Выбрать главу

— Non mi disprezzerà più!

— E questo è così importante? Cosa possiedi? Cosa possiede un hatani?

— Niente. Niente, Duun.

— Eppure abitiamo in un bel posto. Abbiamo abbastanza da mangiare. Non dobbiamo cacciare…

— Preferirei cacciare.

— Anch’io. Ma perché siamo qui? Siamo qui a causa di quello che tu sei. Non possiedi nulla. Non hai alcun interesse personale. Se questo Cloen ti chiedesse di toglierlo da una difficoltà, tu lo faresti. Non avrebbe alcun diritto di dirti come, dove e quando… ma Cloen è sotto la tua responsabilità. Il mondo è sotto la tua responsabilità. Lo sai. Puoi camminare per le strade, e andare di casa in casa: nessuno ti rifiuterà da bere e da mangiare, e un posto per dormire. E se uno viene da te, per qualche ragione, e dice: aiutami… sai di cosa devi avvertirlo? Lo sai, Haras-hatani? Sai che cosa gli dice un hatani?

— No, Duun-hatani.

— Gli devi dire: “Io sono hatani; ciò che hai perso, non puoi riaverlo; ciò che hai chiesto non puoi riceverlo; ciò che mi accingo a fare è la mia soluzione”. C’era una volta un uomo malvagio che mandò a chiamare un hatani. “Uccidi il mio vicino” disse. “Non è affare di hatani” fu la risposta. L’uomo malvagio trovò un altro hatani. “La mia vita è rovinata. Odio il mio vicino e voglio vederlo morto.” “Questo è un affare di hatani. Lo rimetti nelle mie mani?” “Sì” disse l’uomo malvagio. E l’hatani lo colpì a morte. Capisci la soluzione?

Thorn alzò gli occhi inorridito.

— Capisci? — chiese Duun. — In questo modo, il problema venne risolto, e il mondo fu alleggerito di un peso. Ecco ciò che sei: una soluzione. Un aiuto per il mondo. Vuoi la soluzione per il tuo problema?

Il cuore di Thorn batteva molto in fretta. — Cosa devo fare, Duun-hatani?

— Di’ a Cloen di colpirti una volta. Digli di usare giudizio nel farlo.

Thorn guardò Duun a lungo. Lo stomaco gli faceva male. — Sì — disse.

— Ricorda la lezione. Fai come ti è stato detto. Un giorno sarai saggio abbastanza da risolvere i problemi. Fino ad allora, non crearne. Capito? — Duun allungò il braccio e strinse la spalla di Thorn. — Hai capito?

— Ho capito.

Duun lo lasciò andare.

8

— Certo non ha reso le cose più facili — disse Ellud, con il rapporto che gli riluceva in grembo. Lo gettò da parte, e la superficie ottica si adagiò sulla pila di vera carta, continuando a brillare con le sue lettere spettrali. — Ho dato una lavata di capo al mio uomo. Non so perché l’ho scelto. Ma dannazione, Duun… tu hai dato il benestare.

— Per i suoi difetti — disse Duun. — Come per le sue virtù. Non mi sono mai aspettato la perfezione. Non la voglio. Per questo mi sono attenuto alle tue scelte.

— Maledetti trucchi hatani — disse Ellud dopo un momento. — Capisco cosa stai facendo ma non mi piace che tu lo faccia con i miei uomini. Cloen avrebbe potuto essere ucciso.

— Non credo. In questo, ho avuto ragione.

— C’è un rapporto su quello che è successo. C’erano troppi testimoni. Non posso nasconderlo. E con tutti i ficcanasi del concilio in giro, vorrei proprio poterlo fare.

— Quello che è successo è stata colpa mia. Forza senza controllo. Contavo su altri due anni a Sheon. Haras si è controllato. Ti dirò una cosa che dovrebbe essere evidente. Le soluzioni hatani sono troppo vaste per le menti giovani. La sua moralità è adeguata per controllare la sua forza, ma non per usarla.

— Farne un hatani… Duun, è questo che ha messo in allarme il concilio…

— Lo so.

— Pensavo che fosse un modo di dire. Nel senso che era tutto quello che potevi insegnargli. Che sapevi come insegnargli.

— Non esagerare.

— Be’, che era più facile. Ma tu intendi andare fino in fondo. Quando gli è giunta voce…

— Cerca di essere discreto.

— Se la Corporazione riuscisse a inventare qualcosa… di intelligente: uno status a metà strada…

— Non c’è metà strada. Dargli quello che gli ho dato… avendo soltanto l’autocontrollo per governarlo? No.

Ellud allungò una mano e spense il registratore. C’era dello sgomento sulla sua faccia. Terrore. — Per amore degli dei, Duun. Hai perso la ragione? Cosa cerchi di fare? Cosa cerchi di fare, Duun?

— Shbit avrà ricevuto la mia lettera, ormai. E al concilio le acque saranno meno agitate.

Un breve silenzio, teso. — Cosa gli hai detto?

— Gli ho inviato i miei saluti. Mi sono felicitato per la designazione del concilio. Gli ho augurato buona salute e mi sono firmato. Una lettera semplice alla quale non ha però risposto. Tornando a noi, aspetto che le tue difficoltà coi rifornimenti si appianino; lentamente, ma che si appianino.

— Non sei l’uomo che conoscevo. — Ellud giocherellò con il bordo del kilt. — Non so cosa pensare di te.

— Vecchio amico. Hai avuto il coraggio di restare in carica fino a ora. Ho fiducia che continuerai.

— Devo. Senza questa carica sono un bersaglio scoperto: mi salterebbero addosso, Shbit e i suoi. Maledizione, non ho scelta. Mi mangerebbero vivo.

— Ci sono io. Abbi fiducia in me.

Ellud lo fissò.

— Cloen ti ha colpito? — chiese Duun quando Thorn tornò a casa. Duun era appoggiato alla porta del suo studio, con le orecchie ritte.

— No — disse Thorn. Non c’era soddisfazione nel suo tono. (Quante cose controlli, Duun? Lo sai già? Lo sai sempre?) Duun non gli offrì alcun indizio. — “Cloen”, gli ho detto. “Ho sbagliato a fare quello che ho fatto. Ti permetto di colpirmi una volta.” Cloen è rimasto lì con le orecchie abbassate, e ha sollevato la mano facendo segno di no. Poi se ne è andato a fare le sue cose.

Duun si voltò ed entrò nel suo studio.

— Duun? — Thorn andò fino alla porta. Duun si sedette e accese il computer. — Duun, ho fatto quello che volevi?

— Hai fatto quello che volevo?

Thorn rimase un momento in silenzio. — Ho cercato, Duun.

— Ho sentito non posso?

— No, Duun.

I suoni erano diventati meno aspri. Thorn era seduto davanti al registratore, con gli occhi chiusi; le sue labbra si muovevano ripetendo il nastro: quando lo risentì, era uguale.

— Sembra identico — disse Cloen. — Non riesco a sentire la differenza.

Cloen, da quel giorno, era cauto. La sua faccia non tradiva altro che rispetto. E paura; c’era anche quella.

— Allora ho finito.

— Ce n’è un altro. — Cloen si leccò le labbra, con aria diffidente. — È arrivato da poco. Non l’ho chiesto io — aggiunse in fretta.

Doveva credergli. Cloen non aveva l’aria di mentire. Prese il nastro dalla borsa e glielo porse.

— Preferisco la chimica — mormorò Thorn. Si sentiva più a suo agio con loro dal giorno in cui Cloen non l’aveva colpito. Poteva dire cose del genere, parlare delle necessità di ogni giorno, come facevano loro. Assumeva quell’atteggiamento per tutta la durata delle lezioni, da quando entrava a quando usciva dalla porta. Si era accorto che così si sentivano più a loro agio con lui. Qualche volta riusciva a ridere con loro, perché si era convinto che non era oggetto di riso. O se lo era stato, non aveva molto importanza.

(Ma odio queste lezioni di pronuncia. Odio questa assurdità. Penso che gli piaccia farmele fare: come una rivincita nei confronti dell’hatani che non possono sconfiggere in altro modo. Anch’io gli gioco qualche scherzo. Posso fare sì che il computer dia a Sphitti una lettura che non si aspetterebbe mai. Penso che lo troverebbe divertente. Vorrei poter studiare più fisica, e meno di questa roba.)