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— No. — Thorn si alzò in piedi e camminando sulla sabbia andò a prendere le sue armi sulla mensola e il mantello appeso vicino alla porta. Qui si fermò e si voltò a guardare.

Per un attimo. Poi uscì, di corsa. Duun sorseggiò il tè e appoggiò la tazza vicino al ginocchio. Thorn si aspettava un po’ di vantaggio. Queste cose le dava per scontate.

Duun si alzò, raccolse le sue armi e prese il mantello.

Nessuna clemenza, allora.

Thorn correva sapendo che non c’era tempo né per rammaricarsi dell’attacco né per qualsiasi rimpianto. C’era tempo soltanto per correre, e per la terra…

(“Vento e terra, wei-na-ya: vento e terra.”)

(“Non senti gli odori; ma a me fanno male le ginocchia quando piove…”)

Gira, gira e gira, i bisogni di uno sciocco guidano la sua intelligenza; l’intelligenza di un saggio guida i suoi bisogni.

(“Un hatani stabilisce quali sono i bisogni di un altro.”)

Sciocco, fare quello che un hatani ti dice di fare!

Thorn trattanne il respiro e balzò verso le rocce. Ormai i suoi piedi nudi si adattavano al terreno sassoso meglio degli artigli di Duun. E le sue mani nude si arrampicavano dove quelle di Duun non ce la facevano… Poteva così appendersi a un ramo che gli permetteva di prendere una scorciatoia attorno al fianco della collina, come pure scendere lungo una discesa dove i piedi e le gambe di Duun avrebbero ceduto.

Il vento. O sciocco, il vento ti soffia in faccia; Duun aveva controllato da che parte soffiava il vento, quella mattina. Non c’era alcun angolo dietro il quale Duun-hatani non vedesse, prima ancora che lui ci arrivasse…

Il sasso nel tè…

In alto o in basso? Fare quello che Duun diceva e sorprenderlo con l’obbedienza? O fare il contrario?

Corri, corri: era più veloce di Duun, ecco il suo unico vantaggio. Era cresciuto fra quelle colline, e anche Duun.

Thorn era più agile. Poteva arrampicarsi più in fretta di Duun, a piedi nudi…

… ma Duun lo sapeva.

Una scelta a caso, allora. Priva di logica. Si lanciò verso il basso.

Con il vento in faccia, il vento che portava il suo odore; e prima doveva girare attorno al fianco della montagna.

Duun era alle sue spalle. Non era il dolore ciò di cui Thorn aveva paura, anche se il dolore ci sarebbe stato. Era Duun, Duun stesso.

Il vento portava l’odore, e Duun lo respirò… sciocco, pensò Duun sul bordo delle rocce; ma due volte sciocco è il cacciatore troppo sicuro di sé. C’era la tentazione di vincere immediatamente, di correre il rischio.

Ma era un hatani quello a cui dava la caccia. Non più un pesciolino, ma un pesce nell’acqua scura.

Odorò il vento, e seppe la distanza e la direzione di Thorn; sapeva la diramazione del sentiero che dava accesso alla rupe e sapeva la strada che Thorn poteva prendere e lui no… conosceva ogni sentiero sulle colline.

Thorn sapeva che lui sapeva. Questo era l’enigma: quanto bene aveva addestrato il pesce.

E di che razza era, quali talenti e abilità innate possedeva… che intelligenza e che istinti?

Mani a cinque dita; una presa più sicura; un talento per arrampicarsi: questo aveva. Aveva la giovinezza: gambe forti che non sentivano dolore.

Sapeva (se usava il cervello) cosa doveva fare uno shonun menomato per compensare le proprie magagne.

Ed essendo hatani, avrebbe cercato di prevedere, di afferrare gli eventi e di volgerli a proprio favore.

Nell’aria rimaneva una scia di sudore e di paura anche dopo che il vento aveva portato via l’odore. Ma puzzava di qualcos’altro: di amaro e di acre.

Corri, corri: era la velocità il primo vantaggio di Thorn. E l’agilità. Duun era in vantaggio soltanto nel corpo a corpo. Ma sulla distanza, fra le rocce o nello scalare rapidamente un albero inclinato su un crepaccio, Thorn lo batteva senza problemi.

(Sciocco! Lui lo sa…)

(Ma gli costerà tempo.)

E Thorn aveva messo la montagna fra sé e Duun, per confondere l’odore.

Ma Duun sapeva sentire l’odore dov’era stata una mano, se ci appoggiava il naso. Così diceva Duun.

(Corri, pesciolino. Sto arrivando, pesciolino…)

E giù verso il basso: l’opposto di ciò che Duun gli avrebbe detto di fare. Doveva confondere le carte? Cosa c’era da fare che non aveva mai fatto?

(Dei, la pancia gli faceva male. Paura? La caccia? I salti da una roccia all’altra?)

(Qualcosa nel cibo?)

Duun mosse il supporto. Il tronco rotolò lungo il pendio sassoso. Era stato preparato in fretta ed era pieno di odori. Individuò anche la seconda trappola, il ramo curvato, e ritirò in tempo la mano.

Una doppia trappola.

(Bravo, pesce. Ben fatto. Ma non abbastanza.)

Thorn s’inginocchiò, appoggiando le mani a terra. Aveva raggiunto la strada e l’aveva attraversata lasciandoci le impronte; si fermò per mettere un sasso su un ramoscello, dove un piede avrebbe potuto appoggiarsi, nella fretta; poi si lanciò lungo il pendio, lasciando altre tracce e brandelli di pelle sulle rocce. Sbagliò ancora, dovette aiutarsi con le mani. La faccia gli si arrossò per la vergogna. Si rimise in piedi, dopo qualche passo si piegò su sé stesso, sudando, e resistendo alla tentazione di appoggiarsi a un albero.

(Non toccare nulla, non lasciare tracce…)

Duun gli avrebbe fatto male. Questo era niente. Era lo sguardo, l’espressione negli occhi grigi di Duun. Lo sguardo. Il disprezzo.

Thorn si piegò, prendendo fiato; e cominciò a far funzionare il cervello. Guardò in alto, la scarpata da cui era appena sceso.

(Prendimi adesso, faccia a faccia.)

(Le barriere sono cadute, pesciolino. Cosa farai?)

(Duun aveva dormito? Era riuscito a dormire più di lui, in quelle ultime notti nella casa?)

Forse Duun-hatani era rimasto sveglio ogni notte,… pensando che un pesciolino poteva coglierlo di sorpresa? Aspettandoselo?

Era tanto quanto lui, Duun?

(Prepara la colazione, pesciolino. Hai sentito?)

Trucchi hatani. Un hatani decide cosa farà il suo nemico.

Un sasso nel tè. (Prepara la colazione, pesciolino.)

E ciò che crede il suo nemico.

La rabbia s’impadronì di lui. Se ne liberò.

(Usa la rabbia; altrimenti non serve a nulla.)

(Serve la paura?)

Duun si arrestò, senza uscire allo scoperto. Sotto c’erano le cime degli alberi, nere e verdi. Oltre gli alberi c’era la grande pianura dove scorreva il fiume Oun.

E un pensiero gelido lo colse.

Profetico. Il suo cuore raddoppiò i battiti. Aveva scelto la parte del cacciatore. Era la parte abituale per lui; Thorn raramente si rivoltava, cercava solo di evitare i suoi attacchi, di difendersi… metteva delle trappole. Era saggio da parte di Thorn.

(Faccia a faccia con me. No, Thorn non ha voluto quando gli ho offerto di combattere.)

La tattica della fuga, costantemente. Sottrarsi al confronto.

(Trovami, Duun-hatani. Trovami se ci riesci. Trovami dove voglio io.)

In un posto diverso: un nuovo terreno.

Duun non osava correre. Questo era sempre il rischio dell’inseguitore. Le trappole di Thorn erano fatte senza molta convinzione, simboliche. Ma non c’era niente di simbolico in una scarpata. Thorn immaginava che lui fosse sufficientemente cauto.

E Thorn era più veloce. Più giovane. Aveva fiato.

Duun si rimise in marcia, rapido. La rabbia sorse dentro di lui, ma svanì all’istante.

(Ben fatto, pesciolino, se era questo il tuo piano. Non mi vergogno. Non di te.)

Duun vedeva il suo pericolo. Ed essendo stato educato come un hatani, forse il giovane pazzo sapeva cosa faceva.

Forse.

Thorn sentiva ancora male. I primi crampi l’avevano fatto piegare in due. (Oh dei, dei, dei, la pancia.) S’inginocchiò sulla riva di un torrente lungo cui non aveva mai cacciato e si bagnò la faccia. Livhl. Conosceva quell’erba. Ne conosceva altre, e masticò le foglie; un sapore orribile, ma gli interruppero le contrazioni dell’intestino. Aveva lasciato dei segni e fatto diversi errori, quando era stato assalito del dolore. Masticò le foglie amare che aveva trovato, le inghiottì e si bagnò la faccia con l’acqua gelida. Aveva le mani bianche, scosse dei brividi.