Dopo quella volta, Alis non tornò. Hedda si fece in quattro per tenermi aggiornato: Alis non aveva trovato un maestro di ballo, l’assorbimento dell’ILMGM da parte della Viamount era cosa fatta, La Columbia Tri-Star stava preparando un remake di Ovunque nel tempo.
— C’era questo dirigente della Columbia al party — mi disse Hedda, appollaiata sul mio letto. — Ha raccontato che hanno fatto esperimenti con immagini proiettate in regioni di antimateria, e si verifica un chiaro sbalzo temporale. Sono vicini “così”… — Premette il pollice sulla punta dell’indice. — …A inventare il viaggio nel tempo.
— Grande. Alis potrà tornare agli anni Trenta e prendere lezioni di ballo da Busby Berkeley in persona.
Solo che Busby Berkeley non le piaceva, e dopo avere tolto tutte le sostanze che danno assuefazione da Viva le donne e La danza delle luci, non piaceva più nemmeno a me.
Alis aveva ragione. Non c’era vero ballo nei suoi film. Si intravedevano piedi impegnati nel tip tap in Quarantaduesima strada, c’era una prova in secondo piano in una scena di passaggio, e qualche passo nel numero del parco per Ruby, che era capace di ballare più o meno come Judy Garland. Per il resto era tutto sviolinate al neon e torte nuziali e fontane rotanti e ballerine di fila biondo platino in pose plastiche, che probabilmente erano state scopate dalla prima all’ultima da qualche pezzo grosso dello studio. Riprese aeree a caleidoscopio e movimenti di macchina e riprese dal basso delle gambe divaricate delle ragazze, roba che avrebbe fatto venire l’infarto all’Ufficio Hays. Ma niente vero ballo.
Però si beveva un sacco. Spacci clandestini e party dietro le quinte e fiaschette argentee infilate nei reggicalze delle ballerine. Persino un numero in un bar con Ruby Keeler nella parte di Shanghav Lil, una che si era fatta un sacco di droga e un sacco di marinai. Un inno alle più nobili virtù dell’alcol.
Che ne ha molte. Costa poco, non fa danni come la linearossa, e se anche non ti regala il beato stato d’oblio della chocha serve comunque a bloccare i flash e a sfuocare in maniera piuttosto gradevole tutto quanto. E mi stava rendendo più facile il lavoro sull’elenco di Mayer.
Inoltre, ha un notevole assortimento di aromi: Martini per La via dell’impossibile, vino di bacca di sambuco per Arsenico e vecchi merletti, un delizioso Chianti per Il silenzio degli innocenti. Nel frattempo io bevevo champagne, che a quanto pareva era presente in tutti i film mai girati, e maledicevo Mayer, e cancellavo bekher e beute dalla scena della taverna di Guerre stellari.
Andai al party successivo, e a quello dopo, ma Alis non c’era. C’era Vincent, che illustrava le doti di un nuovo programma, e il solito dirigente che magnificava il viaggio nel tempo alle Marilyn, e Hedda.
— Guarda che quella roba non era klieg — mi informò. — Era chocha di lusso dal Brasile.
— Il che spiega perché continuo a sentire la beguine.
— Eh?
— Niente. — Mi guardai attorno nel salone. Il programma di Vincent doveva essere un simulatore di lacrime. Sullo schermo, Gary Cooper, con un liso cappello a cilindro e una cravatta a pallini, piangeva come un vitello sul suo cane morto.
— Lei non c’è — disse Hedda.
— Cercavo Mayer — le risposi. — Mi deve pagare il doppio per Scandalo a Filadelfia. Quel film è pieno zeppo di alcol. Sherry prima di pranzo, Martini sul bordo della piscina, champagne, cocktail, emicranie da doposbronza, borse del ghiaccio. Cary Grant, Katharine Hepburn, Jimmy Stewart. Tutto quanto il cast puzza.
Bevvi una sorsata della crème-de-menthe che mi era rimasta da I giorni del vino e delle rose. — Per la parte video occorreranno almeno tre settimane, e non parliamo dei dialoghi. “Ho il singhiozzo. Posso prendere qualcosa da bere?”
— Prima c’era — disse Hedda. — Uno dei dirigenti l’aveva puntata.
— No, no. “Io” dico “Posso prendere qualcosa da bere?” e “tu” rispondi “Ma certo. Nottole ad Atene.” — Mandai giù un’altra sorsata.
— Devi proprio bere tutto quell’alcol? — chiese Hedda, la regina della chocha.
— Ci sono costretto. È il pessimo effetto di tutti quei film che devo guardare. Grazie a Dio l’ILMGM li sta ripulendo, così non corromperanno più nessuno. — Bevvi dell’altra crème-de-menthe.
Hedda mi guardò con due occhi molto fissi, come avesse preso dell’altro klieg. — L’ILMGM sta facendo un remake di L’uomo venuto dall’impossibile. Un dirigente ha detto ad Alis che forse riuscirà a farle avere una parte.
— Grande. — Andai a guardare il programma di Vincent.
Adesso sullo schermo c’era Audrey Hepburn. Se ne stava sotto la pioggia e singhiozzava sul suo gatto.
— È il nostro nuovo programma di pianto — disse Vincent. — E ancora in fase sperimentale.
Disse qualcosa al telecomando, e lo schermo si divise in due. Un attore digitalizzato, computerizzato, singhiozzava al fianco di Audrey, torcendo quello che pareva un tappetino giallo. Le lacrime non erano l’unica cosa in fase sperimentale.
— Le lacrime sono la forma più difficile di simulazione idrica — disse Vincent. Adesso era apparso il Boscaiolo di Latta. Si stava facendo arrugginire da solo braccia e gambe. — È perché le lacrime non sono vera acqua. L’indice di rifrazione ne risente e diventa più difficile riprodurle — spiegò. Stava sulla difensiva.
E gli conveniva. Le lacrime del digi-boscaiolo parevano vaselina che colasse da occhi digitalizzati. — Programmi mai la RV? — gli chiesi. — Partendo, diciamo, dalla scena di un film come quella che hai usato per il tuo programma di editing un paio di settimane fa? La scala con Fred.Astaire e Ginger Rogers che ballano?
— Realtà virtuale? Sicuro. Posso creare dati per il casco e per tutto il corpo. Cos’è, stai lavorando a qualcosa per Mayer?
— Già. Potresti, diciamo, mettere un’altra persona al posto di Ginger Rogers per farla ballare con Fred Astaire?
— Sicuro. Collegamenti a piedi e ginocchia, stimolazione dei nervi. Avrebbe la sensazione di ballare.
— Non una semplice sensazione — dissi. — Puoi fare in modo che questa persona balli sul serio?
Ci pensò su un po’, fissando accigliato lo schermo. Il Boscaiolo di Latta era scomparso. Ingrid Bergman e Humphrey Bogart si stavano dicendo addio all’aeroporto.
— Forse — disse Vincent. — Può darsi. Potremmo mettere sensori sotto i piedi e trasmettere al corpo un feedback rinforzato, per amplificare i movimenti e poter muovere avanti e indietro i piedi.
Guardai lo schermo. Negli occhi di Ingrid si stavano gonfiando lacrime che brillavano come quelle vere. Probabilmente non lo erano. Probabilmente quello era l’ottavo ciak, o il diciottesimo, e una ragazza del trucco era accorsa con gocce di glicerina o succo di cipolla per ottenere l’effetto giusto. Comunque, non erano le lacrime a creare l’atmosfera. Era quel viso, dolce e triste, che sapeva di non poter avere ciò che desiderava.
— Potremmo stimolare la sudorazione — disse Vincent. — Ascelle, collo.
— Lascia perdere. — Restai a guardare Ingrid. Lo schermo si divise in due e una digi-attrice, di fronte a un digi-aeroplano, versò digi-lacrime.
— Che te ne pare di un collegamento audio direzionale per seguire il suono dei passi? Endorfine a chili — disse Vincent. — Potrebbe giurare di ballare con Gene Kelly.