Выбрать главу

Ma loro sì. Quel vasto edificio era pieno di gente che poteva farlo.

— È più imponente di quanto facciano capire le fotografie — disse Tangan, un uomo esile, così vecchio che le sue guance erano scavate e perfino la sua cresta era diventata bianca. Le mani, intrecciate in grembo, erano scheletriche, percorse da cicatrici di coltellate ricevute in una giovinezza così lontana che fra i novizi della Corporazione si perdeva nel mito. Duun sedeva sulla sabbia bianca, rastrellata dai novizi in artistiche figure che si perdevano fra le cinque grandi rocce da cui era adornata l’antica stanza. Le luci erano elettriche, ma questo era l’unico cambiamento dal quinto secolo. Generazioni di mani hatani avevano annerito quei massi, lisciandoli come aveva fatto il fiume da dove erano stati presi. Generazioni di novizi irriverenti si erano seduti su di essi e c’erano saliti in piedi per rastrellare la sabbia, balzando da uno all’altro; facendone talvolta (i novizi sono uguali in ogni generazione) anche un gioco: quello di saltare combattendosi con i manici dei rastrelli.

Tangan aveva colto un certo novizio ribelle e impenitente a quel gioco. E Duun aveva dovuto pentirsene: quaranta giorni di pulizia a mano della sabbia. Rimase stupefatto, vedendo quanto era invecchiato Tangan.

— Mi sono abituato a vederlo — disse Duun.

— Davvero?

Duun incontrò lo sguardo vigile di Tangan. — Ho avuto quasi vent’anni.

— Vent’anni di potere mai visto.

— Sedici nascosto su una montagna, fra i boschi. Cinque impegnato in attività innominabili che insegnano a chiunque l’umiltà. Come pure avere a che fare con quelli di Dsonan.

— Ah. Com’è la capitale?

— Portare notizie a te è come portare acqua a un pozzo.

— Com’è la capitale?

— Ci sono più maniere di venire meno ai patti, di quante se ne insegnino qui, Tangan-hatani.

— Tempi paradossalmente prosperi. Denaro. È questo che vedi?

— Un sacco di denaro recente… pagato nelle province meno progredite per eleggere sciocchi disposti a prendere ordini, capaci solo di rafforzare il proprio potere e di fare arrivare i contratti alle compagnie giuste. Alcuni di questi sono palesemente sciocchi, e i contadini, che sono furbi, li votano perché i potenti dei loro distretti potrebbero comprarne di dieci volte peggiori, e molto più astuti. Ti dico che dovremmo mandare uno dei novizi a Elsnuunan e a Yoth. Qualche pastore, una volta o l’altra, potrebbe essere abbastanza arrabbiato da porci una domanda. Ma alcuni di questi sciocchi passano per astuti consiglieri, e si proteggono così bene da fare e disfare giovani politicanti per loro conto.

— Shbit no Lgoth?

— Vorrà lanciare una sfida.

— L’ha già fatto. Un suo agente è per via.

Duun sorrise. — Ho il sospetto che si tratti di un ghota.

— Conosci questa persona?

— Probabilmente ci siamo incontrati.

— Stai tenendo a bada Shbit, allora. Fino a che punto?

— Potrei far meglio. Ho poco tempo a disposizione. Quell’uomo è un pericolo. L’avrei rimosso arbitrariamente, ma ero ostacolato dal potere eccessivo. Avrei potuto fare troppo. Perciò non ho potuto fare niente.

— Lo prevedevo.

— Io prevedevo Shbit, ma non sapevo quale sarebbe stato il suo nome. Troppo denaro circolava. E io ero a Sheon a pulire nasi. Maestro, tu conosci una risposta, forse; c’era un altro modo?

Un lungo silenzio. Tangan si guardò le mani intrecciate, poi alzò gli occhi. — Ho visto dove ci avresti portato. Ho ripensato a tutti i miei anni e agli anni della Corporazione, e mi sono chiesto dov’era il punto cruciale. Ho pensato che fosse quando le mura vennero tolte. Ogni cosa ha condotto a questo. Ci hai messo in una posizione difficile: se gli neghiamo protezione, accenderemo il fuoco che ci distruggerà. Se lo prendiamo con noi scateniamo una tempesta di fuoco. Non voglio prendere in considerazione questa scelta. Sarò franco con te: di notte mi chiedo cosa ho insegnato ai miei studenti, se sei stato capace di una cosa del genere. Un hatani dovrebbe avere un difetto. Un hatani dovrebbe dubitare di sé abbastanza da sentire un po’ di colpa. Tu non ne hai alcuna. Bruci di troppa luce, Duun-hatani. Mi accechi. Non so se hai ragione o torto. Forse non avrà più importanza. Forse verrà il buio. Ti confesso di avere fiducia in te, per una cosa: non credevo che saresti venuto qui, anche quando ho saputo che lo stavi addestrando. Un libero hatani sarebbe stata la mia soluzione.

Duun meditò a lungo. — Maestro, hai detto che avevi previsto la mia impotenza, e subito dopo hai detto di non avere previsto che alla fine sarei venuto qui.

— Per infettarci con la tua impotenza?

Duun alzò lo sguardo. — Tangan-hatani, per molti versi è un ragazzo come tanti altri. Non dimenticarlo.

— È questa la tua saggezza?

— Tangan-hatani, se sono un fuoco, sono più sicuro con un focolare dentro cui bruciare.

— E di lui ne facciamo una lampada e la mettiamo su una mensola?

— Si potrebbe, sperando che sia molto stabile come lampada.

— Tenerlo qui?

— Mettilo dove vuoi. La Corporazione è una delle parti in causa in questa soluzione. Così pure io. Lascio che sia tu a giudicare.

— Abbiamo un’altra scelta.

— La Corporazione non se ne laverà le mani.

— Prevedi quello che farà la Corporazione?

— È ira questa, maestro Tangan?

— Naturalmente no. È smodato orgoglio. Il mio studente ci ha messo tutti in trappola. Angmen deve aver provato un orgoglio simile a questo, quando Chena aprì le porte della Corporazione.

Duun intrecciò le mani in grembo. — Troverai una soluzione.

— Ti fanno male le cicatrici, Duun-hatani? Eri uno studente così agile.

(Colpito.) — Ho le mie soddisfazioni, in cambio, Tangan-hatani. Sei stato tu a insegnarmi la pazienza.

Thorn ispezionò la stanza che gli avevano assegnato: era confortevole, tutta di legno e pietra antica. Un fuoco di vera legna bruciava nel caminetto; non ne aveva più visto uno da Sheon, e avrebbe potuto indurlo a godersi subito il caldo. Gli avevano portato dell’acqua, con l’assicurazione che era bevibile; oltre a carne, formaggio e una confezione di bacche conservate. Il letto davanti a sé era di pellicce, e la sabbia sul pavimento era bianca, fine e profonda, cotta da poco e rastrellata in meticolose spirali. Nella stanza accanto l’attendeva un bagno caldo, con l’acqua lattescente di essenze aromatiche e olii. Gli sorrisero; sorrisi hatani, né falsi né veri.

Lui si mise a frugare nella stanza, in cerca di pietre. Non ce n’erano. Aveva sete dopo il lungo viaggio e le corse fatte. Le sue membra erano irritate e sudate a causa della tuta di volo. Aveva appoggiato i bagagli sul rialzo di legno che serviva anche da cassettone. — È tuo questo mantello grigio? — aveva chiesto un hatani, osservandolo mentre disfaceva il fagotto. — No — aveva risposto Thorn, guardandolo apertamente, consapevole che loro sapevano di chi era. — Deve essere di Duun — aveva aggiunto l’hatani. — Infatti — aveva sottolineato Thorn. — Dammi le sue cose — aveva detto allora l’hatani. — Le metterò nella sua stanza.

Thorn aveva sorriso, con la maggior sicurezza che poteva. — Sarei uno sciocco a disobbedirgli; perdonami, hatani: quando ti rimprovererà, digli che è stata colpa mia. Nella mia inesperienza non ho saputo cosa fare, così ho eseguito i suoi ordini.