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— Oh, non essere sciocco! — disse l’altro. — Rideranno di te nella sala. Incontrerai il maestro Tangan, con tutti gli hatani! Non puoi portarti dietro tutta quella roba!

— Non ho avuto occasione di dare a Duun il suo mantello. Non so, potrei anche perderle, queste cose. Mi dirà lui cosa fare.

— Allora vieni, sciocco. Ma ti avverto che rideranno. Dei… come sei sporco. Vuoi cambiarti d’abito. Posso prestartene uno.

— Grazie. Chiederò a Duun quando lo vedrò.

Gli altri indicarono la porta aperta.

Il corridoio sbucava in una sala aperta, circondata da una gradinata, e sui gradini sedevano totani avvolti nei mantelli grigi, a centinaia. Il pavimento era coperto di sabbia, con i segni curvilinei dei rastrelli. C’erano grandi massi e su ciascuno di questi sedeva un hatani.

In fondo alla gradinata, di fronte a lui, c’era Duun in piedi, l’unico senza mantello. Duun sollevò leggermente il mento, e Thorn scese i gradini, con la scorta alle spalle.

— Mi hai portato il mantello — disse Duun. — L’hanno toccato?

— No, Duun-hatani.

Duun allungò una mano, lo prese e lo indossò. Poi indicò la roccia più lontana. — L’ultimo è il maestro Tangan.

Thorn camminò sulla sabbia, lungo lo stretto sentiero che gli totani ora seduti sui massi avevano percorso; era a forma d’albero. Sentì altri camminare alle sue spalle. Si fermò di fronte all’ultimo masso tenendo ancora in mano tutte le sue cose.

— Puoi appoggiarle in terra — disse il maestro Tangan; sollevando la mano nella maniera che usava Duun, quando voleva dire che una cosa era sicura. — Resterai in piedi. — Duun si fermò vicino a lui. I due che l’avevano condotto si fermarono dall’altra parte. Thorn appoggiò il fagotto di fronte a sé.

— Sei sporco, giovane — disse Tangan. — È la maniera di presentarsi in questa sala?

— Perdonami, maestro Tangan.

— C’era qualcosa che non andava nella stanza?

Thorn esitò. Sembrava la domanda giusta. Tirò fuori dalla cintura il pezzo di stoffa. Lo svolse e mostrò le pietre. Le bruciature gli facevano male, e le mani macchiarono di sangue la tela. Thorn tremava malgrado tutti i suoi sforzi. (Erano tutte? Me ne è sfuggita una?)

— Ha bevuto l’acqua?

— La brocca era vuota — disse uno della scorta.

— Ha mangiato il cibo?

— Il cibo era sbriciolato — aggiunse l’altro.

— C’era una pietra nella brocca da cui è stata versata l’acqua. C’era una pietra nel piatto da cui il cibo è stato servito. Hai mangiato o bevuto?

— No, maestro Tangan. Ho versato l’acqua sul fuoco. Non ho mangiato. Non ho portato la mano alla bocca dopo aver toccato il cibo.

— Come posso sapere se è la verità?

Dapprima gli parve un’accusa. Poi gli venne in mente che era un’altra domanda. — Sei hatani, maestro Tangan. Se non fossi riuscito a scoprire un trucco come quello, potresti leggerlo dentro di me.

Un momento di silenzio, in tutta la sala. — Hai fatto il bagno?

— No, maestro Tangan.

— Questo sembra evidente.

Thorn era troppo stanco. Si limitò a guardare Tangan, tenendo in mano le pietre.

— Cosa ne hai fatto dell’acqua?

— L’ho versata, maestro Tangan, per le pietre.

— Ce n’erano?

— Non nella vasca.

— Posa le pietre che hai trovato sulla sabbia, una ad una.

Thorn si chinò e le fece scivolare dalla stoffa, una ad una. Alla terza, si sentì un movimento dalle gradinate, e ancora di più alla quarta. Thorn si raddrizzò e guardò il vecchio.

— Quattro è insolito — disse semplicemente Tangan. — Due, oltre il cibo e l’acqua, sarebbero state sufficienti a farti passare. Questa è la prima prova. La seconda sono io. Dimmi la cosa peggiore che tu abbia mai fatto.

Quasi Thorn lasciò che la sua faccia reagisse. E si fermò. Pensò un momento. (La perdita di Sheon? Ma quello non è stato fatto consapevolmente. Era per mia ignoranza. Questo darebbe la colpa a Duun.) — Ho gridato con la mia insegnante Sagot, maestro Tangan, ieri.

— Hai rubato?

— Solo da Duun.

Ci fu un altro movimento sulle gradinate.

— Hai mentito?

— Qualche volta.

— Hai ucciso qualcuno?

— No, maestro Tangan.

— Hai usato le tue capacità in modo sbagliato?

Thorn chiuse gli occhi. E li aprì. Era facile contare. — Tre volte, maestro Tangan. Quando ho gridato a Sagot, quando ho colpito un altro studente e quando l’ho minacciato.

— Sei molto veloce a rispondere. Non ce ne sono altre?

Thorn pensò ancora. — Ho litigato con Duun.

— Anch’io, visitatore. — Una risata sommessa si sparse nella sala. Al suo fianco, Duun abbassò la testa. La faccia del maestro non mutò espressione. — Abbiamo un caso nella Corporazione. Un membro reclama per sé un pugnale che anche un altro reclama. Come lo risolveresti?

Thorn si morse le labbra. Si sentì preso dal panico. (È una domanda sbagliata. Non c’è risposta. Devo osare dirlo?) Si accorse di tremare per il freddo. — Maestro Tangan, non ci sono hatani nella Corporazione che possano litigare per un possesso.

— Abbiamo un altro caso. Due sorelle sposano un uomo per un anno, in successione. Ma non appena il primo matrimonio viene consumato, l’uomo divorzia dalla moglie e ne sposa una terza per tre anni. Come giudicheresti?

— Maestro Tangan, come hanno formulato la domanda di giudizio?

— La prima sorella dice: giudica fra me, mia sorella e quella donna.

(Non l’uomo.)

— Questa non è una questione da hatani, maestro Tangan. Dovrebbero andare dal magistrato.

— Loro insistono. Fanno ancora la medesima richiesta.

— Hanno proprietà?

— Hanno una casa e un negozio ricevuti dal padre e dalla madre. L’uomo vive e lavora con la nuova moglie, in un podere che lui possiede. La nuova moglie è tanun.

— Che vadano a vivere nella loro casa, e si trovino un nuovo marito.

— Spiega.

— Le donne vogliono quest’uomo più di quanto lui voglia loro, e odiano la nuova moglie. Non potrebbero mai dividerlo con lei.

Il maestro Tangan alzò una mano, facendo un cenno a qualcuno. Thorn resistette all’impulso di voltarsi, ma sentì dei passi avvicinarsi, numerosi.

— Un altro caso — disse Tangan. — Guarda questa donna.

Thorn si voltò, e si sentì un tuffo al cuore.

Era Betan, in un kilt azzurro chiaro e con un mantello blu scuro. Aveva le mani unite davanti a sé e le orecchie piatte. Lo raggiunse il suo profumo: era ancora di fiori.

(O Betan.) Si sentì sopraffare dalla stanchezza. (Hatani, dopo tutto?)

La faccia di lei non tradiva nulla.

— Guardami — disse Tangan. — Questa donna ti accusa di averla assalita, di averla sedotta con i tuoi discorsi. Quando ti ha visto nudo, e si è accorta che la tua differenza fisica le avrebbe fatto male, e ha cercato di allontanarsi, tu hai usato la forza per trattenerla; finché non è intervenuto Duun no Lughn. Mi chiede un giudizio hatani.

(Era questo che pensava? È questo quello che ho fatto?)

— Cosa dici?

— Io… ero solo nella stanza con lei. Tutto ciò che dice potrebbe essere vero.

— Duun-hatani, tu eri testimone.

— Io sono entrato, e questa donna è corsa via — disse Duun. — Le ho ordinato io di andarsene. Ho visto un abbraccio da cui la donna cercava di liberarsi.

— Mentre tu entravi.

— Sì, maestro Tangan.

— Cos’altro hai osservato?