di fronte alla vastità del cosmo, ma anch'essi hanno dei sentimenti. Anch'essi soffrono.

FINE