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— Eccomi qui. — Duun si sedette sul rialzo, prese la tazza e gli versò il tè. — C’è dentro dell’aghos, non sputarlo; hai bisogno di calorie.

Thorn prese la tazza e sorseggiò il tè. Aveva un sapore dolciastro, ma era sempre meglio del sapore della sua bocca. Guardò Duun: teneva il collo rigido, perché aveva dormito nella posizione sbagliata.

— Bene — disse Duun. — Ti ho spostato qui.

— Mi hai portato? — Ricordava il letto; ricordava che Duun l’aveva svegliato una volta per farlo bere.

— Ce la faccio ancora.

— Duun, mi hanno…

— Sss.

Thorn rimase in silenzio. Era stato per dire qualcosa che l’avrebbe imbarazzato. (Hai alcune necessità impellenti, Thorn.) Si sentiva svuotato, in pace, dopo la tempesta. La falsa pioggia batteva sui vetri. — È Sheon, vero?

— Ho tenuto da parte questa scena. L’avevo fatta preparare un anno fa. Pensavo di usarla, un giorno o l’altro.

(Un giorno speciale. Oggi? È un dono? Per compensarmi di altre cose?)

— Ancora tè? Forza, devi svegliarti. Faremo un po’ di palestra, oggi pomeriggio.

— Vuoi uccidermi.

— Ce la prenderemo con calma, pesciolino. — La faccia di Duun lo guardava, mezza sana, mezza ferita, con quel sorriso eternamente canzonatorio. — Ce la farai.

(È contento di me adesso? Era un esame che ho superato?) — Duun, mi hanno…

Duun sollevò la destra con un dito alzato. Silenzio, voleva dire. (Non voglio che tu parli).

— Loro…

— Non è successo.

— Maledizione, è…

— Non è successo. Silenzio.

Thorn sentì il cuore battergli più forte. Fissò allora la faccia di Duun, con le sue cicatrici e gli occhi immobili. Il cuore gli batteva contro il petto. (Cosa mi stai facendo? Cosa mi stai facendo, Duun-hatani?)

— Sei lento, Thorn. Lento. Velocità!

Thorn ci provò. Girò su se stesso, perse l’equilibrio, saltò indietro per salvarsi, mentre il coltello con la punta coperta gli passava sulla pancia: sentì il tocco. Girò ancora e sollevò il pugnale, pronto a difendersi. Duun chiamò tempo, e s’inginocchiò sul pavimento. Thorn si sedette e si asciugò la faccia.

— Sono fuori allenamento. Mi riprenderò.

— Continuerai a far pratica — disse Duun.

— Come… “continuerai”? — (Qualcosa è cambiato? Cosa non va?) Continuerai sembrava qualcosa di definitivo.

— Tre mattine su cinque studierai. Un giorno sì e uno no andrai in quella stanza. È un altro tipo di studio.

— Duun…

— … di cui non parleremo.

— Duun, non posso!

— Non puoi?

Thorn ebbe un sobbalzo. Si strinse le ginocchia con le braccia. — Tu sai cos’è? L’hai mai provato?

— Non ne parleremo. Un giorno sì e uno no dovrai affrontarlo. Sai che dovrai affrontarlo; ci andrai da solo e sarai educato con i medici. Non te lo ripeterò un’altra volta. Se davvero ti farà soffrire, te lo faranno una volta ogni cinque giorni. Ma questa è una cosa che i medici decideranno per ragioni mediche, non per i tuoi capricci.

— Per sempre? Per il resto della mia vita?

Duun esitò. Duun raramente esitava nel rispondere, anche se qualche volta si fermava a pensare. Questa volta, la pausa durò un minuto buono, e Duun aveva la fronte aggrottata. — È una prova, pesciolino. Non devi fallire, capito? Non ti dirò quanto tempo durerà. Non dovrai parlarne mai, qui dentro. La prossima volta dormirai nella sezione medica. Quando potrai tornare a casa con le tue gambe, ci verrai; potrai farlo in qualsiasi momento, e dirai: Ciao Duun, sono tornato a casa, cosa facciamo?… quello che fai ogni giorno. Sagot è stata debole e ti ha lasciato fare ciò che volevi. Io avrei dovuto rimandarti subito indietro, invece di coccolarti. La vita non ti coccola.

— Neanche i medici, Duun. Fa male, è… non so come comportarmi, Duun, aiutami, per amore degli dei, dimmi come devo fare!

— Accettalo. Con dignità. Accoglilo. Con tutta la forza e l’intelligenza che possiedi.

— Ho fallito oggi?

— No — rispose Duun. — No, sei stato meravigliosamente bravo. Puoi essere orgoglioso di te stesso. Hai reso felice un sacco di gente, gente che non hai mai incontrato. Ma non ne parleremo più; tornerai a casa e non dovrai parlarne; faremo tutto quello che facciamo sempre. Penso che ne sarai felice.

— E tu non mi sgriderai.

Per la seconda volta Duun parve colto alla sprovvista, e questo era un fatto ancora più raro. — No, pesciolino. Non ti sgriderò.

11

— Buon giorno — disse Sagot.

Thorn attraversò la stanza fino a dove sedeva Sagot, come aveva fatto la prima volta che l’aveva vista.

Si sedette sul rialzo di fronte a lei, con i piedi penzoloni e le mani intrecciate in grembo. La faccia di Sagot era come quella di un’estranea, che nascondeva tutto dentro gli occhi: una maschera di vecchia, spolverata di bianco.

— Come stai, Thorn?

(Come se ricominciassimo da capo.) — Sto bene, Sagot. Duun dice che domani dovrò tornare là. Sarà lo stesso?

— Non posso parlarne, Thorn.

Lui rimase un momento in silenzio. — Voglio sapere, Sagot. Cosa stanno facendo?

— Non posso parlarne. Possiamo riprendere le nostre lezioni?

— Verrai con me domani? — (Ti prego, Sagot).

Un lungo silenzio. — Non credo che cambi molto. Non lasceranno che ti porti a casa; ti faranno restare là; pensano di averti svegliato troppo presto. Non gli ha fatto piacere che ti abbia portato via; eri in piedi, e parlavi in maniera ragionevole… — La bocca di Sagot assunse un’espressione ironica. — Ma con un hatani ubriaco non si discute. Domani sai cosa aspettarti, e non discuterai con i medici, d’accordo?

— Lo so. Ma preferirei che tu restassi.

— Thorn…

— Non parlarne con Duun. So che direbbe di no. Fallo e basta, Sagot. Non mi fido dei medici. Non mi sono mai piaciuti.

— Ci sarò. — Sagot lisciò la stoffa pesante del suo kilt, e appoggiò le mani sulle caviglie. — Parliamo del tempo… Nel senso dell’atmosfera. Dell’interazione degli oceani con le masse d’aria. Quando ero al polo nord, nell’87, ci sono arrivata in aereo, ma poi me ne tornai via con una nave da esplorazione; Uffu Non si chiamava. Chiedimi degli hothonin, qualche volta.

— Cosa sono gli hothonin?

— Dei pesci, grandi all’incirca come uno shonun. Si nutrono di uccelli. Proprio così. Sulla testa hanno un punto bianco che assomiglia a un piccolo pesce a fior d’acqua, quando nuotano appena sotto la superficie del mare; un uccello si tuffa per catturarlo, l’hothun fa un balzo… e snap, addio uccello. Vedi a cosa porta presumere? Comunque, partimmo dal porto di Eor, diretti in mare aperto…

— È ancora sano di mente — disse Duun. Ellud era di fronte a lui, con le mani sulle ginocchia e la confusione di sempre sulla scrivania. Duun sedeva al solito posto. — Non tiriamo troppo la corda, Ellud.

— Non sto tirando la corda — disse Ellud. — È il concilio che lo sta facendo. Betan è riemersa. È viva.

Duun lasciò che la sua faccia sì rilassasse, per la sorpresa. — Non è una buona notizia. Dov’è?

— È reclusa. In casa di Shbit, naturalmente. L’ho saputo da un consigliere, che ha parlato con un consigliere che a sua volta ha parlato con lei. Non metterci il naso, Duun. Per amore degli dei, non cercare di farlo, a questo punto. Va tutto come vogliamo noi, e Shbit non ha altro per le mani che un agente bruciato.