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— Le hai mai prese in mano? — chiese Duun, quando Thorn fu seduto di fronte a lui, in mezzo il panno su cui erano appoggiati una serie di coltelli, corda, filo metallico, due pistole, una che sparava proiettili, l’altra no. — Le hai mai provate?

— No — disse Thorn.

— Lo faresti, se ti dicessi di no?

Gli occhi alieni del bimbo si alzarono a guardarlo, con le iridi che si dilatarono e contrassero per la sorpresa. La rapida, furtiva decisione di dire sì: la cosa più facile, da trasgredire all’istante… Se voleva. Avrebbe forse ricevuto un colpo di dito, rapido e pieno di disapprovazione sull’orecchio. Forse uno schiaffo che gli avrebbe fatto lacrimare gli occhi. Ma Thorn poteva sopportarlo. Non c’era nulla di permanente. Nulla di eterno. Così come mancava di un passato, mancava di un vero futuro e credeva che nulla potesse ostacolarlo per sempre.

Non esisteva la parola non posso per Thorn. Così gli aveva insegnato Duun.

— Non te lo sto chiedendo — disse Duun sollevando l’indice della destra. — Ti sto dicendo una cosa. Voglio che tu ci creda. Le prenderesti in mano se ti dicessi di no?

Dall’eccitazione e dal gioco, alla perplessità. La fronte di Thorn si contrasse in uno spasmo di ansia. Forse Duun avrebbe rotto la promessa? Forse lo stava prendendo in giro?

Duun si tolse il mantello e lo lasciò cadere alle sue spalle. Prese il wer, un coltello di medie dimensioni. Allungò il braccio sinistro, stringendo il pugno, e appoggiò la lama sull’avambraccio.

— No! — gridò immediatamente Thorn. Un gioco? Una minaccia? Aveva fatto qualcosa di sbagliato? Duun si stava prendendo gioco di lui?

Duun affondò lentamente la lama, giù, giù, in profondità. Il sangue uscì e cadde in gocce regolari e pesanti sulle armi e sul panno. Duun tenne il pugno stretto e il braccio fermo appoggiando l’impugnatura del coltello sul ginocchio. Gli occhi di Thorn erano spalancati, la bocca aperta, senza che ne uscisse un suono.

— A questo servono le armi — disse Duun. Il sangue sgorgava, inzuppando il panno. — Ogni volta che le prendi in mano, ricorda a cosa servono.

— Basta — gridò Thorn. — Duun, basta sanguinare!

Duun estrasse il coltello. Dal braccio ferito usciva ancora sangue. Lo passò nella mano mutilata e l’offrì a Thorn tenendolo per la punta. — Sei capace di farlo?

Thorn prese il coltello insanguinato. Aveva ancora gli occhi spalancati. Le sue labbra si chiusero, contratte. Tese il braccio, col pugno chiuso, appoggiò il coltello sulla pelle e spinse la lama come aveva fatto Duun. Aveva la faccia rossa e gli occhi pieni di lacrime, le narici e le labbra pallidissime. Affondò il coltello. Il sangue cominciò a colare. La piccola mano si ritrasse, il coltello vacillò, un tremito s’impossessò del braccio che lo teneva, poi dell’altro. Come aveva fatto Duun, appoggiò la mano col coltello sul ginocchio. La sua faccia era completamente bianca e coperta di goccioline, mentre il sangue scorreva e formava una seconda macchia scura sul panno.

Duun si era aspettato che all’ultimo momento si tirasse indietro. Sentì che la testa gli diventava leggera. La sua ferita era più profonda e sanguinava abbondantemente. Allungò la mano e riprese il coltello. Vide il terrore nel bambino. (Adesso cosa, Duun? Cos’altro? Di peggio? Ho paura Duun!)

— Non è un gioco — disse Duun. Mise giù il coltello, e appoggiò la mano destra sulla ferita. — Stringi forte anche tu. — Si alzò dalla sua posizione a gambe incrociate senza usare le mani, andò all’armadietto del pronto soccorso e appoggiò una pellicola sigillante sulla ferita. Tornò da Thorn con un secondo quadratino di pellicola gelatinosa e la premette sul braccio del bambino, scaldandola con la mano fino a quando non aderì, colorandosi di rosso. La ferita sarebbe diventata quasi subito una cicatrice. Mentre Duun gli teneva il braccio, gli occhi alieni di Thorn lo guardavano, circondati di bianco. La carne era morbida nella sua stretta. — Non dimenticherai — disse Duun. — Non dimenticherai cosa sono le armi. Non le prenderai mai se ti dirò di no.

— No — fu la fievole risposta.

— Le userai quando te lo dirò. E le metterai giù quando te lo dirò.

— Sì.

— Bene. — Appoggiò la mano mutilata dietro la testa di Thorn, e gli accarezzò la nuca stringendogliela finché la tensione si allentò, e il corpo di Thorn oscillò insieme al movimento della sua mano. Gli occhi del bimbo continuavano a fissare Duun. — Credimi, Thorn. Credimi in questo. Adesso ti fa male. Ma hai fatto quello che ti ho chiesto. Sei stato coraggioso.

I muscoli sul viso di Thorn tremarono, come per un gelo intenso. Le sue membra si contrassero. Duun si mise a massaggiarlo e continuò finché il tremito non svanì del tutto. Gli occhi di Thorn persero la loro espressione selvaggia. Erano grandi, velati da calcoli e previsioni. (Cos’altro vuole? Cosa ho vinto? Cosa ho fatto? Cosa succederà adesso?)

Duun lo lasciò andare e gli indicò le armi sporche di sangue. — Puliscile. Ti faccio vedere come si fa.

Thorn si mosse, si avvicinò alle armi sul panno. — Hai detto… — cominciò.

— Cosa ho detto?

— Che saremmo andati a caccia. Hai detto che saremmo andati a caccia, oggi.

— Infatti, andremo. Questa sera non si mangia, se non prendiamo qualcosa.

Gli occhi di Thorn si sollevarono di nuovo; poteva farlo tranquillamente, senza alzare la testa. Sperava in uno scherzo, invece il suo sguardo incontrò la faccia implacabile di Duun.

Non ci fu nessun problema, naturalmente. Le colline erano piene di selvaggina impreparata e nessuno la cacciava molto, almeno per il momento. E poi un hatani era capace di trovare sostentamento anche nei luoghi più desolati.

Thorn se ne sarebbe reso conto quando avrebbe avuto fame. Quando avrebbe provato a cacciare da solo scoprendosi troppo rumoroso e troppo goffo.

Quando avrebbe visto cosa c’era sulla terra, e cosa sapevano gli animali selvaggi.

— Ti ho promesso un coltello.

Uno sguardo, un interesse guardingo e grandi occhi bianchi.

— Il coltello wer. Quello che hai usato. Dovrebbe andar bene per te. È tuo, se vuoi. È un’ottima lama. Devi tenerlo perfettamente pulito. Anche le dita lo sporcano. Ti farò vedere come si tiene.

Thorn lo riprese in mano, per l’impugnatura.

Il ragazzo procedeva dinoccolato lungo il sentiero, pensando di essere all’erta: Duun lo sapeva. Thorn guardava da una parte e dall’altra; i suoi piedi callosi facevano pochissimo rumore sul sentiero polveroso, fra le rocce.

— In alto - sibilò Duun. — Guarda in alto.

Thorn sollevò la testa. Duun si era già mosso, sparendo fra i cespugli.

Il ragazzo stava ancora guardando in alto, quando Duun lo colpì alla schiena con un sasso. Thorn si girò di scatto e lanciò. La pietra di Thorn si perse fra i cespugli e le rocce. Duun l’aveva evitata con uno spostamento fluido delle anche.

— Troppo tardi — disse Duun. — Tu sei morto. Io no.

Thorn lasciò cadere le spalle. Chinò la testa, vergognandosi.

Si girò di scatto e scagliò un’altra pietra, dal basso verso l’alto.

Duun evitò anche questa, spostando semplicemente il peso da un piede all’altro. Thorn non sembrò sorpreso, solo stanco. Battuto, alla fine.

Duun sorrise. — Andiamo meglio. Questo mi ha colto di sorpresa. - Il sorriso svanì. — Ma che tu abbia scelto questo sentiero, no. È stato il tuo primo errore. Come lo sapevo? Riesci a immaginarlo?

Thorn respirava ansando. Si accoccolò sul sentiero tenendo le mani appoggiate alle ginocchia coperte di croste. — Perché ero stanco. La salita è più facile.