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Stretto tra le braccia di Duun, Thorn tremava. Poi, appena Duun gli tolse la maschera, si riempì i polmoni di aria fresca. Duun lo strinse ancora di più, mentre l’autocarro sobbalzava stridendo verso la rampa, che incombeva su di loro, una struttura bianca contro il cielo devastato dal fumo. Il veicolo frenò. — Giù — disse Duun, e lo aiutò ad alzarsi; saltò giù dal retro, ed era lì a sorreggerlo quando i suoi piedi toccarono terra.

— Avanti. Corri! - Duun lo trascinò verso la rampa, verso la bianca parete che era una pinna della navetta. C’era un ascensore, con la porta aperta, e una donna che gli fece cenno di correre, correre, quasi con violenza. Lo raggiunsero. La donna chiuse la porta, e mosse una leva che li fece partire. L’intera cabina odorava delle loro tute, di sudore e di paura, e Thorn barcollò quando si mise in moto. La mano di Duun gli si posò sul petto. — Tieni duro, maledizione, Thorn! Tieni duro!

Thorn tese i muscoli delle ginocchia e si appoggiò alla parete con un braccio. Le travi metalliche scivolavano confuse fuori dal finestrino. Poi la donna abbassò la leva, e la cabina si bloccò di colpo. La porta si aprì, mostrando un portello aperto, dalle pareti spesse.

— Avanti — disse Duun, spingendo Thorn, e lo seguì. Thorn si voltò a guardare, mentre giungeva il rombo lontano delle esplosioni.

Restando fuori, la donna chiuse il portello, sparendo in una mezzaluna, sempre più piccola, di luce nebbiosa. Tump. (Che ne sarà di lei?) Il mondo pareva un posto insicuro. Ma Duun lo fece girare e quasi lo scaraventò su uno dei tre sedili quasi orizzontali, sul pavimento, nella piccola cabina buia.

— Allacciati le cinture — disse Duun mentre gli si sedeva accanto e gliele allacciava. Duun si tolse infine il casco e schiacciò un bottone sul bracciolo del sedile. — Noi siamo a posto, siamo a posto.

— Vi sentiamo chiaro.

Thorn si levò il casco usando i polsi; Duun lo aiutò, poi infilò il casco in un ripostiglio nel pavimento, lì vicino. Il coperchio si chiuse con un rumore di vuoto. Thorn si stese, respirando a grandi boccate, mentre Duun si allacciava le proprie cinture. — Aspettano che l’attendente scenda — disse Duun, tenendo la testa appoggiata e gli occhi chiusi. — Anche l’autista dell’autocarro dovrà allontanarsi.

— E l’aereo?

— Maran e Koga… sono diretti a Drenn. Rifornimento, e di nuovo in volo. È la loro ala che sta sostenendo l’assalto, laggiù. Avranno una finestra di uscita: la nostra. Dovranno abbassare lo schermo missilistico di nuovo, per farci partire.

(Della gente sta morendo. Da ogni parte bombe che esplodono. Tutta quella gente…)

Un rumore di tuono, sempre più forte. (Colpiscono vicino.) Il sudore ricopriva tutto il corpo di Thorn, con un senso appiccicaticcio di morte; poi il rumore gli penetrò fino alle ossa, e la forza scese su di lui, vertiginosa, totale. Ci fu un altro tuono e la nave emise rumori metallici, come se stesse andando a pezzi. (Non ce la faremo, non ce la faremo… qualche missile ci fermerà.)

Il peso crebbe, schiacciandolo sul sedile.

Stavano lasciando la terra. Tutto. C’era il vuoto davanti a loro, incomprensibile e senza fine.

(Ho guardato la luna cercando di vedere dov’erano.)

(Il mondo è grande, pesciolino, più grande di quanto tu creda.)

(Il mondo è meraviglioso. Non hai visto le foto?)

14

Pace. Una pace misteriosa, e un silenzio, in cui muoversi costava poco, e respirare ancora meno. Un leggero soffio d’aria sfiorò la faccia di Thorn e gli accarezzò la guancia.

Duun galleggiava sopra di lui, tenendosi follemente in equilibrio su un braccio che stringeva lo schienale. Thorn sbatté le palpebre, e Duun gli slacciò le cinture. Un piccolo movimento del braccio contro il sedile lo fece staccare dalla poltroncina.

— Siamo nello spazio — mormorò Thorn. — Siamo nello spazio.

— Dove il mondo gira, sì. Possiamo prendercela calma per un po’, pesciolino. Sei arrivato in un grande oceano. È facile muoversi, fluttuare di qua e di là. — Duun gli sorrise. (Riesce a sorridere dopo tutto questo? Può essere così felice? Potrebbe chiunque, dopo quello che è successo?)

Duun gli tirò delicatamente il polso. — Tieni il braccio rigido. Non occorre che ti attacchi. — Gli slacciò la tuta. Quella di Duun galleggiava nell’abitacolo, slacciata sul petto, ai polsi e alle caviglie. Duun lo liberò e cominciarono a roteare nell’aria, insieme.

Thorn fluttuava libero, con gli occhi chiusi, esausto.

Socchiuse le palpebre e osservò Duun andare e venire attraverso un portello che prima non aveva visto, sopra di loro. Nel suo lento roteare, Duun distinse una luce bianca, corpi di shonunin che si muovevano nell’aria, intenti alle loro faccende. Duun sparì oltre il portello, poi ne ridiscese come un elegante tuffatore. Le sue orecchie erano ritte; gli occhi vivaci e brillanti.

(È al corrente di tutto, ha già fatto questo viaggio più di una volta.)

— Dove stiamo andando, Duun.

— Zitto. Riposa. La gente ha da fare.

— Cosa è successo al mondo?

— È ancora al suo posto. I combattimenti si sono concentrati soprattutto attorno ai porti delle navette, ad Avenen e a Suunviden. Ma adesso stanno diminuendo… adesso che ce ne siamo andati, e non possono più farci nulla.

— Ma perché? E dove andiamo?

— Perché, perché… C’è una doccia a bordo. Adesso la uso. Poi ti metterò un po’ di plastica sulle mani, e ti terrò compagnia. — Duun scivolò via. Thorn si voltò a mezz’aria, e lo vide sparire al di là di un altro portello. Cercò di muoversi, roteò e finì contro il sedile, ricordandosi solo all’ultimo momento di non usare le mani; rimbalzò, e si ritrovò a galleggiare impotente.

Un aspiratore si mise in azione, nella doccia, e Thorn osservò le goccioline scorrere lungo le pareti, finché non sparirono. Si asciugò sotto la lampada, aprì con il gomito la maniglia, e uscì. Si voltò a mezz’aria, in una lenta rotazione, prima che Duun lo afferrasse e lo avvolgesse in un kilt blu, e gli allacciasse la cintura in vita con un tocco familiare; stringendola esattamente come faceva molti anni prima. Thorn guardò la faccia di Duun, da adulto adesso, e Duun finì con mollargli quella pacca sul fianco che gli dava quando lui era piccolo. Il tempo corse avanti e indietro, roteando come la cabina.

— Vieni — disse Duun, dando un calcio alla parete con gli armadietti e scivolando con grazia e precisione nella piccola apertura.

Anche Thorn si diede una spinta con i piedi. Piegò il corpo con quanta grazia poteva, e volò nella scia di Duun, verso una luce, nella mente e nel cuore del traghetto, dove gli uomini andavano e venivano.

Lo fissavano… (sono turbati; vogliono essere cortesi; non sanno se guardare o no, se guardare è un gesto sincero o maleducato.) Duun si fermò e Thorn imitò i suoi movimenti, ignorando gli sguardi. (Il mondo è in fiamme. Dovrebbero odiarmi. Non posso fargliene una colpa. Sono nato per questo.) Ma si sentiva stranamente libero, accogliendo tutto il loro biasimo, ignorando i loro sguardi sulla sua pelle pallida e liscia, e sopportando la stretta di Duun sul braccio che lo guidava verso la finestra.

Il mondo, azzurro e luminoso… era lì. I suoi fuochi erano invisibili. La lontananza negava tutto… i fuochi divennero un’ulteriore illusione dietro una finestra; la sua vita si ridusse a proporzioni invisibili, vissuta su una montagna e in una città che bruciando non riusciva neppure a colorare le nuvole.

Guardò e riguardò, e le lacrime gli riempirono gli occhi, finché non le mandò via sbattendo le palpebre. Si asciugò gli occhi, e una goccia si staccò dalla punta delle sue dita, perfetta, una sfera tremolante, come il mondo nello spazio.

— Lo ami? — chiese Duun. — Lo ami, pesciolino?

— Sì — disse Thorn, quando gli riuscì di dire qualcosa… Si asciugò di nuovo gli occhi. — È ancora lì.

— Finché tu non ci sei sopra — disse Duun, ed era la verità; l’aveva visto. Thorn sentì un dolore al petto. Allungò una mano, e toccò il finestrino e il mondo.