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— Mi dispiace, Duun.

— Non saresti dispiaciuto. Saresti cieco. Certo che li tiro fuori. Fallo ancora e ti lascerò la cicatrice. Capito?

Thorn si chinò in una specie di inchino. Sentì male. Le ossa gli dolevano come se fossero state tutte spostate.

— Sì, Duun.

— Riguardo agli artigli… potrebbero ferirti se ti toccassero. Se tu facessi lo sciocco. Io sono molto bravo, Thorn. Questo non ti dice qualcosa?

Thorn non rispose subito. Il dolore gli era arrivato alla gola, e rimaneva lì, fastidioso. — Che potrei anche farlo.

— Mi hai toccato?

— No, Duun-hatani.

— Ho sentito non posso questa volta?

— No, Duun-hatani.

— Hai in testa quegli estranei. Le loro mosse ti hanno infettato. Lasci che ti tocchino?

— Si toccano l’un l’altro. Non me.

— E invece, sì che ti toccano… qui. — Duun si appoggiò un dito sulla fronte. — Hai perso la concentrazione. La giovinezza, Thorn: rinuncia anche a quella.

Thorn tirò un altro doloroso sospiro. (Sono tuoi. Non è così? Un hatani decide le mosse che gli altri fanno… Duun-hatani.) — Cosa possono insegnarmi che tu non puoi?

— Ciò che è ordinario. Ciò che è il mondo.

(Il mondo è grande, pesciolino.)

— Duun… loro si comportano come se io non fossi niente di speciale.

Duun alzò le spalle.

— Mentono, vero?

— Cosa ti detta il tuo giudizio?

— Che mentono. Fingono. Tu li hai mandati. Tu controlli tutto.

— Tkkssss. Hai una mente sospettosa, Haras-hatani.

— Tu l’hai sempre avuta. Sto forse per batterti in questo? Nessuno è come me. Non c’è nessun altro. Io sono diverso. E loro si danno tanto da fare per non notarlo, che lo gridano. Perché, Duun?

— Fai castelli in aria.

— Sulla roccia. Su ciò che vedo e non vedo. — I muscoli di Thorn cominciarono a tremare; strinse allora le braccia attorno alle ginocchia, ancora più forte, per non mostrare il tremito. Ma Duun avrebbe visto ugualmente: a lui non sfuggiva nulla. — Cosa non va in me? Come sono? Perché sono così?

— Senza dubbio sono stati gli dei.

L’irriverenza lo inorridì, anche perché veniva dalla bocca di Duun. Replicò con un’altra bestialità: — Gli dei hanno il senso dell’umorismo?

Duun tirò indietro le orecchie. — Ne parleremo più tardi.

— Non mi darai mai una risposta. Vero?

Ci fu un lungo silenzio. Sì e no oscillarono sul filo di una lama. Per la prima volta Thorn sentì che Duun era vicino a rispondergli: sarebbe bastato un filo d’aria per fare pendere la bilancia da una parte. Trattenne quel fiato; finché non sentì male ai fianchi.

— No — disse Duun. — Non ancora.

— È intelligente — ammise Ellud. Duun si afferrò le caviglie incrociate, e gli restituì un’occhiata impassibile. — Ho mai detto di no? — chiese. — Cos’altro dicono i tuoi agenti?

Ellud appiattì le orecchie. — Ma se li ho messi a tua disposizione!

— Avanti, Ellud. Da quante parti guardi contemporaneamente?

Ellud si mosse impacciato dietro la sua scrivania. — Sto schivando pietre, Duun; lo sai.

— Questo lo so. Voglio sapere con chi parli.

— Con il concilio. Il concilio vuole parlargli.

— No.

— Tu dici di no. Loro ricevono un no da te, e vengono alla mia porta. Mi stanno tagliando i rifornimenti: ritardi nelle consegne, pratiche smarrite…

— Non possono essere coincidenze?

— Non a questo ritmo — disse Ellud. Duun ispirò profondamente e raddrizzò la schiena. Ellud alzò una mano. — Ci penserò io, Duun. Sarei venuto da te se non avessi potuto.

— Cosa dice Tshon di me?

Ellud spalancò la bocca. — Duun…

— Non sono offeso. Cosa dice di me?

— Ho detto al concilio che sei del tutto equilibrato. Il suo rapporto è stato un grande vantaggio: per entrambi noi.

Duun sorrise. Con tutto l’orrore che quell’espressione aveva per chi lo guardava; e quando stava con Ellud, era sempre consapevole di questo. — Ho mandato una lettera al concilio. Se vogliono una sanzione hatani da intendersi individualmente, che si scordino il contratto. Il governo l’ha stipulato. E loro se lo devono tenere fino al giorno della mia morte.

— O della sua.

— Mi stai dicendo qualcosa, Ellud?

— Non ricordo di averti detto niente. Giurerei che non ti ho detto niente.

Alcune cose disturbavano la concentrazione di Duun: questa era una. Ellud sedeva immobile, con le mani abbandonate in grembo e gli occhi nei suoi occhi.

— Se ci fosse un incidente — disse Duun.

— Non so come potrebbe capitare. È hatani, hai detto. Non sarebbe facile. Duun… devi capire, non è solo il concilio; ci sono pressioni dell’opinione pubblica. La faccenda di Sheon… è risaputa.

Duun rimase in silenzio. Ellud alzò una mano in un gesto vago e proseguì il discorso. — Hanno chiamato i magistrati, che a loro volta hanno chiamato il capo della provincia nel timore di avere dei guai con la Corporazione e di ritrovarsi invischiati in una questione di hatani… e così la cosa si è gonfiata: certi uffici l’hanno saputa, e alcuni ricchi possidenti, a qualche festa… Sai come succede? Insomma la faccenda ha finito con l’attirare l’interesse di certi uomini politici. E il successore di Rothen…

— Shbit.

— Shbit. Esatto… vuole giocare al politico: con la scusa che la faccenda è degenerata. — Ellud fece un gesto d’impotenza. — Duun, per quanto sia difficile pensare che qualcuno sia tanto ottuso da…

— Non lo trovo affatto difficile. Comprendo molto bene la venalità. È la stupidità. Il domani non arriva, e una pietra scagliata in alto non torna giù. Per essere uno che ha rinunciato, sono un uomo molto pratico, Ellud. Ricordalo.

— Sì che me lo ricordo. Duun, per l’amore degli dei… stanno cercando di mettersi fra te e le Corporazioni. Lo sai come faranno. Stanno cercando di rallentare il lavoro del mio ufficio con intralci burocratici. Vogliono le prove di una prevaricazione: per questo faccio tutto in duplice copia. Fortunatamente per me li ho colti con le mani nel sacco, e se dovesse accadere qualcosa potrei portarli davanti alla Corporazione, senza problemi.

— Saggio.

— La gente ha paura, Duun.

— Continua a sorvegliare l’ingresso posteriore. A quello davanti ci penso io.

— Per amore degli dei…

Duun gli rivolse un’occhiata fredda. — Chiamare Shbit risolverebbe la faccenda.

— Non riusciresti a raggiungerlo.

— Davvero? — Duun strinse le labbra e respirò quell’aria che puzzava di politica. — Staremo a vedere — disse, sentendo il suo cuore battere più in fretta.

— Dei. No. No. Ho solo bisogno di tempo. Ascolta, Duun: lascia che me ne occupi io, per un po’. Cosa mi succederebbe se la faccenda scoppiasse? Tu hai la Corporazione. Io non ho alcuna protezione. Credi che non possa cavarmela? Me la sono cavata per sedici anni, mentre tu te ne stavi ad ammuffire fra le colline. Per amore degli dei, lascia a me la politica, e dammi quello che mi serve. Hai già abbastanza cose per le mani. Credimi su questo.

Duun aggrottò la fronte. — Ossia?

— Lasciami raccogliere dati. Per un po’.

— La Corporazione sarebbe un’altra risposta. Potrebbe farcela.

— Dei. Non parlerai sul serio.

— Siamo di idee molto larghe.

Le orecchie di Ellud si afflosciarono, in segno di sbigottimento.

— Ci sto lavorando — disse Duun. — Questo te lo posso dire. Ma non è ancora pronto.

— Sai cosa provocherebbe una cosa del genere?

— E sono pronto a prevenirlo.