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Thorn girò la faccia dal sole, e guardò Duun, un volto reso senza volto dalla maschera e dal visore in plastica su cui si rifletteva il sole.

— Betan — disse Duun, lontano attraverso gli auricolari — aveva forse speso tutta la vita per quello scopo. Servizio alla corporazione. Un tipo speciale di ghota. Gli dei sanno quali informazioni fornivano i ghotanin a Shbit, dal dipartimento. Shbit si trovò contro la corporazione ghota, del tutto spiazzato… giocava le loro mosse contro di me, pensando che fossero le sue. Anche la Compagnia Dallen. Non posso dire che non mi aspettassi dei guai fra corporazioni. Ma c’era la legge, di nuovo… stavo cercando di evitare che venisse meno l’autonomia del concilio. Maledizione, mi avevano dato troppo. Ho lasciato vivere Shbit perché sapevo che era una leva che potevo manovrare, e uno a cui i ghota avrebbero risposto. C’è una spia nell’ufficio di Ellud che ho lasciato stare, Sagot è la mia spia.

(Qualcuno è ancora fedele a questo mondo. O Sagot, un po’ di verità.)

— … E tu hai fatto quello che ci aspettavamo.

— Cosa ho fatto? Quei nastri? Quei maledetti stupidi nastri? I numeri e le figure?

— Sei sopravvissuto a essi. Sei sopravvissuto, pesciolino, e li hai letti. I medici sarebbero venuti a conoscenza di quello che tu sapevi; di lì a poco: bastava un altro giorno… e nell’istante in cui l’avessero saputo, quella falla aperta avrebbe lasciato filtrare le notizie dritto al nostro nemico. Ellud non voleva che tu lasciassi l’edificio; avrei potuto prevalere su di lui, ma si sarebbe opposto, e avrebbe complicato le cose in maniera irreparabile. È un brav’uomo, onesto; e ha sempre bisogno di più tempo di quanto gliene concedono gli avversari. Alcune cose non ho potuto dirle neppure a Tangan: come la guerra fra corporazioni e come il fatto che avevo manovrato quella leva.

— Questo Shbit ha mandato Betan quando ha saputo che avevamo lasciato la città.

— Cominci a capire. Ha dato a un ghota un aereo corriere, senza sospettare che era stata ingaggiata dalla sua corporazione per essere assunta da lui. Ho dovuto darle un equipaggio ghota; nessun kosan l’avrebbe portata da noi.

— Ma perché è venuta qui?

— Non poteva batterci. Per Shbit, doveva far finta di piangere, urlare e altre scene del genere. Calunniarti, tenerti fuori dalla corporazione, creare scandalo. Per i ghotanin… doveva arrivare e consegnare un messaggio della sua corporazione. Hai osservato Tangan. Non si è piegato. Questo è chiaro per te e per me… Ma i ghotanin sono convinti che ogni cosa può essere comprata, se vengono stabiliti i giusti termini; è arrivata, e si è accorta di non avere la giusta moneta… dal suo punto di vista. Era chiaro, quando ha detto di tenerti fuori, in quel modo, che non parlava per Shbit. Tangan allora l’ha capito. Ha capito chi era, cosa gli avevo fatto, e perché. E ci ha perdonato tutti e due. — Duun rimase a lungo in silenzio.

E uomini e donne morivano per loro, stavano morendo in quel momento, su aerei che sfrecciavano e lanciavano missili che nessuno vedeva, tranne sugli schermi radar.

(Accidenti a te, Duun. È una manovra anche questa?)

— Mi piaceva — disse Thorn alla fine. — Tangan mi piaceva, Duun.

— Non l’ho tradito. Gli ho dato la forza di cui aveva bisogno. L’ho liberato. Capisci?

— Per fermare i ghotanin?

— Per sostenermi in quello che faccio. Ancora non capisci, pesciolino? Capirai. — Un rumore di scariche elettrostatiche: la mano di Duun, sul fianco del casco, che cambiava canale. — Come va?

— Lo schermo di Dsonan cadrà tra un minuto, per lasciarci passare — arrivò la voce del pilota. — Fanno sul serio. Due missili hanno colpito la base. La Terza Ala gli rovescerà addosso tutto quello di cui dispone, mentre entriamo, sey Duun.

— Gli dei li salvino — mormorò Duun. — E salvino tutti noi. Fai le cose come si deve, Manan.

— Ci sto provando di sicuro.

Thorn si sporse per guardare dalla calotta. Ma non si vedeva niente, oltre le loro ali, a parte il sole impietoso e il cielo infinito.

Ancora scariche. — Non per innervosirti, pesciolino — disse Duun — ma quello che sta succedendo è che Dsonan ritirerà le sue difese missilistiche per lasciarci una finestra d’ingresso, e non chiedermi cosa succede se qualcosa s’inceppa. I kosanin si stanno muovendo per essere certi che non passi nulla durante quei cinque minuti cruciali che ci saranno necessari per superare le difese. Quando saremo atterrati scenderemo da quella parte, sull’ala. Farà più caldo che all’inferno. Salta giù dopo che io sarò a terra. Ti sosterrò nel cadere. Poi non pensare a niente: corri e basta verso la rampa di lancio del traghetto.

— Il traghetto?

— La cosa più alta che vedrai di fronte a te.

— Lo so com’è fatto! Dove andiamo?

— Alla stazione.

Scariche. Il muso dell’aereo si abbassò, e l’altezza divenne velocità.

(“Più di Mach due, se c’è bisogno.”)

Thorn tremò. Sentiva male, per le ferite e per il caldo; respirò, ansimando, il sottile filo d’ossigeno della maschera; il naso, la gola e gli occhi gli bruciavano. Il sudore gli colava dalla fronte. C’era uno strano suono, acuto, una sensazione che gli vibrava nelle ossa e nelle viscere come una paura ancestrale. (Ho paura, Duun; Duun, non voglio morire così…)

C’era una macchia davanti a loro, un’ombra, un bagliore di luce.

(È la terra che si avvicina; quello è il fiume… O dei, è la terra, quella è la città…)

L’accelerazione gli strinse le membra in una morsa, di nuovo il dolore… il mondo s’inclinò bruscamente, divenne metà terra metà cielo, tagliati verticalmente, poi si raddrizzò, mentre Thorn sentiva le cinghie tendersi. (Si spezzeranno, finirò contro la calotta, non posso tenermi…)

Poi intervenne un’altra forza, brutalmente, e cominciarono a perdere velocità. Un’orecchia gli si chiuse, facendogli un male del diavolo, e l’accelerazione aumentò e aumentò, in un supplizio che formava un tutt’uno con il resto.

All’orizzonte c’era del fumo; avvolgeva e sovrastava la città da una parte, in un cielo grigio di nubi. Davanti a loro apparve una pista, una linea pallida e dritta. L’aereo toccò terra con la coda, in una lunga corsa che lo scosse tutto, prima che il rombo dei motori che avevano invertito la rotazione ne diminuissero la velocità. Le gomme del carrello stridettero e i reattori ruggirono, mentre davanti a loro appariva una rampa di lancio, altissima, con il traghetto che s’innalzava come una torre bianca contro il cielo macchiato di fumo. Sull’orizzonte esplose un sole rosso, si gonfiò, impallidì. E poi un’altro, luminoso anch’esso.

L’aereo sobbalzò e ondeggiò sul fondo irregolare, mentre un autocarro veniva verso di loro. La calotta si ritrasse, e si sentì l’odore del metallo che si raffreddava, schioccando e crepitando. Duun staccò i cavi e il tubo, slacciò la sua cintura, poi quella di Thorn, uscì e saltò sull’ala. Thorn si mise in piedi ed ebbe un sobbalzo sentendo il calore della fusoliera. Osservò Duun saltare dal bordo posteriore dell’ala sul cassone dell’autocarro, e atterrare piegando un ginocchio.

Thorn si fece coraggio: rotolò su un fianco e scivolò sull’ala, fece un passo su una superficie che si piegava e saltò verso il cassone e le braccia di Duun che nel frattempo si era rialzato.

Sia lui che Duun finirono a gambe all’aria. L’autocarro si allontanò in fretta e l’aereo rimpicciolì dietro di loro. All’orizzonte altri soli esplosero; uno fiorì in cielo e svanì in una nuvola di fumo.