Выбрать главу

Un altro hatani gli era venuto vicino, e aveva allungato una mano. — Ti prego, visitatore: lascia almeno che metta via queste cose per te.

— No — aveva detto Thorn, respingendo la mano con un lento movimento della sua. — No, hatani. Perdonami.

L’hatani si era ritirato. — Nessuno ti disturberà fino a domattina, visitatore — aveva detto l’altro. Si erano richiusi la porta alle spalle.

(Non può essere così semplice. C’è un altro trucco.)

Thorn l’aveva cercato. Si era tolto la tuta, rimanendo soltanto con il piccolo kilt. Aveva esaminato il cibo, rompendo il formaggio e strappando a brandelli la carne. Aveva vuotato la vasca e rivoltato il letto. Aveva frugato nell’armadio e nel cassettone, negli spazi dietro i cassetti. Si era arrovellato il cervello. (Anche i mobili potrebbero nasconder qualcosa.) Perciò aveva provato a sollevare le assi dell’armadio, e aveva poi guardato nel water, nella vasca da bagno, nel lavandino.

Dai rubinetti non usciva una goccia. Quella era una cosa insolita. Li smontò e non trovò niente. (Maledizione. Qui c’è qualcosa che non va. Forse è per impedirmi di bere quest’acqua, invece di quella nella brocca.) Cercò di smuovere perfino la vasca, il letto, il grosso rialzo vicino. Esaminò anche le pareti.

Alla fine, s’inginocchiò nell’angolo vicino alla porta, e cominciò a rimuovere il profondo strato di sabbia.

Trovò un piccolo pannello, tra la roccia sotto la sabbia, dopo averne spazzata via una buona metà. Ansimava, ormai. Si fregò la faccia con un braccio grigio e polveroso. (No.) Si ricordò del pesce e dell’uccello di Sagot. Duun che posava la sua pietra sul tavolo, vicino alla teiera. (Non fidarti di nulla.)

Prese il kilt grande, e sollevò il pannello usando le dita attraverso il tessuto. Lo mise da parte. C’era una pietra, in un piccolo recesso. Andò all’armadio, prese il suo rasoio e un quadrato di tessuto. Usando il rasoio, tirò fuori la pietra e l’avvolse nel tessuto, rimise a posto il pannello, e contemplò il mucchio di sabbia che doveva essere spianato.

(“Sii sempre cortese.”) Forse questo implicava anche lasciare la stanza in ordine.

E un altro pensiero si insinuò nella sua mente. (“Snap. Addio uccello. Vedi a cosa porta presumere?”)

(Pesce e uccello. Pietra e teiera.)

(Come faccio a sapere se c’è un’altra pietra?)

Rimaneva mezza stanza. (E quanto tempo? Potrebbe essere nella sabbia. E ho solo le mani.)

Si mise la pietra nella cintura, e cominciò a spazzare via il resto della sabbia.

L’altro ricettacolo segreto era nell’angolo opposto. Non ce n’era un terzo. Guardò un grande mucchio di sabbia vicino alla porta, poi andò a prendere il piatto del cibo, e lo usò per spargere la sabbia il più velocemente possibile. La schiena e le braccia gli facevano male; le ginocchia erano scorticate, malgrado avesse cercato di proteggersele con i vestiti, mentre strisciava di qua e di là. I calli, l’unica protezione che aveva sulle mani, si erano ormai consumati. Aveva sete, e ringraziò gli dei che almeno aveva fatto colazione, perché non osava toccare il cibo. (Potrebbe esserci una pietra nel recipiente da cui è stato preso, non in questa stanza. Come posso fidarmi? E il rubinetto. C’è qualcosa che non va. Se non uso le cose sicure, è un errore? Sono sudato. Puzzo terribilmente. Non posso andare di fronte a loro con questo odore addosso. Già ho l’aspetto che ho, e adesso dovrei offendere il loro odorato. E ho usato l’unico cambio di abiti che avevo.)

(Posso usare quelli di Duun? Dei, no.)

(Che ore sono?)

Thorn sparse la sabbia tutt’intorno e ci camminò dentro spianandola il meglio possibile. Cercò inoltre di pensare. Si fermò ansimando, tornò in bagno e armeggiò attorno al rubinetto, finché le mani non gli fecero male. Non riuscì a smuoverlo di un millimetro. Si sedette sulle piastrelle fredde, con le gambe intorpidite. (Non vuol cedere. Vogliono solo farmi usare la brocca, ecco tutto.) E aveva la gola secca, per la polvere e la fatica. (Ho vinto. C’erano due pietre. Le ho trovate tutte e due. Non berrò l’acqua, non mangerò il cibo, non dormirò nel letto.)

(Il materasso. C’è qualche regola che vieta di rompere le cose?)

(Nel gioco con Duun non lo facevamo mai.)

(Le sue regole. Mi avrebbe insegnato. Avrebbe fatto le cose nella maniera giusta.)

Si alzò a fatica, camminò stancamente fino alla sabbia calda, di fronte al fuoco, e si sedette, sporco, sudato, infreddolito. (Dei, almeno posso usare il rasoio e la lozione che ho portato. Ha un buon odore. Forse coprirà un po’ la puzza.)

(Non oso dormire. Hanno promesso che nessuno mi avrebbe disturbato; non oso crederci.)

Si tastò le pietre nella cintura e le tirò fuori, senza mai toccarle con le dita. Erano avvolte nel tessuto: una venata di bianco, l’altra di nero. (Qualcuno oserebbe barare?)

(Sciocco!)

Guardò il fuoco, le abbondanti braci sulla grata.

Andò al tavolo, prese la brocca e versò l’acqua sui carboni. Una nuvola di vapore si alzò sibilando, ma restava ancora un bagliore rosso fra i carboni.

(Oh, maledizione, maledizione, maledizione! La vasca che ho svuotato, i rubinetti che non funzionano.)

Portò la brocca in bagno, provò ancora i rubinetti, poi si inginocchiò e travasò tutta l’acqua del water con le mani; riuscì a riempire la brocca.

I carboni avevano ripreso ad ardere quando tornò. Versò l’acqua, poi prese il piatto e li coprì con la sabbia. Aspettò un attimo e ne spazzò via un po’ con il piatto. Erano ancora caldi, e in grande quantità, per uno spessore di oltre mezzo braccio.

(Quanto tempo mi resta? O dei, non posso aspettare.)

Tirò via la sabbia. Con il rasoio, fece scivolare i carboni sul piatto rivoltandoli ed esaminandoli, e portandoli infine nel bagno. Raggiunse poi i carboni più profondi e più caldi. Trovò una grata metallica. La estrasse usando il casco come gancio. Smosse i carboni, e il piatto si spezzò in due per il calore. Usò allora il pezzo più grande, con più cautela. Le mani gli si erano riempite di vesciche. E ogni volta che avvicinava le mani al focolare era un dolore nuovo. Tutto ciò che stringeva scottava. Il pezzo di piatto si ruppe di nuovo, poi ancora e ancora, in pezzi sempre più piccoli. Smise di portare i carboni in bagno; li faceva adesso scivolare sulla sabbia, li esaminava e ne prendeva altri. Appoggiò un ginocchio su un carbone ardente; e le lacrime gli inondarono gli occhi, gli corsero sulla faccia, e si asciugarono.

Dal fondo, dei carboni raccolse un piccolo pezzo nero che era troppo regolare e liscio. Lo fece rotolare nella sabbia per raffreddarlo, e lo raschiò col rasoio. Era una pietra.

L’avvolse insieme alle altre, senza ritrarsi per il calore. (Devo smettere di cercare?)

Continuò, fino all’ultimo. A fianco del focolare, sotto alla vecchia cenere, trovò uno sportello metallico, e l’aprì col rasoio. Si bruciò di nuovo, tirando fuori dal fondo un’altra piccola pietra. Avvolse anche questa nel tessuto, e frugò fra la cenere rimasta; finché fu certo che non ce n’erano più.

Allora si sedette, appoggiando le braccia alle ginocchia e si riposò.

Poi prese la grata e i carboni e cominciò a rimetterli sul focolare.

La porta si aprì mentre era a metà del lavoro. Erano gli hatani che l’avevano accompagnato nella stanza. Si guardarono intorno.

Uno andò nel bagno, tornò, e Thorn si alzò.

— Vieni con noi — disse il primo. Thorn prese il kilt e se lo mise intorno alla vita, poi cominciò a raccogliere il resto della roba, sua e di Duun.

— Visitatore — aggiunse l’altro hatani — è chiaro dalla condizione della stanza che non te ne andrai. Non c’è bisogno di fare i bagagli.

— Per favore. — Thorn avvolse il mantello e gli abiti di ricambio di Duun nella sua tuta, che, insieme al mantello, era l’unica cosa non sporca. Raccolse il rasoio da terra e lo mise nel casco, insieme alle bottigliette di lozioni.