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Thorn arrivò e si fermò vicino a Duun. — Duecentoventiquattro — disse.

Le orecchie di Duun si rizzarono. — Più nove. Meno quattro, ottantadue, sei.

— Centoquarantuno.

— Ah! Puoi!

Thorn s’inginocchiò. Si appoggiò alle mani. — Cosa c’è al mondo che si presenti in gruppi di duecentoventiquattro?

— Le stelle. Gli alberi. I tipi di erba. Le vie di un fiume. L’ostinazione di un bambino. Il mondo è grande, giovane Thorn. Io posso calcolare la velocità del vento, nominare le stelle, le città del mondo. Posso leggere le intenzioni di un uomo nelle pupille dei suoi occhi.

Duun girò su se stesso e colpì, con il palmo aperto. Il palmo di Thorn fu pronto a incontrare il colpo, lo bloccò e rimase fermo, tremando.

— Ah. Sei hatani, vero? Indietro, pesciolino. Non sei pronto a prendermi. Lascia andare la mano.

Era una trappola e Thorn la rifiutò. Non si mosse. Aveva gli occhi spalancati e cerchiati di bianco mentre il palmo gli tremava contro quello di Duun, che all’improvviso abbassò le orecchie.

— Adesso cosa fai? — chiese Duun.

— Lasciami andare. — Il tremito si fece più forte. — Lasciami andare, Duun.

Duun allungò la mano mutilata e circondò delicatamente il polso di Thorn con le sue due dita. Tirò. Il braccio tremava. Gli occhi di Thorn erano dilatati e guardavano febbricitanti nei suoi.

— Cosa farai adesso, pesciolino? Hai un problema, vero? Hai lasciato che io ci mettessi due mani.

Thorn alzò l’altra mano. Si arrestò a mezz’aria, tremando.

— Non è saggio. Neanche un po’ — disse Duun. — Sei inferiore. È meglio che la smetti. Non credi?

— Lasciami andare.

— Rilassati. Rilassati e abbi fiducia in me.

— No!

— Una volta, ricordi?… quando prendesti il coltello, ti dissi che dovevi prenderlo solo quando te lo dicevo io e riporlo all’istante se ti ordinavo di farlo. Questo è il momento, Thorn. Adesso ti dico di lasciare andare. Mi senti? Ti dico di lasciare andare, Thorn.

Il tremito si fece più forte. Il palmo si staccò adagio dal palmo. Duun serrò la mano attorno al polso di Thorn e se lo tirò sul petto. Thorn, che era completamente sbilanciato, cadde addosso a lui. Duun scoprì i denti e lo afferrò per entrambe le braccia, con gli artigli estratti. Lo scosse fissandolo negli occhi; erano faccia a faccia. — Ti avrei squarciato la gola, un secondo fa. Ci credi?

— No.

— Perché non l’avrei fatto?

— Non lo so, Duun!

Duun lo lasciò andare. Thorn cadde a sedere e se ne stette lì a fregarsi le braccia. Sarebbero rimasti i graffi e i segni degli artigli. Duun lo sapeva.

— Sei un pazzo, allora? — chiese Duun. — Perché l’hai fatto?

— Mi avresti colpito — disse Thorn, con una logica perfetta.

— Sì — disse Duun.

Un altro cambiamento. Thorn rimase seduto, a bocca aperta, esterrefatto e silenzioso mentre dai suoi occhi scorrevano le lacrime. Il ragazzo scoprì il caos nel mondo, somme che non avevano la giusta risposta. — Il mondo è pieno di scelte che sono in ogni caso sbagliate — disse Duun. — I numeri invece, funzionano sempre. Ci si può fidare dei numeri. È per questo che li impariamo. Per dare al mondo un certo ordine. In nessun altro campo della vita le cose funzionano. Lo capisci questo?

— Sì. — I denti di Thorn battevano. — Capisco.

— Tu sei hatani. Wei-na-hatani, pesciolino. Un piccolo hatani. Un hatani non è le armi. Non è il coltello, il fucile. Un hatani non è queste cose. Adesso non hai bisogno di loro. Puoi prendere in mano il coltello e metterlo giù di nuovo. Un hatani non è il coltello. Capisci? Né la pelle o gli occhi o gli artigli. Capisci? Io t’insegno. Tu diventi hatani. Dentro.

Thorn sbatté velocemente gli occhi e spalancò la bocca per respirare. — Duun, dove mi hai preso?

— Dove pensi che ti abbia preso?

— Non lo so.

— Ma hai fiducia in me. Non buttarti su ogni boccone, pesciolino. Alcuni sono trappole. Non te l’ho insegnato? Usa il cervello. Addiziona solo quello che può essere addizionato. Ma ricorda lo stesso tutti i numeri. Non perderne mai uno; se lo perdi, ti verrà senza dubbio alle spalle per ucciderti. Non ci sono seconde possibilità nel mondo. Niente avviene due volte.

— Come fai a sapere tutto?

— Ricorda tutti i numeri. Anche quelli di molto tempo fa. Non lasciartene mai scappare uno; non sai quando potranno servirti. Non respingere niente; non sai cosa potrebbe esserti necessario. Questi sono i miei insegnamenti.

— Dove mi hai preso?

— Ti ho tirato fuori dal fiume, pesciolino. Stavi affogando e ti ho salvato.

— È vero, Duun?

— Ti ho mentito. — Duun allungò una mano e sfiorò col dito la guancia di Thorn dov’era cresciuta una peluria chiara. Altri peli avevano cominciato a crescere sul corpo di Thorn: ma questi erano scuri. La speranza di Thorn e la sua disperazione. (È meglio che niente, piangeva Thorn, davanti allo specchio del bagno. Sono tutto a chiazze, Duun!) — Sai una cosa, credo che dovresti tagliarteli, pesciolino; hai ragione, crescono in maniera irregolare… meglio tagliare.

— Basta. Non distrarmi! Voglio una risposta, Duun!

— Ah. Hai scoperto i miei trucchi, vero?

— Voglio una risposta, Duun.

— Il pesciolino usa trucchi hatani.

— Voglio una risposta, Duun.

Duun strinse le labbra e appiattì le orecchie. — Fai la domanda usando le mani. Battimi e ti risponderò.

Thorn abbassò le spalle e chinò la testa. Era una sconfitta bella e buona. Poi alzò gli occhi, con uno sguardo penetrante, ansioso.

— Duun… Duun, dimmi la verità. Una sola verità. Sii onesto con me. Lo sai?

— Sì — disse Duun, e lo fissò negli occhi finché Thorn non voltò la testa.

4

Io sono la fede quando ogni tua speranza è volata via; io sono la verità, quando tutto ciò che conosci è bugia. Io porto la scelta quando la tua scelta è svanita; io sono la promessa quando ogni altra fede è fuggita. Io sono la vendetta ma ho un prezzo elevato; io sono un guadagno quando tutto ciò che vuoi se n’è andato.

Era una canzone hatani. La cantava Thorn accompagnandosi con la musica mentre Duun ascoltava come in sogno. C’era una dolcezza del tutto insospettata nella voce di Thorn, e una grande abilità nelle mani che si muovevano sulle corde. Forse era un’istintiva fierezza che faceva amare al ragazzo quella canzone; o forse l’innocenza di quel bambino delle colline che chiedeva cos’erano le cicatrici di un hatani, felice nella sua ignoranza. O forse, più semplicemente, a Thorn piaceva la canzone e la cantava bene.

Duun prese il dkin e strimpellò un nuovo ritmo, con la mano dalle due dita. Batté il ritmo sulla cassa dello strumento, e Thorn con istintiva abilità, riprese il ritmo sul piccolo tamburo.

La testa del giovane era piegata, con gli occhi che guardavano furtivamente da sotto una cascata di capelli scuri, e le labbra allargate in un glabro sorriso. Thorn aveva rinunciato a farsi crescere i peli sul viso. Si lasciava solo quelli sul corpo. Anche perché il rasoio bruciava. (Stai meglio, gli aveva detto Duun, dopo che Thorn si era rasato, ed era uscito in cerca di approvazione. E Thorn era sembrato profondamente sollevato.)

Vulnerabile. Oh, vulnerabile giovane Thorn. Verde sotto il sole dell’estate, bianca sotto la neve, è tutta bella la mia terra, e bella colei che conosco i cui sentieri scendono verso i miei nella sera. Amore e donne e cose del mondo.