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Pazzo a sfidare Duun. A offrirgli clemenza. Ad avere cambiato gioco. Niente era ormai sicuro. Balzò in piedi, e si mise a correre lungo il torrente…

… Un vecchio trucco. Un trucco antico, avrebbe detto Duun. Fai qualcosa di originale.

Non gli restavano più forze. Le ginocchia gli facevano male, a forza di lottare contro l’acqua e le rocce; le ossa gli dolevano per il freddo; le giunture gli cedevano nello sforzo di adattarsi alle pietre irregolari del torrente. Il gelo gli penetrò nelle ossa, e lo fece tremare.

(Può morire uno per avere ingoiato del livhl? Ma era livhl?)

Gli cedette una caviglia; si salvò da una caduta nell’acqua gelida e tornò a riva con le braccia e le gambe che si contraevano come sotto gli spasmi di una droga. (O Duun, sleale.)

Nessuna clemenza.

Nessuna.

Ancora verso il basso.

Il sole superò lo zenit. La droga aveva dato i suoi effetti. Duun sentì l’odore di livhl, anche se Thorn era stato attento, e aveva usato il torrente per nasconderlo. Era nel suo sudore, nelle cose che le sue mani avevano toccato. Aveva seguito il torrente… senza cercare minimamente di mascherare il punto di uscita. Se la mente di Thorn non fosse stata frastornata, lì ci poteva essere una trappola. Duun girò attorno al posto e trovò la pista senza difficoltà, anche se l’acqua aveva in parte attutito l’odore. (Ben pensato, pesciolino; i cespugli sono fitti, la possibilità di un’imboscata grande. Devo seguirti dove potresti tirarmi una pietra o farmi cadere in una trappola?)

(Dov’è il punto di rottura, Thorn? Il punto per uccidere? Il punto in cui ti volterai?)

(O cadrai prima? Quanto tempo ancora, Thorn?)

Duun accelerò il passo. La gamba lo tradiva e gli faceva male un fianco. (Vecchio, vecchio… ti hanno rimesso insieme; avresti dovuto lasciare che ti sostituissero il ginocchio, che ti facessero ricrescere la mano…) Adesso ti penti, troppo tardi.

Trovò un’altra strada. Volle indovinare quale strada avesse preso Thorn, e sbagliò.

(Ha imparato bene la lezione. È capace di leggermi nei pensieri? Fa le scelte a caso? Conoscenza o scelta di un pazzo?)

Quanti anni ha, per la sua razza? Non è ancora uomo. Non ancora cresciuto. Ma quasi.)

(Thorn-che-ho-portato. Haras. Thorn che ferisce le mani che lo portano e il piede che lo calpesta; che confonde i sentieri e produce germogli amari e frutti avvelenati.)

Le ombre si moltiplicavano nel sole calante. Thorn boccheggiò e mentre scendeva lungo la valle trattenne le mani dalla loro istintiva ricerca di un sostegno, ora un tronco, ora un masso. Sospirò per una pietra e andò nella sua direzione perché sentiva che le gambe gli vacillavano. Sospirò per la successiva e si diresse verso di essa. Queste piccole mete lo spingevano avanti.

(Spingiti oltre i confini, su sentieri sconosciuti a entrambi. Duun conosce le montagne troppo bene… troppo bene.)

(Vai dove Duun non ti farebbe andare… Fallo arrabbiare… la rabbia del mio nemico è mia amica, mia amica…)

Sentì odore di fumo. Era lontano, nella valle, ma si diresse verso di esso. (Che Duun si preoccupi, adesso. Che venga lui a cercarmi. Qui fra i contadini. Fra gli altri. L’altra gente.)

(Corri e corri. Fermati a prendere fiato. Giochiamoci la partita in luoghi estranei, fra gente estranea che non sa nulla del gioco.)

… Dev’esserci cibo, cibo da prendere con trucchi hatani. (“Sono pastori” aveva detto Duun. “Bovari. No, pesciolino, non sono hatani. Ci rispettano troppo per venire qui. Ecco tutto. Una volta vivevano qui.”)

(Dove ci sono case c’è cibo, rifugio; dovrà cercare, non potrà sapere se mentono, questi contadini, o mi nascondono… forse lo farebbero.)

C’era un sentiero, e un odore che perfino il suo naso riusciva a individuare: sterco vecchio e ammuffito, il passaggio frequente di animali.

Thorn lo seguì, di buon passo. Quell’odore nascondeva bene il suo. Per confondere il naso di Duun. Tracce per nascondere le sue tracce. Provasse pure a indovinare, Duun. Thorn corse più veloce, lungo il sentiero. C’era sapore di sangue nella sua bocca.

(“… Non danno mai fastidio” diceva Duun dei contadini. “Non vogliono essere infastiditi, e noi non scendiamo da loro.”)

(“Non potremmo vederli, Duun-hatani? Non potremmo andare a trovarli?”) Thorn si chiese se erano come i medici ed Ellud; se c’erano…

(… O dei, se ci fossero alcuni come me.)

In tutto il grande mondo di cui Duun parlava, doveva esserci qualcuno come lui.

Era come Duun aveva pensato. Pazzo! Si maledisse. Pazzo! Manovrare il nemico e non accorgersene… questa era la più grande follia del mondo. Cieco agli odori e con lo stomaco sconvolto dal livhl, Thorn era alla ricerca di un luogo dove nascondersi, un posto pieno di odori, di fumo, di tracce e confusione. Cercava rifugio nell’odore di shonun.

Thorn si dirigeva verso l’unico posto proibito. Aveva cambiato le regole e sconvolto il gioco, aggiungendoci degli estranei e innalzandolo a un livello superiore.

(Duun, cosa c’è di sbagliato in me?)

(Liscio, disse il bambino fregandosi lo stomaco).

Facce nello specchio.

(Duun, i miei orecchi cresceranno?)

Duun appiattì le orecchie e corse, rischiando tutto, anche la vergogna che un pesciolino potesse prenderlo in trappola.

Ma Thorn l’aveva già fatto.

C’era una casa… non grande come la loro, sulla montagna: più che altro una baracca, parte in metallo e parte in legno. C’erano inoltre dei recinti, costruiti tutti a.llo stesso modo, con pezzi eterogenei. Recinti… Thorn indovinò la parola. I recinti, diceva Duun, impedivano al bestiame dei contadini di sconfinare nei boschi; e il bestiame Thorn l’aveva visto dalla cima della montagna: puntini bianchi e marroni che si muovevano sulla pianura, nella foschia estiva. (“La carne della città viene da qui” aveva detto Duun. E Thorn: “Non possiamo andare a caccia di quelle bestie?” “Non c’è niente da cacciare” aveva detto Duun. “Sono domestici. Sono stupidi. Rimangono lì a farsi uccidere. Guardandoti. Si fidano degli shonunin.”)

(“E loro li uccidono, Duun?”)

Era il crepuscolo. Gli animali si stringevano nei loro recinti e delle luci ardevano vicino alla casa, su un alto palo. Thorn vide i cavi elettrici che andavano da una parte alla casa, dall’altro verso la pianura. (Allora la fonte di energia è lontana. Ci sono altre case nei paraggi?) Passò accanto a dei cespugli e si avvicinò fino ad avere una vista migliore della casa, del cortile polveroso e dei recinti. Lungo i bordi crescevano gli hiyi, senza fiori ma pieni di foglie in quella stagione. Sentì delle voci e una porta che si chiudeva. — Ti prendo — urlò qualcuno, con una risata nella voce. — Ti prendo, Mon!

Altre grida. Thorn si avvicinò, lungo la strada. Sotto le luci, davanti alla veranda, due piccole figure giocavano a rincorrersi.

— Entrate! — risuonò una voce attraverso la porta aperta. — È pronto da mangiare.

Erano bambini. S’inseguivano e gridavano…

Appartenevano alla razza di Duun. Il cuore di Thorn si fermò. Rimase lì sulla strada, immobile, guardando oltre il recinto; anche i bambini, che avevano immediatamente smesso di giocare, si misero a guardare. Loro da una parte e lui dell’altra.