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(Mi ha tenuto stretto tutta la notte, quella notte. Deve avergli fatto male. Riusciva a stento a muoversi quando si è alzato. Non ha emesso un solo lamento.)

(Guarirà?) In una parte di lui, la vista di Duun ridotto a entrare in palestra, dargli istruzioni e uscirne, gli dava soddisfazione.

(Ma è troppo tranquillo. Non mi parla. Cosa aspetta?)

(O dei, vorrei che mi gridasse, si accigliasse, o almeno mi guardasse negli occhi. Ha le spalle curve. Si muove come Sagot. Non sarei mai riuscito a colpirlo, quella volta, se in quel passaggio non si fosse sbilanciato sulla parte che gli faceva male. Se fosse stato più giovane e non fosse stato ferito, dei, sarebbe stato impossibile batterlo. E io avrei avuto paura a misurarmi con lui.)

(O Duun, guardami!)

(Perché deve importarmi se mi ha portato via Betan, Elanhen, Sphitti, perfino Cloen, se mi ha portato via tutto quello che mi sta a cuore? Ha fatto venire Sagot, e un giorno manderà via anche lei. Sempre così, con tutti.)

(Mi spiava. Probabilmente è collegato con il computer della scuola; so che può farlo: basta inserire i codici, siamo nello stesso edificio. Sapeva tutto, ha letto tutto quello che Betan e io ci siamo scambiati, probabilmente glielo hanno riferito le guardie.)

(O Duun, non mi piace questo silenzio. Non mi piace che mi guardi così, mi fa stare male.)

Un giorno, di ritorno da Sagot, trovò Duun nella palestra. Lo stava aspettando. Si tolse tutto tranne il piccolo kilt e attese istruzioni. Duun venne invece verso di lui muovendo il braccio sinistro, avanti e indietro.

— Duun, stai attento.

— Thorn, non ho bisogno che tu me lo dica. Ricordati solo di quello che ti ho detto: niente colpi duri. Solo un po’ di esercizio.

Duun lo stese a terra. Gli ci volle un bel po’, e fu la sua abilità che alla fine sbilanciò Thorn e portò il piede di Duun contro la sua schiena.

— Sono morto — disse Thorn, e si sedette sulla sabbia. Duun lo imitò, più lentamente, respirando affannosamente e leccandosi i denti. Thorn ansimò e si appoggiò alle ginocchia, guardandolo. Improvvisamente, si mise a sorridere: essere battuto da Duun era nella natura delle cose e lo faceva sentire meno solo.

Duun sorrise a sua volta. Nessuna parola. E le cose andarono subito meglio. Quella sera Duun suonò vecchi pezzi familiari, uno dopo l’altro, e la musica li riportò indietro, ai bei tempi; non cantarono le canzoni tristi, ma quelle giocose, piene del sottile e crudele umorismo hatani.

Thorn si addormentò, e si svegliò all’incirca a metà del “buio”, con le stelle che davano le vertigini attorno al suo letto, e l’aria che sapeva di falsi venti freddi, come se venissero da nevi invernali; tutto era silenzioso, e Thorn aveva una vaga sensazione di terrore, a cui non riusciva a dare un nome.

(Duun è stato qui. È stato qui poco fa.) Forse era un odore impercettibile disperso dal condizionatore. La porta era chiusa.

Gli occhi di Thorn scrutarono il buio della stanza, fermandosi sui contorni: conosceva l’abilità di Duun. (È ancora qui? Aspetta che mi muova?) Il cuore di Thorn batteva veloce e gli pulsavano le vene del collo. (È assurdo. Come può essere entrato? La porta fa rumore; non potevo dormire così profondamente.)

(Non potevo?)

Il suo cuore batteva all’impazzata. (Non lo farebbe. Non può. Non dopo Betan. Sa che sono furente. Lo odio. Odio che mi faccia questo.)

Si alzò dal letto. (Mai fidarsi di lui. Mai darlo per scontato…) Ma non c’era niente nella stanza, solo le false stelle, nel loro lento movimento vertiginoso.

Thorn si sedette sul bordo del letto. Il cuore gli martellava ancora nel torace.

(Com’è il mondo? Pieno di gente come Sagot? E come Duun? Cos’ha in mente? Per cosa sono stato fatto? Importa davvero tanto al governo se vivo o muoio? Tanto da chiamare un hatani per risolvere il mio problema? Potrebbe ucciderli. Uccidermi. Mi dà una possibilità, dice… una possibilità contro cosa?)

(Un hatani stabilisce le mosse dell’avversario. Un hatani giudica. Un hatani vaga nel mondo mettendo a posto le cose. Un hatani può lasciarti un sasso nel letto, o nel bicchiere; può passare attraverso una porta chiusa, e inseguirti nel buio. È un cacciatore… non la preda. Di chiunque voglia. Cos’altro è?)

(Ogni cosa che Duun fa ha uno scopo. E Sagot è sua amica. Forse… forse anche Betan lo era. No. Sì. O dei, forse è tutto programmato? Possibile che Betan avesse scelto uno come me? O era curiosa? Curiosa…)

(Shitti che rideva e scherzava con me, e anche Elanhen, fin dal primo momento. Non sarebbe stato naturale sentire ribrezzo? Ma loro erano preparati. Sapevano com’ero. Forse Cloen è stato l’unico sincero… l’unico che ha detto la verità.)

(Sciocco, lo sapevi: lo sapevi fin dal momento in cui sei entrato in quella stanza, ma volevi credere qualcos’altro. Hai visto come si muoveva Betan… hai pensato hatani, e hai messo da parte quel pensiero.)

(All’ultimo momento si è tirata indietro e io ho reagito… Ho sentito l’odore della paura, lei ha perso il controllo… Mi sono tirato indietro, mi sono spaventato, è stata una reazione incontrollabile, lei mi era contro, e io ho sentito l’odore della paura…)

(Thorn, dove hai la mente? L’hai lasciata a Sheon, su quella collina, quando sei tornato per lui? Ti sei dimenticato come lavora Duun?)

(Io lo amo. Lui mi ama?)

(Ma Sagot è vera? Tutte le sue chiacchiere, dall’inizio: “Mi piaci, ragazzo”. Thorn, sciocco.)

(Duun ha detto la verità, su quello che sono, e da dove vengo?)

Thorn rimase seduto sul letto, con le mani fra le ginocchia. Alla fine si alzò, accese le luci e controllò il letto, come se potesse esserci un sasso.

Non c’era.

(Lo odio. Lo odio per quello che mi ha fatto.)

(È stata la cosa più bella del mondo quando lui mi ha sorriso, oggi.)

10

— Ancora.

Questa volta usavano i coltelli wer, con le lame ricoperte da plastica trasparente. Duun si chinò, fece un affondo ed evitò la risposta di Thorn; Thorn evitò la sua, rotolò a terra e balzò di nuovo in piedi, a una certa distanza. — È una mossa che hai inventato tu? — chiese Duun freddamente, e Thorn abbassò la testa, guardandolo di sottecchi, come se avesse combinato qualcosa di sciocco. — L’ho appena inventata — disse Thorn. — Quando sono finito sui talloni. Mi dispiace, Duun.

Ma era stata fatta bene. Duun appiattì le orecchie. — Ancora.

Altre tre volte. I wer così rivestiti erano tutt’altra cosa rispetto ai wer con la lama nuda: la plastica faceva troppa resistenza. Duun indietreggiò e tolse la custodia dalla lama. Gli occhi di Thorn tradirono il timore, ma tolse anche lui la protezione e la gettò via.

Acciaio nudo. Duun strinse il coltello nella mano mutilata e mise la sinistra vicino, pronto a cambiare mano all’improvviso. Thorn fece lo stesso, muovendosi e guardando soltanto gli occhi di Duun e il suo coltello.

Duun attaccò direttamente, senza la finta che gli era abituale; si arrestò all’ultimo istante, quando vide Thorn coprirsi e sfuggire all’assalto, finta, doppia finta, cambio di mano, ritirata in cerchio, passo di lato, attacco.

La lama sibila scivolando sull’altra lama; ma il movimento continua, in un attacco continuo.

Thorn sfuggì di nuovo rotolando a terra. Si rialzò con la sabbia nei capelli e ormai alle strette, perché Duun continuava ad avanzare e il muro era quasi alle spalle di Thorn.

Thorn se ne accorse e si spostò, troppo in fretta. Duun cambiò mano, e le lame si incontrarono, mentre Thorn indietreggiava di nuovo senza ostacoli alle spalle.