Выбрать главу

— Devi camminare — disse Duun. — Mi senti? Mi senti, Thorn? Devi camminare adesso. — Duun gli mise un braccio sotto le ascelle e lo tirò su. — Cammina. Hai sentito?

Thorn aveva sentito. Ci provò. Sentì il respiro ansante di Duun e si appoggiò a lui cercando sostegno sulla pietra e sulla terra. — Arrampicati — aggiunse Duun. — Maledizione, arrampicati!

Alle loro spalle, nel bosco, si alzarono degli ululati. Insieme alle imprecazioni di Duun, quei versi ridiedero vigore a Thorn. Duun lo portò per un po’, poi lo gettò fra le foglie, con uno scossone che gli tolse il respiro e lo schiaffeggiò. — Respira, maledizione, respira.

Ci provò. Boccheggiò. E Duun si stese su di lui, ansimando. Le loro teste si urtavano e il dolore batteva all’unisono.

Un’altra salita. Duun l’aveva rimesso in piedi. Thorn non ricordava come. — La strada non è lontana — disse Duun. — Non si spingeranno oltre. Vieni.

Poi si trovò seduto, su una pietra piatta, ai margini della strada, dove Duun l’aveva fatto sedere. Duun lo teneva con una mano attorno alle spalle e l’altra contro il petto. Nel mondo erano tornati i colori. Era l’alba.

— Respira. Devi camminare ancora.

— Sì — disse. Non fece domande. Duun era Duun, fonte e forza. Come il sole e il vento. Rimase seduto ancora un momento, poi si alzò. Il cuore gli martellava e il corpo gli oscillava nell’altezza del mondo, con le cime degli alberi sottostanti che sussurravano come acqua nera.

Camminarono. Lui e Duun. La mano di Duun nella sua cintura; Duun gli tirò il braccio sano sul petto e lo tenne per il polso. Camminare sulla strada era più facile. I piedi di Thorn erano pieni di lacerazioni che le pietre tormentavano, a ogni passo. Aveva la bocca asciutta come polvere fine. Il vento era freddo sulla sua pelle nuda, e Duun era caldo.

Si fermarono di nuovo. — Siediti — disse Duun. — Siediti. — E lo tirò contro di sé, tenendolo per le braccia.

— Perché hanno sparato? — chiese Thorn. La risposta gli sfuggiva. — Perché, Duun?

— Li hai spaventati — disse Duun. — Credevano che gli volessi fare del male.

Spaventati. Spaventati. Thorn ricordò i bambini. Rabbrividì. Le braccia di Duun lo strinsero forte.

— Pazzo — disse Duun. Se lo meritava. Si vergognava.

Dormì. Aprì gli occhi e vide il soffitto della grande sala della casa, senza alcun ricordo di come c’era arrivato dalla strada. Sentì Duun che andava e veniva. (Attento quando dormi, pesciolino. Osava dormire?)

— Bevi — gli ordinò Duun, sollevandogli la testa e appoggiandogli una tazza alle labbra. Voltò la testa, non volendo essere due volte vittima. (Pazzo. Non impari mai?) — Bevi, accidenti a te, Thorn.

Lui sbatté le palpebre; era tutto indistinto. — Livhl…

— Maledizione, no. Ti dico di bere questa volta.

Bevve. Era tè dolce. Scese nel suo stomaco e rimase lì, inerte. Fu contento di avere la testa appoggiata sul cuscino prima che la bevanda gli potesse tornare su. — Ho perso — disse. — Mi hai battuto, Duun.

— Stai calmo. — La mano mutilata di Duun gli accarezzò i capelli. (Duun che lo stringeva, Duun che giocava, Duun che lo toccava in quella maniera, molto, molto tempo fa.) — I medici stanno arrivando. Li ho chiamati. Hai sentito?

— Non voglio i medici. — (Ellud in piedi nella stanza. Un vecchio amico, aveva detto Duun. Non essere maleducato.) — Duun, digli di non venire.

— Ssss. Stai calmo. — Di nuovo la mano gli accarezzò i capelli e la faccia. — Riposa. Dormi. Va tutto bene. Capito?

(Duun alla porta della camera da letto, di notte. Vai a dormire, pesciolino. Non c’erano fili neri sulla porta. Niente giochi. Vai a dormire, adesso, pesciolino.)

5

— La pagheranno — disse Ellud, che era venuto con i medici. La casa puzzava di bende, disinfettanti, gelatina e sangue. E del disagio di Thorn. Duun incrociò le braccia e fissò le pietre del camino. — Devono pagarla — disse Ellud. — Vero?

C’era una critica implicita. Duun fissò il vecchio amico ma Ellud eluse lo sguardo come aveva fatto sedici anni prima, impiegandoci però più tempo. Questa volta Ellud era arrabbiato: c’era la giustizia offesa. — Qualsiasi cosa — gli ricordò raucamente Duun. — Ma niente accuse.

— Non mi hai lasciato alternative. Ti hanno sparato.

— Davvero? Non ricordo.

— Hanno chiamato il magistrato. Hanno confessato. Sanno quello che hanno fatto.

— Bene. — Duun andò verso la porta chiusa. L’odore dei medicinali offendeva le sue narici. Aveva le orecchie appiattite. Zoppicava e gli facevano male tutti i muscoli. Ellud indossava abiti da città, immacolati, mentre Duun aveva indosso solo un piccolo kilt. Avrebbe potuto portare il mantello hatani. L’aveva invece lasciato appeso: che si vedessero le cicatrici! — Gli parlerò io, Ellud. Nessuna accusa.

— Non possono fare una cosa del genere e cavarsela…

— Perché sono sacrosanto? — Duun si girò verso di lui; le orecchie erano ancora appiattite. — Mi hai promesso qualsiasi cosa, Ellud. Adesso te la chiedo. Nessuna accusa. Restituiscigli Sheon.

— Hanno cercato di ucciderti!

— Quasi ci sono riusciti. Bravi. Niente male, per dei contadini. Devo ora sobbarcarmi anche questo?

Ellud rimase un momento in silenzio. Piegò la bocca in basso.

— Hai quello che dovrebbe farti felice — disse Duun. — Torno in città. Spero che mi troverai un posto.

Ci fu un silenzio ancora più lungo. — Era ora, Duun. Era ora. Manderò un elicottero. Vi porteremo via.

— Scenderà a piedi. — aggiunse Duun. — Dopodomani. Senz’altro starà bene.

— Passando vicino a loro? Dei, non ci sono stati abbastanza guai?

— Lui è hatani, Ellud. — Duun incontrò il buio negli occhi di Ellud, e lo sfidò. — Sia ben chiaro. Scenderà con le sue gambe.

Thorn si alzò dopo che i medici se ne furono andati. Duun immaginava che l’avrebbe fatto. — Siediti — disse Duun, sedendosi a sua volta su uno dei rialzi che correvano lungo le pareti. Il pavimento di sabbia era pieno d’impronte e c’erano diverse macchie scure: Thorn aveva perso molto sangue. Thorn era appoggiato alla soglia, con il braccio appeso al collo; la sua pelle aveva un brutto colore biancastro, escluso il braccio, dove la gelatina macchiata di sangue copriva un’incisione. Sarebbe rimasta la cicatrice. Una lunga cicatrice. Per poco il colpo non aveva leso uno dei nervi principali; così avevano detto i medici. L’osso era stato scheggiato ina non rotto. — Hai un sacco di plasma al posto del sangue, ragazzo. La maggior parte del tuo l’hai lasciato nella valle. Vieni a sederti.

Thorn andò verso Duun che era intento a pulirsi le armi. Thorn si lasciò cadere sul rialzo con le ginocchia, poi si sedette adagio, lasciando penzolare una gamba. Sulla sua fronte priva di peli c’era del sudore che gli aveva fatto appiccicare i capelli.

— Ce ne andiamo in città — disse Duun. — D’ora in poi vivremo lì.

— Via da qui…

Duun lo guardò. Sheon era persa, per la seconda volta. E Thorn lo fissò a sua volta con occhi alieni e opachi, in cui si inseguivano i pensieri e la paura. (Perché hanno sparato, Duun? È una vendetta? È contro di me? Ho sbagliato, Duun? Cosa ho fatto laggiù?)

— Non voglio andare, Duun.

— Verranno più tardi a prendere le cose che vorremo. Queste… — Duun lucidò la lama. — Queste le prendiamo noi.

— Non voglio andare.

— Lo so. — Duun lo guardò. Gli occhi di Thorn brillavano di lacrime. — I contadini si prenderanno la terra. Forse li ripagherà per quello che ho dovuto fare. Mi capisci Thorn? Haras? Mi senti?

— Sì, Duun-hatani.

— Fuggiamo via di qui. Voleremo in un posto dove il vento puzza e non capirai niente di quello che vedrai. Mi porrai le tue domande in privato. Ci sarà gente intorno a noi. Sempre. Non più cacce. Non più foreste. Solo acciaio. Solo migliaia e migliaia di persone. A un sacco di shonunin piace questa vita. Imparerai.